Del solvere e del dissolvere: cartolina da Montelago
«[…] qualche cosa che / provenga da mutilati orizzonti immaginari
di inconcepibile / travaglio»
Emilio Villa, Sybilla (foedus, foetus)
È una specie di proprietà ondivaga, radicata nel travaglio, a fare delle Marche una regione intermittente, che appare e spare da ogni topografia monumentale. Ecco perché Montelago è tutto un tracimare di incontri, di storie inconcluse ma – proprio per questo – traboccanti di avvenire. Questione di Viriditas, parola centrale nel pensiero di Ildegarda di Bingen (protagonista quest’anno di un incontro tra Lucia Tancredi e Loredana Lipperini): il grande verdeggiare del possibile quando lo si pianta con misura provvisoria, come una tenda nella “terra di mezzo”.
A Montelago non c’è spazio per la fissità: luogo di fiaba in itinere, orgogliosamente pericolante; luogo d’incongruenza, del solvere e del dissolvere, di ubriacatura balsamica; luogo di medicamento, prima del mondo e poi dell’immondo, ma senza ecologismi di facciata, perché qui si è ben consapevoli di cosa comporti una moltitudine non addomesticata, una città provvisoria capace – per dirlo con le parole di Piero Camporesi – di fondere «in una sintesi vitale, creativa, deflagrante, il profano con il sacro, l’impuro col puro, l’abominevole con l’incantevole, il selvatico con il domestico, l’orto col bosco, il devoto col sacrilego, il buffone con il savio, il folle con il principe» (La carne impassibile). Una tritura di opposti che dura da vent’anni, ma che fatico a non pensare lunga quanto la storia umana: medicinale perché ossimorica, impegnata nel commercio con la terra e con il cielo; ora estatica, ora assorta in un grande sonno di bimbo arrostito al sole.
Il popolo di Montelago è, come diceva un filosofo francese, un popolo «che manca», che non esiste ancora, ricostituito volta per volta, attendato dentro il proprio orizzonte di costruzione. Ed è forse per questo che le foto più esaltanti sono quelle che riprendono Montelago dall’alto, in una prospettiva aerea dove la vertigine rovescia l’identità, e si smette di riconoscersi per trovarsi altri: moltitudine in festa, che danza senza sosta la propria rinascita.