Marcel Proust, i segni e la genesi
di Mauro Baldrati
Il 18 novembre cade il centesimo anniversario della morte di Marcel Proust. Si può tranquillamente affermare che lo scrittore francese, che la critica globale identifica come l’inventore del romanzo moderno, insieme a Dante Alighieri sia uno degli autori più famosi della storia. Il suo immenso romanzo, Alla ricerca del tempo perduto (la convenzione proustiana impone di nominarlo sempre e solo come Recherche) 3742 pagine in sette volumi, è il risultato di una sperimentazione durate una vita intera. L’ha terminato poco prima di morire, nella camera chiusa senza riscaldamento di rue Hamelin, sul letto di grande malato (un’asma che lo ho perseguitato fin da bambino), con migliaia di fogli e di quaderni sparsi ovunque. La fedele governante Céleste riferisce che, quando appose la parola “fine” sul manoscritto, la chiamò e disse: “Ora finalmente posso morire”.
Per scrivere la Recherche ha impiegato circa 15 anni, e la pubblicazione ne ha richiesti altri 14, dopo che il primo volume, La strada di Swann, fu rifiutato da André Gide per Gallimard, perché definito più o meno un cicalecchio mondano (salvo poi chiedere perdono al mondo per l’errore commesso). D’altra parte la storia è popolata di grandi rifiuti: Vincent Van Gogh non ha mai venduto un quadro in vita sua, e tutti i critici e i galleristi lo invitavano a trovarsi un lavoro vero, perché era negato per la pittura; Bob Dylan si vide rifiutare il suo primo disco perché secondo il produttore era “banale” (in seguito, quando si rese conto di cosa aveva combinato, si prese una sbronza durata diversi giorni); L’arte della Gioia di Goliarda Sapienza è stato ignorato da tutti gli editori addirittura per vent’anni. Poi però l’opera proustiana è deflagrata, il secondo volume, All’ombra delle fanciulle in fiore, ha vinto il premio Goncourt nel 1919, e la Recherche è diventata il riferimento di intere generazioni di scrittori e aspiranti tali.
Ma qual è la genesi di questo immenso progetto architettonico-letterario (La cattedrale Proust, lo definì il critico Giacomo Debenedetti), e quali sono i contenuti?
LA GENESI
Marcel Proust proveniva da una famiglia alto borghese, il padre, il dottor Adrien, era un primario igienista esperto di epidemie. Ipersensibile, di salute cagionevole, sviluppa subito un mostruoso senso di osservazione, che lo sosterrà durante le scorrerie giovanili nei saloni della nascente Belle Epoque. Non manca mai un appuntamento, un lunch, un dinner, una matinée. Roland Barthes l’ha definito un militante della mondanità. In effetti, pur essendo, in gioventù, per sua stessa ammissione, svogliato, demotivato, incapace di applicarsi ad alcunché, sembra spinto da una tenacia nella frequentazione degli ambienti mondani che rasenta la missione. Una sorta di cavaliere alla ricerca del Santo Graal, anche se il calice trabocca di vizi, di contraddizioni, di superbia, che inserirà con ironia, talvolta con feroce sarcasmo, nella Recherche. Ma proprio qui sta il progetto segreto, probabilmente inconsapevole: sta studiando, raccoglie personaggi, dialoghi, ambienti, colori. Si sente inabile a qualsiasi occupazione, ma lavora con impegno e dedizione. Dalla frequentazione delle dame dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, di cui talvolta si innamora follemente, idealizzandole come delle semidee, trarrà i personaggi che sono diventati leggendari: Laura de Chevigné, discendente dal marchese De Sade e addirittura da Laura del Petrarca, la più ammirata e invidiata da tutto il Faubourg, diventerà la duchessa di Guermantes (dopo la pubblicazione, indignata, gli toglierà per sempre il saluto); la ricchissima borghese Madeleine Lemaire, che gestiva uno dei salon più esclusivi, fornirà il suo modello per la tirannica Madame Verdurin, che regna con mano ferma in quella jungla di gran lusso che è il suo esclusivissimo salotto; Robert de Montesquiou, il più mondano dei mondani, sarà uno dei personaggi maschili più potenti dell’intero romanzo: l’immenso, maligno, incredibilmente colto barone Charlus. Dopo avere spadroneggiato per tutta l’opera, in grado di rovinare il credito mondano di chiunque con poche, sferzanti battute, scenderà tutti i gradini dell’abiezione e dell’umiliazione, flagellato dall’ultimo amante-mantenuto.
Dunque il giovane autore in erba, scoraggiato per la propria pigrizia, costruisce il futuro, raccontando al passato. E proprio questo è uno dei meta-argomenti che costituiscono la struttura portante della cattedrale: il tempo.
La Recherchè è un recupero del tempo perduto, ovvero del tempo sprecato, attraverso il ricordo, l’indagine psicologica, l’esperienza e soprattutto l’arte, che è la più alta espressione della specie umana. Ma non è un testo nostalgico, che guarda indietro; il mondo passato si fonde col presente, lo rende dinamico e comprensibile. E’ un insieme, un Tutto unico che cerca una redenzione attraverso l’arte.
I SEGNI
Il filosofo Gilles Deleuze nel 1964 ha pubblicato un saggio, che è diventando un oggetto di culto, dal titolo Marcel Proust e i segni, dove analizza i messaggi che si sprigionano dal libro. Dominano i segni mondani, superficiali, effimeri e menzogneri; escono a milioni dai salotti, dai dialoghi enfatici e vuoti di molti personaggi del bel mondo; i segni dell’arte, i più profondi, perché puntano alla verità. Ma sono rari, perché è rara la sua manifestazione. Dire l’indicibile, pensare l’impensabile, spiegare il mondo, per esempio attraverso la musica, che è molto presente nella Recherche: “Se riuscissimo a riprodurre per via di concetti quanto la musica esprime, avremmo insieme ottenuto, per via di concetti, anche una soddisfacente spiegazione del mondo, che sarebbe vera filosofia” (Schopenhauer, uno dei grandi maestri di Proust). E i segni dell’amore, ambigui, ingannevoli, persino pericolosi.
Infatti proprio l’amore è un altro meta-argomento. Swann, un personaggio molto significativo della Recherche, vive un amore con Odette, nel “romanzo nel romanzo” contenuto nel volume La strada di Swann. Slalomando tra i segni dell’amore, come sciami di frecce di Cupido dalla punta avvelenata, il narratore ci guida in un’indagine chirurgica e spietata sui meccanismi dell’innamoramento. Qui sta una delle discese agli inferi della Recherche: l’amore è impossibile, e l’amante è condannato all’infelicità, perché non potrà mai conoscere e tanto meno possedere la persona amata. E più questa gli sfugge più si incrudelisce verso se stesso, fino a sprofondare nel delirio della gelosia ossessiva. “Non si ama che ciò in cui si persegue qualcosa di inaccessibile, non si ama che ciò che non si possiede” (La prigioniera)
Lo stile non è di facile e immediata lettura. E’ in fiera controtendenza con la moda attuale, influenzata dai social, frasi brevi, prosa povera: i periodi sono lunghi, talvolta lunghissimi, decine di pagine senza un solo punto. Sono contenitori che ne contengono altri, che a loro volta ne contengono altri, per cui siamo partiti con una descrizione del campanile di Combray e d’un tratto ci troviamo su un altro pianeta, e ci chiediamo come diavolo ha fatto il diabolico autore a condurci lì!
Ma ciò è salutare, è terapeutico. Leggere Proust ci obbliga a fare allenamento, come in una palestra mentale. Ci invita a non rassegnarci e a non omologarci. E proprio questo fa di lui un autore non solo attuale, ma persino utile.
A breve spiegherò, racconterò come sono diventato proustfobico, come tutti, e la mia decisione di animare addirittura il suo personaggio, di muoverlo nel tempo e soprattutto nello spazio, in un libro. A presto.