Prima fascismu, adés no sai – FEDERICO TAVAN

poesie di Federico Tavan, fotografie di Danilo De Marco

 

[dall’archivio di NI: pezzo pubblicato, nell’ambito di una carrellata di poeti friulani, l’11 febbraio 2015]

002 Federico Tavan

 

 

 

 

 

 

Adés

Prima fascismu

Adés no sai

Prima pan e fam

Prima dut un picjât

Adés panza e robes in pì

Adés l’obligu de chista libertât

 

Prima parons e gosàdes

Adés paches su li spàles

 

Prima dute’ li póures

Prima cjantâ

Adés duç par cont siȏ pì poura

 

Adés la vous ch’a mour

 

Adesso. Prima fascismo / Adesso non so / Prima pane e fame / Prima tutto peccato / Adesso pancia e roba in più / Adesso l’obbligo di questa libertà / Prima padroni e sgridate / Adesso pacche sulle spalle / Prima tutte le paure / Prima cantare / Adesso ognuno per sé più paura / Adesso la voce che muore.

 

 

004 Federico Tavan a Parigi nell'osteria Le Baron Rouge

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ài gola da dîve

 

Scusâme mitant,

ma âi gola da dive

che la bambola Barbie

ch’a se lava besola

a no me plâs.

E comunque

no ve la crompe.

Ài gola da dȋve

che pici a s’éis

‘na volta sola

e a dura puoc:

bisȗn profitâ

par cȏre

matiâ

crȏde ta li fates

e ta li stries.

E cuan’ che ‘e jodéi

un matuscel

un cjochetón

ch’al fài robes strambes

che vostre pare

nanç a li sumièa,

lassâlu stâ:

vȏ no podéi capìlu,

no stéi dâie

né pecjades

né carameles.

Anç un pȏr biât

a se comouf

denant la luna e li steles.

Ài gola da dive

che cualche volta

anç a disubidî

a no’l éis un picjât,

e che no saréi’

miei de ades

cuan’ che ‘e saréi’

miedes

ingegnêrs

o avocatz.

 

Ài gola da dîve…

 

Voglio dirvi (Ai bambini più piccoli). Scusatemi tanto / ma voglio dirvi / che la bambola Barbie / che si lava da sola / non mi piace./ E comunque / non ve la compero./ Voglio dirvi / che piccoli si è / una volta sola / e dura poco: bisogna approfittarne / per correre / giocare / credere nelle fate / e nelle streghe./ E quando vedete / un pazzo / un ubriacone / che fa cose strane / che vostro padre / nemmeno le sogna / lasciatelo perdere:/ voi non potete capirlo / non dategli / né pedate / né caramelle./ Anche un povero disgraziato / si commuove / guardando la luna e le stelle./ Voglio dirvi / che qualche volta / anche dissubidire / non è peccato / e che non sarete / migliori di adesso / quando sarete / medici / ingegneri / o avvocati. Voglio dirvi…

 

009 DM 41 copy

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrèes

 

Quatre cjases in crous.

Se no tu fai ad ora a scjampâ

uchì tu devente vecje e tu mour.

Un po’ de prâtz

dos tre montz

se no tu scjampe

no tu scjampe pì

tu devente Andrèes.

 

Andreis. Quattro case in croce./ Se non fuggi in tempo / qui diventi vecchio e muori./ Qualche prato / due tre montagne./ Se non fuggi, non fuggi più: diventi Andreis.

 

007 Il tavolo della cucina di Federico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Maledeta chê volta

 

Maledeta chê volta

ch’ài tacât a scrîve

no parceche

al é mal scrîve

ma parceche

era maledeta chê volta

che ére belsoul

e vaîve

e par chist

’e scrivêve.

 

Maledetta la volta. Maledetto il giorno / in cui ho cominciato a scrivere / non perché / sia male scrivere / ma perché / era un giorno maledetto / quello in cui ero solo / e piangevo / e per questo / scrivevo

 

008 Federico Tavan ad Andreis (2)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al Maestro

 

Massacrât

fat a tocs

e stocât

pa la strada.

Tu tu n’à spiegât la storia

dei mȗrs altz

mȗrs altz

mȗrs altz

dal “palazzo”

cjadénes

che tu volève rompe

ch’i devente

come flauries per chî prâtz.

Mestre al tiò diviers

mout d’éisse

la tȏ muart

granda tal paltan.

Chist martiriu

cussì just

e nȏ ignorantz

puoç restâtz.

Cuanche la lȗs

a deventa scovatura,

cuanche un om al è

plen de sanc

a ne insegna la vita

e la muart.

Mestre,

jo te puarte

l’ultima rabia

strenta intal pugn

de la man

coma ultin salût

al om de cultura

comunista

omosessuale

odiât dai dius de la tiera

l’uniçu ch’al à dit la veretât

e ch’al è finît

coma ch’al

veva da finî,

“tra gli sghignazzi

della stampa”

dei mûrs altz, de li cjadenes

dal “palazzo”.

Copât

intant ch’al tentava

par l’ultima volta

de vei coraju.

Par me reste uvì

poeta

par chialtres

un stupedu tentativu de recuperâte.

Jo che soi un por biât

no po fâ altre

che jȏde incjamò

al “palazzo”

restât tal e cual

cui mûrs altz

e li cjadenes

Jo che soi mat

e jȏt li tȏ mans

plenes de sgrifades

ch’i tenta de jescî.

Al é nuot

a Ostia

de uviêr

no jot nua.

Al fâi freit

a Ostia

a novembre

Mestre

ài freit.

 

Al Maestro. Massacrato / fatto a pezzi / e schiacciato / sulla strada./ Tu ci hai / spiegato la storia / dei muri alti / muri alti / del palazzo / catene / che tu volevi rompere / che diventano / come fragole nei prati./ Maestro / il tuo diverso / modo d’essere / la tua morte / nobile nel pantano./ Questo martirio / così giusto / e noi ignoranti / pochi rimasti./ Quando la luce / diventa spazzatura / quando un uomo è / pieno di sangue / ci insegna la vita / e la morte / Maestro / io ti porto / l’ultima rabbia / stretta nel pugno / della mano /come ultimo saluto:/ all’uomo di cultura / comunista / omosessuale / odiato dai potenti della terra / l’unico che ha detto la verità / e che è finito /come doveva finire /”tra gli sghignazzi / della stampa / dei muri alti / delle catene / del palazzo./ Ammazzato./ Mentre tentava / per l’ultima volta / di avere coraggio./ Per me resti il /poeta / per gli altri / uno stupido tentativo di recuperarti./ Io che sono un povero diavolo / non posso far altro / che vedere ancora / il palazzo / rimasto tale e quale / con i muri alti / e le catene./ Io che sono matto / vedo le tue mani / piene di graffi / che tentano di uscire. / Ė NOTTE / A OSTIA / D’INVERNO / NON VEDO NULLA./ Ė NOTTE / A OSTIA / D’INVERNO / NON VEDO NULLA./ Ė freddo / A Ostia / a novembre / maestro / ho FREDDO.

 

010 Federico Tavan sulla porta di casa sua ad Andreis

 

 

Federico Tavan nostra preziosa eresia

Federico Tavan (Andreis 1949-2013) cresce segnato da superstizioni, deliri e difficoltà psichiche. I suoi demoni lo invadono. È a pelle nuda, senza autodifese di fronte al mondo. Convivere con gli obblighi imposti dalla società è sempre più improbabile. Già a scuola viene castigato troppo spesso perché “…ero lo zimbello, il complessato, il diverso…e continuavo a grattarmi”. Poi in collegio al Don Bosco di Pordenone, “…il collegio di quel Santo di Don Bosco, roba da ricchi nel ’62…e i preti 37 aguzzini… Un esercito. Scodinzolante in nero” che per Federico si trasforma in un vero e proprio lager. Il padre poi che si vergognava di quel figlio, fa carte false per obbligarlo al servizio di leva. Viene esonerato dopo alcuni mesi perché bacia in bocca il suo capitano. Al lavoro, a singhiozzo, tra momenti di ricovero e vita normale… alla catena di montaggio della REX sembra un sabotatore agguerrito. Ma era solo distratto. Lo allontanano.   Ogni suo tentativo di socializzare – a modo suo naturalmente – viene vanificato. Ego-eccentrico fino all’osso – sulla sua porta di casa inciso in un legno un Qui dorme lui in bell’evidenza – per salvarsi da un suicidio a portata di mano, gli resta solo la possibilità d’amore “…me stesso da amare” e una poesia d’amore che prende a pugni il nulla parlando “de monades/e de me”. Riuscendo così ad esprimere attraverso una poesia tempestosa una condizione di profonda perturbazione congiunta ad un’estrema necessità di felicità semplici: “Se fos normal/e sunarés/dute’ li cjampanes…E po’ via/ pa’ chî prâtz/a deventâ/flours/âs/e/la meil/. (Se fossi normale/suonerei tutte le campane. E poi via per i prati a diventare fiori, api e miele). Per Federico si tratta di farsi vivere e di sopravvivere al male fatto – il venire al mondo – tra quello che è il ‘mal fatto’ e quello che fa male. Ma è Mario Turello che abbozza un secco e acuto ritratto : “Ha appreso l’arte della bisnonna (Mi ava-banda), dell’ava-banda/vecj contrabandiera/inteligjenta, che nascondeva esibendo: no jodéu ch’ài al cos/ plen de tabac, e otteneva col riso di non essere presa sul serio. Ugualmente lui, Federico, il berretto a sonagli indosso, contrabbanda tra understatement e meditata stravaganza, la poesia, non insana e non minore, ma autentica e intelligente, de un par cui nasce/ al éis comunque biel” ( di uno per cui nascere è comunque bello).

 

001 Federico Tavan fotografato da Danilo De Marco

 

 

 

 

 

 

 

NdR: le traduzioni in italiano sono dell’autore e di Aldo Colonnello, e il testo finale di presentazione di Danilo De Marco; di Tavan vedo due volumi pubblicati, entrambi non disponibili; le fotografie di De Marco, in ordine di apparizione:

1) Federico Tavan

2) Federico Tavan a Parigi nell’osteria Le Baron Rouge

3) Federico Tavan

4) Il tavolo della cucina di Federico

5) Federico Tavan ad Andreis

6) Federico Tavan sulla porta di casa sua ad Andreis

7) Federico Tavan fotografato da Danilo De Marco

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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