La società degli uomini barbagianni
di Emanuele Kraushaar
1
Io sono A.
Una volta ho chiesto a mia madre perché mi avesse chiamato così.
Non ha detto niente ed è scoppiata a ridere.
Ricordo la sua bocca che si apriva e i suoi denti bianchissimi.
Adesso vivo in una casa di tre piani con un giardino che confina con un grande bosco.
Al piano terra c’è una sala con cucina a vista e uno sgabuzzino con scorte di cibo.
Al primo piano, la camera da letto e il bagno.
Al secondo, una soffitta-studio con una grande scrivania in noce.
Tutte le pareti di casa sono piene di librerie e in ogni libreria ci sono centinaia di libri di ogni tipo.
Dallo studio è possibile accedere a un piccolo balcone da dove si vede il bosco.
Ho ricordi confusi sul mio passato, ma so quello che mi piace adesso.
Mi piace andare a correre tra gli alberi e scrivere parole sulla schiena della mia ragazza.
Mi piace anche studiare la società degli uomini-barbagianni.
Gli uomini-barbagianni vivono nel grande bosco che confina con la città.
La loro corporatura è pari a quella di due uomini.
In alcuni casi raggiungono un’altezza di oltre quattro metri.
Sono dotati di un becco adunco e grosse ali che sembrano lunghi mantelli uniformi.
Sotto il volto di uccelli rapaci hanno un piumaggio maculato.
Li rende somiglianti all’uomo la struttura delle gambe, se non fosse per gli artigli, grazie ai quali possono predare con facilità.
Le donne-barbagianni non hanno ali e a un primo sguardo possono apparire come donne normali.
Hanno una peluria estesa in maniera uniforme da sotto il mento fino ai seni.
Si contraddistinguono anche per l’altezza, che può arrivare a superare i due metri e mezzo.
Gli uomini-barbagianni sono in grado di volare, anche se non amano l’alta quota.
Le donne-barbagianni non volano, ma possono compiere notevoli salti.
Gli uomini-barbagianni si nutrono di carne e di notte vengono spesso in città a predare gli uomini, che poi portano nel bosco e lasciano in grosse gabbie di tronchi a cielo aperto.
Si cibano anche di cavalli e di cani.
Prima di mangiare le loro prede, le lavano per bene e poi le bruciano vive.
2
Non ricordo quanto tempo sia passato da quando ho trovato un vecchio libro intitolato La società degli uomini-barbagianni.
Ha una copertina nera e il titolo bianco.
Quando trascorro ore e ore dentro la mia soffitta-studio, ho come l’impressione di perdere la facoltà di percepire il passare del tempo.
Per me non fa differenza tra ieri e l’altro ieri o l’inizio dei tempi.
Tutto quello che accade, accade in questo momento.
3
Mi sveglio sul presto, perché ho fatto brutti sogni.
Comunque c’è un bel sole e decido di uscire.
Abito in una casa confinante con il bosco proprio perché amo andare a correre e stare a contatto con la natura.
Grazie all’eredità non mi serve lavorare. Anche per questo non ho alcun interesse a vivere nel centro della città: se avessi potuto, mi sarei comprato una casa proprio dentro al bosco.
Corro e ripenso a quando il notaio mi diede il testamento.
C’era scritto che l’eredità veniva lasciata agli uccelli neri dell’oscurità, ma grazie a un avvocato amico di Pico ero riuscito a entrare in possesso di tutto quanto.
Mentre mi addentro nel grande bosco, qualche lampo di tenebra del passato mi illumina la mente con una luce scura.
Ripenso alla vecchia casa di famiglia che rispetto alla mia si trova al lato opposto della città.
Anche quella confina con un bosco.
Mi viene da pensare che ci sia una stessa infinita distesa di verde che circonda tutto.
Ora vivo da solo e posso fare quello che voglio.
Quello che voglio adesso è andare a correre.
Mi ricompare nella mente la frase uccelli neri dell’oscurità, che mi pugnala sempre il cuore e sembra stare aggrappata alla mia schiena senza mollarmi mai.
I miei pensieri sono un pendolo: si spostano dagli uccelli neri agli uomini-barbagianni.
Il sole mattutino filtra poco tra gli alberi.
Penso a Cecilia.
Mi piace la sua bocca, mi piacciono le sue gambe, mi piace che sta sempre zitta e fa parlare me di qualsiasi cosa e poi dice: «Che bello», anche se spesso parlo di cose normali o senza senso.
L’immagine della sua pelle bianca con le mie scritte mi fa sentire in colpa.
All’improvviso smetto di correre verso il cuore del bosco, che sembra non finire mai.
4
Pico, il mio unico amico, è un ometto pallido che lavora in biblioteca, legge molti libri ed esce poco.
Non abbiamo molte cose in comune, ma è stato il solo che mi ha dato una mano quando è morta mia madre.
Ogni tanto lo porto a mangiare in qualche ristorante che non potrebbe permettersi.
Spende tutti i suoi soldi in libri e quando sta da me passa molto tempo nel mio studio.
Viene a trovarmi anche oggi e subito si piazza davanti a una delle librerie.
Accarezza alcuni volumi, altri li annusa.
La società degli uomini-barbagianni è sulla mia scrivania, sommerso sotto alcuni fogli.
Non so perché, ma non me la sento di parlargliene.
Adesso è lui che sembra volermi confessare qualcosa.
Dice: «C’è una cosa di cui vorrei parlarti».
«Ti ascolto».
«Credimi, non so come dirtelo: non trovo le parole giuste».
«Con me puoi stare tranquillo».
«Lo so, non è questo. È come se dovessi disegnare un cerchio quadrato».
Pico abbassa lo sguardo sul pavimento e io sembro seguirlo, anzi per un attimo mi pare di avere la sua voce e di essere io ad aver detto quelle parole.
Forse sono proprio io che ho iniziato a parlare e sto per raccontargli del libro La società degli uomini-barbagianni.
Il cuore inizia a battere più velocemente e vedo il mio amico fermo come una statua.
Ho l’impressione che da un momento all’altro svanirà e le grosse lenti dei suoi occhiali cadranno sul pavimento rompendosi.
Noi due nella soffitta-studio, con il libro nero vicino, nascosto da qualche foglio, siamo una cosa sola: Pico ed io, ma anche tutti i volumi della biblioteca dello studio e lo studio stesso.
Accanto a noi respirano gli alberi del grande bosco e sopra i loro rami stanno appollaiati gli uomini-barbagianni.
Dico «ora vai a casa», oppure è lui a dire «ora vado a casa».
Un attimo dopo mi ritrovo da solo e vedo Pico allontanarsi, rimpicciolirsi e rotolare via come una biglia per il sentiero che porta verso la notte più scura.
Le donne-barbagianni servono solo alla riproduzione, sono tenute ai margini della società e ormai alcune sono solite vivere più in città che nel bosco.
L’accoppiamento avviene in modo violento ed è vissuto dalle donne-barbagianni con enorme sofferenza.
Padre Tale, il più grande conoscitore della società degli uomini-barbagianni, racconta di aver visto una donna-barbagianni gettarsi nel fuoco dove stavano bruciando un cane, pur di non farsi penetrare da un gigantesco uomo-barbagianni.
Le donne-barbagianni non si nutrono di carne umana.
Padre Tale afferma con sicurezza che le donne-barbagianni non attaccano gli uomini.
Al massimo mangiano cani o piccoli animali come topi e scoiattoli.
Le donne-barbagianni prendono forza dall’energia sessuale degli uomini e sono sempre a caccia di rapporti con individui di vario tipo.
Sia gli uomini-barbagianni che le donne-barbagianni hanno facoltà psichiche molto potenti e sono in grado di leggere il pensiero.
Gli esemplari più avanzati nella scala gerarchica lo fanno con maggiore facilità rispetto agli altri.
L’unica tecnica valida per non farsi leggere il pensiero è praticare il respiro di fuoco: inspirare ed espirare dal naso, mentre si contrae l’addome verso l’esterno e poi verso l’interno.
È consigliabile ricorrere al respiro di fuoco solamente con le donne-barbagianni, in quanto un uomo-barbagianni prenderebbe tale difesa come un affronto e si accanirebbe in modo ancora più cruento sulla preda.
Le donne-barbagianni, a differenza degli uomini-barbagianni, quando appaiono nelle città sono vestite; solitamente indossano abiti succinti e provocanti.
Sia gli uomini-barbagianni che le donne-barbagianni vivono di notte e di giorno è impossibile vederli.
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Tratto da Emanuele Kraushaar, La società degli uomini barbagianni (Tlon 2022)