Articolo precedente
Articolo successivo

Annie Ernaux e “Le jeune homme”

 

di Ornella Tajani

 

Le roman est impossible.
A. E.

Annie Ernaux conferma il suo talento in ogni testo che scrive, anche nell’ultimo Le jeune homme, apparso in Francia a maggio per Gallimard: il racconto della passione per un ragazzo di vent’anni, nel momento in cui lei era già una scrittrice cinquantenne, diventa una sorta di dispositivo immaginifico della memoria, sia sul piano dell’esperienza, sia su quello della scrittura. I mesi trascorsi con A. scorrono per l’autrice sopra una sorta di nastro di Krapp: tutto è già stato vissuto, le strade di Rouen in cui passeggia con lui sono le stesse che percorreva quando era una studentessa di lettere; l’ospedale dirimpetto all’appartamento in cui fanno l’amore è quello in cui era stata ricoverata in seguito al tentativo di aborto clandestino raccontato in L’événement.

Questo è senz’altro uno dei punti di forza di Ernaux: ogni nuovo testo è un tassello di una medesima opera più grande, unitaria, un’auto-socio-biografia che racconta il suo percorso di donna, di intellettuale, e nel farlo dipinge sullo sfondo l’affresco di un’epoca e uno spazio attraversati dalla lotta di classe.

Le storie di Ernaux non sono mai soltanto ciò che sembrano: ogni episodio travalica i confini del vissuto e produce riflessione, discorso. È questo uno dei sensi dell’esergo: «Si je ne les écris pas, les choses ne sont pas allées jusqu’à leur terme, elles ont été seulement vécues». L’idea della scrittura come compimento e (ri)significazione insegue un’elaborazione che aggira il percorso psicanalitico e ripercorre le tracce di esempi letterari classici: se proustianamente il ricordo è una forma di passione, per l’autrice la passione è già una forma di scrittura, e qui di ricordo. A questo proposito, l’incipit può trarre in inganno e sulle prime apparire stucchevole: «Souvent j’ai fait l’amour pour m’obliger à écrire», ma a ben guardare si rivela una provocazione; l’amore, anche fisico, è sempre per Ernaux il motore di un’analisi introspettiva che si spinge ben oltre la relazione di volta in volta narrata. Qui il ragazzo amato rappresenta «le passé incorporé», e, più avanti, è visto da lei come la propria stessa morte: «il était ma mort» (il giovane amante come incarnazione della propria morte è, peraltro, una figura tipica nell’opera di Jean Cocteau).

Quasi tutto il senso del racconto è racchiuso in ciò che A. dice nel momento in cui vede una foto di lei da giovane, al tempo in cui l’autrice aveva la sua stessa età: «cette photo-là, elle me fait de la tristesse» – frase emblematica di una dolorosa impossibilità, ma che ben suggerisce il gigantesco déjà-vu (déjà-vécu) che è al centro di questo piccolo libro.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Downstream, rassegna di poesia e prosa ultra-contemporanea

a cura di Chiara De Caprio, Giorgia Esposito e Valeria Rocco di Torrepadula
𝐃𝐨𝐰𝐧𝐬𝐭𝐫𝐞𝐚𝐦 è uno spazio dedicato a testi di poesia e prosa ultra-contemporanea - a Napoli -

Mots-clés__Pioggia

a cura di Paola Ivaldi
La pioggia mi riporta
i pezzi dispersi
degli amici, spinge in basso i voli
troppo alti, dà lentezza alle fughe e chiude
al di qua delle finestre finalmente
il tempo. [Patrizia Cavalli]

Tre segreti di Pulcinella su vita e politica

di Lorenzo Mizzau
Dispositivo. Che il mondo in cui viviamo si esaurisca in un vertiginoso reticolo di dispositivi, sorprende così poco che, a ben guardare, proposizioni simili assumono oggi tutta la carica di ovvietà della tautologia.

Calvino: tre maniere stilistiche (1963-1972)

di Chiara De Caprio
È apparso per la casa editrice il Mulino "La lingua di Calvino" di Chiara De Caprio, terzo volume della Collana Italiano d’autore, diretta da Andrea Afribo, Roberta Cella, Matteo Motolese. Per gentile concessione dell’editore, si pubblica il paragrafo Tre maniere stilistiche (1963-1972)

Nel mondo di Francesca Alinovi. Intervista a Giulia Cavaliere

a cura di Pasquale Palmieri
Nel libro ho cercato di raccontare come quei tratti distintivi nel discorso di Alinovi siano profondamente corrispondenti alle tensioni umane e culturali della sua contemporaneità, di quel passaggio di pieno postmodernismo, in cui i Settanta diventano Ottanta, in cui il collettivo e l’individuale sembrano coesistere per un attimo prima di darsi il cambio definitivamente

Immagini fantasma: Rimbaud, Michon, Proust, Carson

di Ornella Tajani
Nel 1981 Hervé Guibert ha dimostrato definitivamente le potenzialità del racconto di una foto in absentia: in "L’image fantôme" l’autore crea un percorso fra scatti mai sviluppati, perduti o in via di decomposizione, in ogni caso invisibili a chi legge. Il supporto diventa irrilevante: in una scrittura di questo tipo, «che la fotografia di cui [si] parla sia vera o inesistente è esattamente la stessa cosa»
ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: