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Il tornello dei dileggi

di Massimo Salvatore Fazio

Il brano che segue è tratto dal romanzo di Massimo Salvatore Fazio “Il tornello dei dileggi”, pubblicato (2021) dall’editore Arkadia, che ringraziamo per la disponibilità

Madrid è anche il flamenco. Olaaa, olaaa. Il cipiglio dello scrittore nichilista non manca. Descrivere il flamenco.
Come il peggiore degli assassini incapace di uccidere e di smacchiarsi del delitto commesso, danzano e urlano i pagliacci che interpretano questa danza, per ricordar, della natia terra, i venditori al mercato di piazza Carlo Alberto, chiamato dagli autoctoni A Fera ’O Luni (La fiera del lunedì).
Urlano puttane vecchie, cadenti a inventar di danze tradizionali quasi a vendere le calze o merce americana. E tutt’intorno si emoziona la platea tradita. Convinta di un’arte fallita, portata in auge da bipedi orripilanti. Dopo il primo round dell’urlo e quattro minuti per rabbuiarsi e chiedersi cosa si fa a uno spettacolo di flamenco, tornano i conigli vestiti di nero a recitar melodrammi che anche il peggior emulo di Mario Merola omicidierebbe.
È la Spagna signori.
Entra con il suo culetto che sembra una pigna, rasato in testa, simile a una palla da tavolo di carambola, il ballerino che rumoreggia sui tacchi.
Olééé, olééé come il venditore di indumenti intimi al mercato, Fera ’O Luni, di Catania: «Calze e mutande tre euro tre paiaaa.» Olééé
Il toro servito al piatto dell’impresario che al ritorno in Italia racconterà prima d’una corrida e poi di tacchi e urla da mercato di poveri che lui detesta all’uscita di banca. Porco.

***

Orrenda Spagna dal caos mattutino a quello pagato urlante. Olà. Chissà come stanno Michele e Martina, lui comunista convinto e diretto, lei maestra di Spagna che adora e ammira.
Solo alle due del mattino, con i dovuti ringraziamenti, il taxi riaccompagnerà Paolo e Giovanna in albergo.
Giunti in stanza, a lui, non casualmente, cade l’occhio sul cellulare, c’è un nuovo sms, è di Adriana che in qualche modo, dandosi della “frullata” per non dichiararsi matta, chiede di lasciar stare quel che ha scritto nell’e-mail precedente.
Olé. Il flamenco ha portato bene.
È stanco Paolo, dorme e a sprazzi si risveglia. In una di queste fasi ha sognato e nello stesso sogno prospetta che qualche cambiamento è sopraggiunto, dove forte si imporrà la persona. Ha coraggio. Non è fuori dai luoghi. Tutt’altro. Si eleva a novus. Atto in atto. Forza in forza. Trasformati dove vuoi, con chi vuoi, ma trasforma le presenze, gli indugi e le tensioni. Ci sono altre vite qui. E mancano. Se non ti trasformi, resisti e vivi. E se resisti e vivi non è detto che non anneghi. E se anneghi, di fattori liquidi ne escono pure dall’anticamera del basso bacino, ed è normale come quando passeggi in una qualunque città e sui muri stanno scritte e stanno sempre stampati i soliti simboli. Falce e martello e svastiche o croci celtiche. Se si rimane fermi, immobili, nel non cambiamento, si è fottuti. Agire. Muoversi. Su altri fronti. Subito. Ecco cosa. Ecco.
Entra ed esce senza armonia. Mancando pur di rispetto, ma liberatosi.
Pensa. È questo uno dei nuovi mutamenti, Adriana. Te lo consegno. E via. E anche Gesù Cristo, non c’è da prendermi in giro, sia salvato, che ci salvi. In Spagna o altrove. Ma lo si salvi.

***

Come belve impazzite che però vogliono nascondere il dolore causato dalla fine di un dominio, gli uomini che perdono il controllo sul proprio simile, sottoposto alle loro fittizie verità e reali manipolazioni, perdono, appunto e nuovamente, il controllo e, con il dileggiare più tragico e le risate elaborate solo dal piccolo orticello delle proprie figure inutili che stanno intorno come api nel punto centrale di un fiore che non producono nulla, si scagliano ubriachi, alla stregua di allegorici falsi profeti. Inetti, innanzi alle loro compagne che rimangono inermi e atterrite al solo vedere cosa sta accadendo. E loro, ominuccoli senza ritegno, avanzano nello spergiuro.
La sconfitta autoinflittasi, come tutta la cocaina assunta che spinge a giustificare accoppiamenti multipli senza che vi sia necessità di aprire le porte della percezione, proprio come il cocainomane che necessita di forza esterna ed è tollerato da falsi intellettuali nel compiere qualsivoglia azione di superamento. Se la medesima forza, però, viene elaborata da chi non assume nulla, lo si additerà come matto, minchiataro, spara balle. Ma, inesorabile, si impone il successo di quest’ultimo e, disgraziatamente per i falsi intellettuali, non si può far a meno di non riconoscerlo. Quello è il momento in cui crollano le loro inutilerie. Pessima roba per pessime menti che non vogliono osare nei cambiamenti.

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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