Amor, ch’a nullo amato amar perdona
di Antonio Sparzani
Quando trovo un libro che mi piace molto, il mio istinto di rozzo e incapace recensore sarebbe di gridare semplicemente: “lasciate cadere quello che avete in mano e correte subito a comprare il libro tale e leggetelo tutto d’un fiato”. Ma poiché questo non invoglierebbe se non forse i pochi che mi conoscono bene e condividono i miei gusti, mi pare che sia meglio, e anche più giusto, usare mezzi più persuasivi per invogliare il potenziale lettore, raccontandogli almeno qualcosa del libro stesso. Così:
«Oggi ancora, lei, che splende inghirlandata
di magnolia d’oro,
volto di loto in fiore, tenue la linea della pelurie
sul ventre,. . .»
così cominciavo qui, nel 2019, a parlare di un volume di Giuliano Boccali, nel quale l’autore traduceva e illustrava alcuni poemetti (Nuvolo messaggero, Centuria d’amore e Le stanze dell’amor furtivo) della letteratura indiana. Ma lo scorso febbraio è uscito questo suo nuovo libro Il Dio dalle frecce fiorite – miti e leggende dell’amore in India (Il Mulino, 243 pp., €16), tra l’altro molto ben corredato di quasi una trentina di immagini a colori, nel quale l’autore, allargando assai la prospettiva, si propone di dare un quadro più complessivo dell’amore nelle sue molteplici sfaccettature nella letteratura indiana (e il titolo dantesco di questo post è citato da Boccali stesso in uno dei molti racconti).
Quando si iniziano a leggere i primi capitoli, si comincia ad avere davanti agli occhi uno straordinario, rutilante turbinio di storie, di poesie, di vicende, in gran parte mitologiche anche se non completamente, nelle quali dèi supremi (Vishnu, Shiva e la Dea, in sanscrito Devi), il dio creatore (Brahma), dèi meno importanti, antidèi (asura), demoni, umani di varie caste si mescolano continuamente in intrighi, innamoramenti, tradimenti, rinunce, ascetismi alla base dei quali incontrastato – o meglio – talvolta assai contrastato ma sempre presente, comunque regna l’amore, il Leitmotiv dell’intero scritto, come del resto dichiara il sottotitolo.
Mi pare che le prime righe del testo, quelle con le quali inizia il Prologo (il cui titolo, già significativo, è In principio fu il Desiderio), siano la migliore illustrazione possibile di tutto il tema, per cui ve le riporto così come sono:
“Le fattezze di Kamadeva, l’indiano dio dell’amore, certo sono molto affascinanti, anche se piuttosto pericolose, e le sue attività genialmente multiformi, anche se talora disastrose. È stato generato con un atto mentale spontaneo dal Creatore Brahma, invaghito della sua precedente creazione, la sublime Sandhya impareggiabile per bellezza, che infatti incontreremo lungo il filo dei nostri racconti. Al pari del suo collega greco-romano Cupido – kama in sanscrito significa proprio cupido, «desiderio» -, egli si presenta come un meraviglioso giovane armato di arco e frecce, che la fantasia indiana concepisce in maniera molto immaginosa. Infatti l’arco di Kama è di canna da zucchero, la corda è costituita da una fila di grandi api nere, emblema in India del desiderio volubile e insaziabile, mentre le punte delle sue frecce sono fatte di fiori, cinque fiori identificati con precisione: loto bianco, ashoka [saraca asoka], mango, gelsomino e ninfea blu, donde l’epiteto molto frequente di «Dio dalle frecce di fiori», «Dio dalle frecce fiorite». È sprovvisto di ali mentre il suo animale veicolo e compagno è il pappagallo. Suo amico e alleato di elezione è Vasanta, «Primavera» (maschile in sanscrito), pure nato dalla mente di Brahma. In altra, più inquietante circostanza hanno origine sempre dal Creatore le truppe del dio, i Mara, «Assassini» (già!), ai quali viene affidato il compito di confondere le menti di chi è colpito dai suoi dardi e di ostacolare in ogni maniera i ricercatori nella via della conoscenza del mondo. Sull’insegna di Kama è raffigurato. . . un po’ scherzosamente non riveliamo per ora quale animale sia effigiato sulle bandiere del dio, rinviando la risposta al termine del percorso . . .”
Anch’io mi guarderò bene dal fare spoiling rivelando a voi quale sia questo sorprendente e inaspettato animale simbolo, che viene rivelato verso la fine del libro, dirò che non è certo un animalino dolce e grazioso come uno si potrebbe aspettare. Il libro contiene tante storie, la maggior parte delle quali risalgono a testi assai antichi, dal Rigveda e dal Mahābhārata in poi e anche raccontarne per disteso una sola occuperebbe molto spazio. Mi limiterò dunque a cercare di centrare un punto che Boccali, la cui conoscenza e competenza in tutto questo ambito di sapere sembrano davvero sconfinate, sottolinea verso la fine del libro (p. 180) e che suona così:
“Come già si è detto, a partire da Brahma stesso non c’è infatti alcun maschio, dio, asceta, saggio, eremita, re-veggente – ma proprio nessuno – che non abbia ceduto almeno una volta al fascino femminile, pur avendo pronunciato voti che gliela proibivano tassativamente. Il racconto delle loro storie occuperebbe una intera collana di libri, non un solo capitolo di un libro come questo. E ciò inequivocabilmente significa che per la visione indiana diffusa l’esperienza dell’ amore è fondamentale, insostituibile, proprio ai fini dell’adempimento del destino spirituale più alto: conoscenza e amore sono inscindibili, fusi l’una nell’altro. Su questo terreno germoglia e cresce la convinzione espressa dai tantra che il sesso è uno dei mezzi principali per accedere rapidamente ai livelli superiori di coscienza e alla liberazione.”
Aggiungo solo la considerazione (un po’ fuori tema) che mi piacerebbe molto che l’attuale primo ministro Indiano Narendra Modi, fondasse davvero la sua amministrazione sull’amore (così come, in un mondo assai diverso dall’attuale, dovrebbero fare tutti i governanti).