In armonia con le tenebre. Notturno Cioran
di Ludovico Cantisani
Cioran. Definirlo il più grande pessimista del secolo non è un’esagerazione. Grande per profondità della visione, abissale, grande per potenza delle immagini, grande per aver saputo frantumare ogni prosa nel momento stesso in cui infrangeva ogni certezza, ogni accortezza, ogni pruderie: lacerti, aforismi e mezze frasi è la dimensione feroce e minimale in cui si confinano i momenti più alti, e più profondi, della sua riflessione. Grande anche per una capacità unica di tenersi in equilibro tra i linguaggi, dal momento che, romeno quale era, si ritrovò a scrivere tutte le opere della sua maturità in francese, in un movimento semantico parallelo e simmetrico a quello compiuto dal suo amico Beckett, dall’inglese al francese. Ancora più nomade di Céline, tanto nella vita quanto nella lingua.
È proprio sul linguaggio di Cioran che ci costringe a ritornare, questo nuovo Finestra sul nulla appena portato in Italia dall’Adelphi. Curato da Nicolas Cavaillès e tradotto in italiano da Cristina Fantechi, dopo il decesso dello storico traduttore e corrispondente di Cioran Mario Andrea Rigoni lo scorso anno, Finestra sul nulla rappresenta un notevole rinvenimento editoriale, un vero e proprio reperto risalente al momento in cui, a metà degli anni quaranta, Cioran passò dal romeno al francese, troncando definitivamente con la sua lingua madre, almeno nella sua attività da scrittore. Al momento della sua morte, Cioran aveva lasciato alla sua vedova Simon Boué un gran numero di appunti inediti, con la preghiera kafkiana di distruggerli al più presto; altrettanto kafkiana, anzi brodiana, era stata invece la scelta, da parte della sua “vedova” Simone Boué. di renderli pubblici, in un mastodontico volume di Quaderni che però copriva gli anni dal 1957 al 1972, quando Cioran già da tempo, anche negli appunti apparentemente più privati, si esprimeva esclusivamente in francese. Alcuni aforismi formulati nell’ultimo periodo dello “Cioran rumeno” già erano stati riscoperti alcuni anni fa, e pubblicati in Italia sotto il titolo di Breviario dei vinti dalle edizioni Voland; ma questi “nuovi” frammenti presentati come Finestra sul nulla sono stati rinvenuti nella Bibliothèque Doucet di Parigi, e segnano un fondamentale momento di passaggio nel percorso letterario di Cioran.
Autodefinitosi “il più straniero fra gli stranieri di Parigi”, “puttana astratta al servizio dell’Assoluto”, Cioran si era trasferito prima momentaneamente a Berlino e poi, in pianta stabile, a Parigi usufruendo di una serie di borse di studio, ma già da ragazzo era divenuto scandalosamente famoso nella sua nativa Romania grazie ai due blasfemi libri d’esordio, Al culmine della disperazione e Lacrime e santi, usciti tra il 1934 e il 1937. A Parigi, superfluo dirlo, nessuno lo conosceva: e ci sarebbero voluti altri dodici anni prima che, nel 1949, uscisse per Gallimard il Sommario di decomposizione, che segnava il debutto di Cioran nella lingua francese.
Il valore filologico e culturale degli aforismi che compongono Finestra sul Nulla sta proprio qui: si tratta, verosimilmente, di alcuni degli ultimissimi scritti di Cioran in romeno – come testimonia il suo epistolario con Mircea Eliade, una volta adottato il francese per i suoi libri Cioran avrebbe cercato di utilizzarlo il meno possibile persino nella corrispondenza privata – e fanno luce su quell’essenziale fase di passaggio che separa lo Cioran giovanile, e rumeno, dallo Cioran “francesizzato”, vicino a certi echi del coevo esistenzialismo letterario dei vari Sartre e Camus, ma al tempo stesso irrimediabilmente lontano da questa congrega di scrittori per il disprezzo assoluto di qualsivoglia impegno politico.
Si potrebbe giocare molto di biografismi, su quest’interregno: affermare che la vera differenza tra i primi due libri rumeni di Cioran e i successivi francesi, anzi “gallimardiani”, non si riduca affatto a una scelta di lingua, ma sia conseguenza, se mai, del profondo disincanto nei confronti del nazismo, di certo antisemitismo e della fascinazione per la Guardia di Ferro che pure aveva espresso da giovane. Non sarebbe inesatta un’analisi di questo genere, eppure invaliderebbe la prospettiva Cioran, sempre propensa a trascendere i meri fatti contingenti, biografici, cronologici.
E.M. Cioran, a dire il vero, va contro il tempo, e ai suoi occhi tutto in fondo si riduce a questo, “essere o non essere all’interno della chimera”. Una frase così la poteva scrivere tanto un intellettuale sradicato nel Novecento quanto un illuminista del Settecento, e forse anche qualche antico romano propenso allo stoicismo o a qualche altra filosofia più riflessiva. Cioran, sin da subito, mira all’atemporalità: poco importa cosa gli sia occorso per arrivare a quell’insopportabile stadio di consapevolezza che compone il fascino e al tempo stesso il disgusto alla base del successo delle sue opere, l’importante è che ci sia arrivato. Se “fuggire la solitudine è il miglior modo per rimanere fuori da sé stessi, e questa fuga è il tratto fondamentale dell’uomo”, avere una vocazione vuol dire precisamente “poter restare soli con sé stessi”. Tra le pagine di Finestra sul Nulla, tra una riga e l’altra, assistiamo alla definitiva presa di consapevolezza, da parte di Cioran, del suo innegabile talento di scrittore, e del fascino aberrante del nichilismo cosmico-cinotico – ovunque, paesaggi di Paradiso assente. Un passo ancora, e subentra il francese, un passo ancora, ed è già il Précis. Con la Finestra sul Nulla, siamo ancora in anticamera.
Quest’anticamera che è la Finestra sul Nulla non è però in tutto e per tutto un’anticipazione dello Cioran che verrà, o una prosecuzione dello Cioran rumeno che-era-stato. Qui, Cioran è ancora alla ricerca della sua identità letteraria e autoriale definitiva, ancora si interroga sullo stile – “lo stile è una maschera e una fuga”, si premura di precisare in un passaggio – e ancora non sa compiutamente traslare le sue personalissime esperienze di insonnia, di depressione, di Nausée, di disgusto per la vita: rileggendosi, Cioran si annota di restare “sorpreso” proprio dalla “sincerità di tutte queste pagine, tante e mal scritte”. Rispetto appunto allo Cioran futuro, allo Cioran che si imporrà dal Sommario di decomposizione in poi, la vera differenza sta nel minor distacco che lo scrittore rivendica, nei confronti del baratro di pessimismo da cui trae le sue riflessioni. In alcuni momenti, sembra quasi che Cioran parli faccia-a-faccia a noi insospettati ma invocati lettori di frammenti postumi, vis-à-vis – se ne coglie il respiro.
Veniamo al testo, dunque. Alcuni dei passaggi più sorprendenti sono quelli in cui Cioran si rivolge a sé stesso con toni patetici – “viandante attardato, titubante in mezzo a idee fauste, sospirando davanti all’impossibilità di ogni giorno” – se non addirittura a Dio, in soffertissime, blasfeme orazioni che condannano l’esistenza umana sin nei suoi fondamenti ontologici, fino a trasformarsi in un processo al Creatore – “sei stato Tu ad aprire all’uomo la strada della follia, a seccargli il sangue col fuoco… perché lo hai creato se poi fessuri l’argilla di cui è fatto in vapori che lo precipitano nell’assenza?”. La paura della morte è più pressante, in questo pagine, il suicidio, invece, meno presente. Il vero punto di continuità è la passione, verrebbe da dire l’ossessione, per la musica: “se l’uomo non avesse scoperto il concetto”, si legge a un certo punto di Finestra sul nulla, “la musica avrebbe preso il posto della metafisica”, e così “l’universo sarebbe diventato un paradiso dell’evidenza incomunicabile ma direttamente percepibile”. Ipse dixit.
“L’io di Cioran è un vastissimo scenario teatrale. In questo scenario, egli proietta quasi tutte le figure della letteratura, del pensiero, della storia, del cielo, della natura. Quasi niente è escluso. L’io si trasforma in moltitudine, assumendo sempre nuove maschere. Senza saperlo, Cioran diventa il romanziere e il mitografo della propria mente”. Così scriveva nel 2001 Pietro Citati, recensendo la già citata edizione postuma dei Cahiers cioraniani, a quei tempi appena arrivata in Italia con l’Adelphi. Quanto Citati scriveva su quegli appunti privati di Cioran di quella raccolta, su tutte quelle “piccole Apocalissi isteriche e ridicole” risalenti per lo più agli anni sessanta, spiega l’atteggiamento dello Cioran di quindici anni prima.
Gli appunti ritrovati alla Bibliothèque Doucet risalgono a un momento in cui Cioran ancora se le provava, le maschere, anzi aveva da poco iniziato a riaccarezzarle. In Finestra sul Nulla per giunta, incredibili dictu, trovano molto più spazio che in tutta la sua opera successiva due tematiche puramente romantiche, l’amore e la poesia, nutrimenti della vita affrontati da Cioran con un’ottica tutto sommato positiva – ancora, attorno al 1945; più avanti sarà diverso; ma in fondo già da questa Finestra sul Nulla Cioran non tarda a intravedere la sua radicale estraneità verso tutti e tutto, la sostanziale inapplicabilità, a proposito della sua persona e anche della sua emotività, dei criteri umani standard che caratterizzano e categorizzano tanto la vita umana in società quanto l’interiorità stessa di ogni individuo.
“Tu non sei tagliato a misura del sole, se le tue vene pulsano sempre in disaccordo con l’azzurro, se i tuoi polmoni respirano sempre in armonia con le tenebre. Tu hai rotto con il sole prima di rompere con la Terra; il tuo pianeta è la Notte”. È con questo monologo allo specchio che Cioran si slancia definitivamente sul vuoto, è con questa allocuzione al silenzio, al silenzio lunare della sua stessa anima, che Cioran si immerge finalmente nel lato notturno che noi tutti conosciamo e amiamo.
Poi verranno il Sommario di decomposizione, e Squartamento, e Storia e utopia, e un libro cult sin dal titolo quale è L’inconveniente di essere nati. A monte c’erano infinite veglie notturne, un’incessante insonnia, angoscia a non finire, passeggiate saturnine senza alcuna direzione che pure hanno definito l’erraticità e l’atopia di tutti gli schemi mentali di questo pensatore unico nel suo genere. Ma il momento in cui l’esperienza si fa letteratura, il laboratorio in cui Cioran filtra la sua stessa esistenza per trarne una filosofia che è assalto all’Assoluto e ad ogni illusione di sistema – quest’interregno atavico in cui Cioran diventa Cioran, solo la Finestra sul Nulla ce lo può restituire. Da qui deriva l’angoscia profonda e senza soluzione che permea queste pagine – di solito leggendo il rumeno si vive una sorta di Schadenfreude, se non una vera e propria catarsi alla vecchia maniera, ma la Finestra sul nulla manca di quel distacco spettatoriale necessario per vedere una tragedia senza viverla. In fondo, Finestra sul nulla è l’anello mancante della sua evoluzione letteraria, un vero e proprio “grado zero” di Cioran: excusez du peu…