Le parole degli altri: Mario Benedetti
Nota a Per Mario Benedetti, Mimesis Edizioni
di Valérie T. Bravaccio
L’impossibilità di assistere ai funerali di Mario Benedetti durante il primo lockdown da covid (marzo 2020) è all’origine del progetto del libro, perché quello era, secondo i tre curatori – Alberto Garlini, Luigia Sorrentino e Gian Mario Villalta – l’«unico modo possibile per essere presenti, insieme nel suo ricordo». Così, per ordine alfabetico, quarantacinque personalità del mondo culturale odierno rendono omaggio al poeta Mario Benedetti. Per lo più, riprendendo brevi testimonianze già apparse in rete sul blog RAI di Luigia Sorrentino . Molti altri omaggi furono espressi al momento della morte di Benedetti (vedi ad es. une autre poésie italienne. ).
C’è chi lo ha conosciuto personalmente e chi no, riproducendo proprio sulla carta, in qualche modo, l’atmosfera particolare dei funerali. Il lettore sembra invitato a osservare un gruppo di persone che raccontano, a turno, aneddoti sul suo carattere (torna spesso che egli era difficile, introverso, ecc.), sintetizzato da Stefano Dal Bianco con l’immagine del coltello e della mozzarella; oppure sulla sua propensione al silenzio: era capace di restare un’ora senza parlare al bar seduto a un tavolo con un amico, come lo ricorda Tommaso Di Dio. Ironico, quando il quotidiano La Repubblica pubblicò la sua fotografia per annunciare la morte del poeta uruguaiano omonimo nel maggio 2009: «ci rideva su» ricorda Claudia Crocco. Accanto ai ricordi di alcuni con Mario Benedetti, c’è chi lo ha soltanto letto e apprezzato (o meno). E quindi, possiamo dire che il progetto iniziale sia stato compiuto e portato a buon porto dai curatori.
Ma, secondo me, c’è qualcosa in più. Il progetto sarebbe diventato anche un’istantanea sulla poesia e il modo di analizzarla oggi. Infatti, due personalità scrivono che, con tanto rispetto, la poesia di Mario Benedetti non è piaciuta loro, giustificandosi riguardo alla storia letteraria («è una tipica poesia di fine secolo» – Roberto Galaverni) e, secondo Andrea Gibellini, il poeta Mario Benedetti è stato «un soldato che visse in una sua personalissima trincea esistenziale». Poi, c’è chi fa il legame tra l’indole dell’uomo e il suo essere poeta: è introverso perché ha la «capacità di connettere elementi e mondi lontanissimi» come afferma Corrado Benigni; il silenzio in poesia «succede a chi parla con i morti» (Alberto Garlini). Vien fatto di pensare qui a Philippe Denis. Ma, secondo Milo De Angelis, Mario Benedetti aveva la «capacità di far convergere in questo silenzio le parole degli altri». Tuttavia, Gian Mario Villalta avverte che «c’è ancora molto da dire […] sulla forma di questa poesia». Infatti, ogni poeta, come ricorda Andrea Afribo, ha la sua “cultura libresca”, pittorica, ecc., non solo italiana ma anche internazionale, che è entrata ormai (e, cita, giustamente Vittorio Sereni) «nella sua cerchia esistenziale né più né meno che come persone». Oppure, aggiungiamo noi, “seconda natura” (mettiamo, in Giovanni Raboni). A fare luce anche sulla forma, in un modo molto raffinato, è invece Jean-Charles Vegliante. Per esempio, analizzando la metrica del verso “Vedere che non ci sei più, non dire niente” Vegliante afferma che si tratta di un «trimetro hugoliano, traccia delle letture che egli amava». Infatti, come ricorda pure Antonella Anedda, da poeta come lei è, Mario Benedetti leggeva i poeti francesi perché era «in grado di farsi colpire da folate di altri linguaggi (il francese prima di tutti)».
Il progetto iniziale di riunire personalità del mondo culturale odierno per assistere virtualmente ai funerali di uno scrittore, supera le aspettative solite perché offre spunti di riflessione su come analizzare la poesia in generale. La biografia è molto importante, certo, per capire un modo di scrivere, però non si deve dimenticare che a ogni poeta piace anche (o prima di tutto) la lettura. E nel caso la traduzione, ovviamente. La traccia delle sue letture, che siano esse in lingua madre o in lingua straniera, è improntata nella sua scrittura, nel suo modo di scrivere, o stile. E non appare soltanto attraverso tematiche o reimpiego lessicale. Come un’orma nella sabbia, essa può affiorare nella metrica e nel ritmo, per tramandare il battito del cuore; l’energia vitale, appunto. La comunicazione letteraria, come afferma Vegliante, è tra «locutore (io poetico) e interlocutore (tu che stai leggendo), [i quali] si possono ritrovare allora uniti in un discorso intimamente dialogico, a volte interrotto o “a buchi” e tanto più stimolante».
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Grazie all’autrice e alla (non) Nazione, di cuore! Così so qualcosa di un libro mai avuto (eleganza degli editori), e pare bello.
Jean-Charles