Da “Curriculum vitae. Poesie 1960-1968”

La collana Biblioteca di poesia, diretta da Massimo Rizzante per l’editore Metauro, è dedicata a rendere accessibili in Italia alcune delle maggiori voci della poesia internazionale ed europea in particolare. In questi anni sono uscite prime antologie di autori inediti in volume, quali il ceco Jan Skácel, il brasiliano Haroldo de Campos, il polacco Tadeusz Różewicz, lo spagnolo Jan José Ángel Valente, il francese Jean-Jacques Viton. Dal mese scorso, è disponibile l’antologia del poeta catalano Gabriel Ferrater, curata da di Pietro U. Dini. Ne presentiamo qui alcuni testi.

.

di Gabriel Ferrater

Traduzione di Pietro U. Dini

ATTRAVERSO I TEMPERAMENTI

Alcuni pini troppo sensibili si contorcono

lasciando intendere come si sentano patetici

mentre compiono questo dovere lirico

di esprimere il vento, che pure giunge limpido.

Le radici scricchiolano sorde, e i rami

esultano di dolore per proclamare

che è grave che soffi lo spirito. Il vento,

quando esce dal bosco, è tutto marcio di lamenti.

*

FINE DEL MONDO

Posso ripetere la frase che s’è portata via

il tuo ricordo. Non so più nulla di te.

Questa insistente acqua di parole,

sempre crescente, va sgretolando i margini

della vita che credetti reale.

La terra pietrosa e faticosa

per il camminare, e gli alberi che mi ferivano

gli occhi con un ramo delicato,

tanto vivacemente maligno e convincente

grazie alla prova migliore, quella delle lacrime,

pare non siano nulla. Si arrendono

all’ampio grigiore screziato

di sperma pallido, stomachevole. Tutto cade

con un rumore lento e molle, e fluttua

informe, o s’inabissa per sempre.

Tutto ha senso, soltanto senso, tutto è

così come ho detto. Non so già nulla di te.

*

POSSEDUTO

Sono ben lontano dall’amarti. Quando i vermi

faranno del mio corpo una cena fredda

vi troveranno un retrogusto di te. E sei tu

che indecentemente ti sei amata al mio posto

fino alla curva: sazia di te,

ora ti ecciti, te ne vai dietro

a un altro corpo e mi neghi la pace.

Non sono altro che la tua mano che palpa.

*

TRE LIMONI

Gennaio benigno. Sotto

molta aria verde, le cose

oggi non sono scontrose

né il luogo è arido. Guarda:

tre limoni, posati

sull’aspra lastra.

Giacché si bagnano di sole

e puoi esaminare

senza dubbi né fretta

la metrica semplice

che li lega, pensi

che non significhino nulla?

Guardali, ti basti.

. . . Cuore sedotto,

rinuncia sin d’ora,

taci. Non farai tuo

il gioco dei tre limoni

sull’aspra lastra.

Né sarai in grado

di protestare prima di perderlo.

Nessun sobbalzo della memoria

abolirà la quieta

maniera di estinguersi

che hanno i ricordi.

*

PERÒ NON MI DESTAR

Non entrare ora. Perditi

sulla ghiaia scricchiolante

e tristemente rosata.

Cammina lentamente. Fermati

a guardare come stanno dritte

le foglie dell’alloro.

Non cercare le arance

dal colore troppo schietto.

Ama piuttosto i ridicoli

bambù, come le spine dorsali

degli insetti pazzi o incapaci

che son morti sbattuti a terra.

Concentrati sulle cose rigide

e sugli schemi. I fasci

volgari di linee azzurre:

sono panchine. Sfere

morte: sono i monconi

dei platani del sentiero.

Lascia passare tre ore,

e poi entra. Vedi

tutto quel che è rimasto:

i posacenere strapieni,

la metà dei bicchieri

sporchi di rossetto.

Qui hanno vissuto, e tu

non c’eri. Non hanno visto

nessun tuo gesto, né ti han sentito

dire nulla. Serviti un gin.

Non chiedere il ghiaccio: è stato tutto sciolto.

Puoi sederti, ravvivare il fuoco,

e credere che abbiano vissuto.

*

IL DISTRATTO

Certamente oggi c’erano nuvole,

ma non ho guardato in alto. È tutto il giorno

che vedo volti e pietre e tronchi d’albero,

e porte attraverso cui volti entrano ed escono.

Guardavo da vicino, non mi alzavo da terra.

Ora m’è venuto buio e non ho visto le nuvole.

Bisogna che domani me ne ricordi. L’altro giorno

ho guardato in alto, e oltre la ringhiera

di un terrazzo, una ragazza che s’era

lavata la testa, con un asciugamano

sulle spalle, si passava

una, dieci, venti volte, il pettine fra i capelli.

Le sue braccia assomigliavano ai rami di un albero molto alto.

Erano le quattro del pomeriggio, e c’era vento.

*

IL LETTORE

Fra gli oggetti del mondo, fra i pochi

oggetti che possiedo, c’è un tagliacarte:

una corta lama d’avorio,

nuda tra le mie dita, che si fa dorata o pallida

secondo la luce dei giorni e dei luoghi.

Sono vent’anni che me lo ritrovo in tasca,

non ricordo neppure chi me lo donò.

È ammaccato: molte volte l’ho raccolto da terra

in una mia stanza, o fra i piedi,

dopo aver pagato la notte in un bar.

Mi ha aperto migliaia di pagine: ricordi, menzogne

di altri uomini (e di ben poche donne).

E io non ricordo neppure chi me lo donò.

E non so mentirmi un ricordo in più, qualche mano.

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