“Corpo di buio” – da The European Eel, di Steve Ely
di Stefania Zampiga
Consapevole delle complesse coordinate dell’Antropocene e dell’era della Sesta Estinzione, Steve Ely, poeta inglese dello Yorkshire del sud, contribuisce al nature writing, la scrittura della natura, con un particolare poema lungo dal titolo The European Eel, L’anguilla europea, (Longbarrow Press 2021) di cui qui propongo in traduzione le prime tre strofe e la parte finale. Non è la prima volta che il pesce migratore oggi in “pericolo critico” di estinzione sia il protagonista di un libro, se si considera anche solo il recente romanzo di Patrick Swenson, Nel segno dell’Anguilla (Guanda 2019), ma con The European Eel si tratta della prima opera in versi interamente dedicata a questo vivente.
L’autore sceglie la precisione di uno sguardo all’incrocio fra biologia marina, cartografia e protezione ambientale per avvicinarci al misterioso ciclo vitale fra due continenti e lascia che i termini delle discipline scientifiche da lui studiate passino i confini dello spazio di solito riservato alla tradizionale scrittura poetica per abitarlo e ricordarci connessioni e responsabilità etico-ecologiche.
Dal suo punto di vista, scrivere di natura in modo credibile oggi implica approfondirne la conoscenza e posizionarsi anche per quanto riguarda la scelta dei registri linguistici. Nel suo testo, i termini geografici e biologici, le misure per le quantità, le proporzioni e le distanze, i nomi delle zone che fanno da contesto ai viaggi e ai soggiorni delle anguille fra il Mar dei Sargassi e i corsi d’acqua europei sono luminosi nei loro suoni e nel carattere iperrealista espressionista che danno al poema. Al tempo stesso si fanno aiuto a immaginarci vite che paradossalmente si svolgono in un buio anche metaforico, visto quanto ancora la scienza stessa deve scoprire su questi animali e sulle loro traiettorie dall’inizio alla fine comunque segnate dalle nostre scelte umane.
Nella Zona di Convergenza Subtropicale
dei Sargassi Meridionali, al di là dell’Abisso di Nares,
a sudest della cresta delle Bermuda, sale una colonna
di neve dalla profondità di millecinquecento piedi.
Da qualche parte nel buio salato di Teti,
in zampilli di latte e uova fluttuanti, le anguille
danno vita alla loro posterità, una tempesta
di spore di uova
in innumerevoli centilioni, ciascuna sorretta
sul suo micron di olio. Gli embrioni galleggiano
nell’acqua del Miocene come granelli di polvere
presi in un raggio di luce, e ascendendo
attraverso il fotoclino, si uniscono al microplancton
termonucleare della deriva epipelagica.
Nell’acqua a diciotto gradi, avviene,
si ipotizza, la schiusa dopo due giorni
di crescita embrionale, dopodiché emerge
l’immagine a capocchia di spillo- venata, allungata,
una foglia di salice bianco trasparente,
leptocephalus, la forma larvale di anguilla,
che assorbe il suo sacco vitellino per dieci o dodici giorni,
allungandosi giorno per giorno in micrometri,
prendendo peso giorno per giorno in microgrammi,
sinché due settimane dopo la schiusa, con la taglia
di un granello di sabbia o di un punto di frase enfatico,
scardina le sue minuscole fauci spalancate,
zanne lunghe la metà della testa, e caccia
nella bufera eutrofica, prendendo diatomee,
dinoflagellati, microsfere di polietilene,
rifornendosi per il lungo viaggio di trenta mesi,
dai Sargassi all’abisso di Biscaglia.
I Sargassi, una lente chiara di salmastro seduta
leggera sul gelo dei fondali antartici,
spinta in un cumulo dal vortice del Nord Atlantico (1).
Il mare deserto, la vita confinata ai bordi turbolenti,
le autostrade dell’anguilla, e le zattere galleggianti
di sargassi alla deriva, da cui il nome del mare.
Il mare cimitero, inghiottitore di navi da guerra
e Grumman Avengers (2), dove gli annegati
fluttuano per sempre in sospensione di zombi
e l’albatro marcisce sullo specchio.
Colombo vi aveva urtato la prua proprio lì
sulla via del saccheggio del Nuovo Mondo,
ma gli piacquero i Sargassi—blu come il cielo
in Andalusia, profumati come l’aria a Siviglia—
il mare di rifiuti, dove la plastica di tre continenti
forma tappeti grandi come la Spagna.
[…]
20 gradi nord, 62 ovest.
L’altura esterna della Fossa di Porto Rico,
cento miglia a nord di Anguilla.
Luna nuova, 1% visibile. Buio da piovra gigante
illuminato solo dalla fosforescenza del polpo
e dalle detonazioni luminose di anguille eiaculanti.
Stanno viaggiando assieme ormai da cinque giorni,
attraverso le fiamme sfrigolanti di uova fertilizzate
e la caduta disarticolata, spazzatura spaziale
di anguille morte e morenti. Questo è il predestinato,
ineludibile fato, il fato di ogni anguilla atlantica
da quando l’asteroide dello Yucatan
sganciò la sua apocalisse
cinquanta milioni di anni fa—finire
nell’atto di riprodursi e morire nel piacere residuo
della dopamina,
scendendo dalle altezze torreggianti dell’oceano
sulle argille rosse nere dell’abisso di cinque miglia,
strato su strato su strato googolplexiano.
I loro corpi a pezzi, tenuti assieme
solo da una pelle incellofanata e il cervelletto
kamikaze che dice di vivere! —riprodursi e morire.
Ora stanno correndo grazie ai neurosteroidi,
esaurita la forza muscolare—ora o mai più.
Ma la trasformazione biochimica di lei
è infine completa—la luna nera trema
nel suo grembo teleosteo e d’improvviso
lei è incoronata nel sesso.
Lui si indurisce e comincia a danzarle intorno,
fiutando le acque, avanzando e ritirandosi
in un tentato ballo festoso sottomarino;
come fosse terrorizzato di avvicinarsi, come
avesse almeno un occhio glauco su quella mascella
spalancata da trappola per topi.
Lei va alla deriva e lo ignora, spalanca e chiude
quella mascella da trappola per topi, lo invita in avanti,
fino a che lui prende il coraggio di toccare,
venendo sotto e strofinando la pancia pulsante di lei
con le sporgenze della sua testa. Impasta la carne
della sottoscocca di lei con un massaggio a zigzag
dalla gola plissettata all’ano. Lei sta a bocca aperta
e si contorce, nuota,
e per un po’ nuotano assieme stretti l’uno all’altra,
mentre lui avvolge il suo cavo attorno alla corda
del corpo di lei, costringendolo e liberandolo,
portando lei al limite. Lei sta a bocca aperta e si contorce,
apparentemente impassibile—ma è iniziata una frana
dentro di lei. Lui scioglie le sue spire e di nuovo
nuota sotto di lei, strofinando il naso sulla fessura gocciolante
come un caccia in rifornimento da un’aerocisterna,
urtando il turgore del suo sacco di uova allentato,
innescando il sovraccarico sensoriale che rilascerà
entrambi nell’estasi del corpo, la foga per DMT
e ossitocina del coito e dell’estinzione.
Dello sperma pompa giù dal tubo della sua uretra
e risale allo sfintere della fessura;
lui si irrigidisce ed eiacula un’esplosione
di cariche di profondità di sperma. Lei trema
e il suo peso d’oro scivola.
Si accoppiano nella nuvola di latte, illuminata nello choc
della fioritura—di nuovo lui sta strusciando la flangia
della sua fessura e urtando contro i muri
del suo celoma,
di nuovo lui eiacula—ancora, e ancora—
sino a che le acque ipertoniche fumano
di sperma, e il corpo tremante di lei
non lo trattiene più. Schiocca come una frusta
e il suo corpo si contorce, butta fuori zampillo
dopo zampillo di luccicanti uova dorate,
scintille dalla fiamma cornucopiana
dell’oscuro, immortale pleroma di Archea,
veloci attraverso la nebbia di sperma e ascendenti
attraverso il fotoclino per unirsi al microplancton
termonucleare della deriva epipelagica.
(1) Il vortice del Nord Atlantico—le acque calde saline dei Sargassi sono più alte di 90 cm al centro rispetto ai bordi, a causa dell’azione del vortice del Nord Atlantico; il Mar dei Sargassi siede su uno strato di acqua gelida che proviene dalle correnti che escono dal mare di Weddell.
(2) I cinque Grumman Avengers del volo 19 scomparvero nel triangolo delle Bermuda dei Sargassi il 5 dicembre 1945.
*
In the Subtropical Convergence Zone
of the southern Sargasso, over the edge of the Nares Abyssal,
south-east of the Bermuda Ridge, snow is rising
in the water column from fifteen hundred feet.
Somewhere in Tethys’ salty darkness,
in spurts of milt and billowing roe, eels
are birthing their posterity, a spore-storm of eggs
in uncountable centillions, each buoyed
on its micron of oil. The embryos float
in the Miocene water like dust motes
caught in a shaft of light, and ascending
through the photocline, join the thermonuclear
microplankton of the drifting epipelagic.
In the eighteen-degree water, hatching,
it is hypothesised, takes place after two days
of embryonic growth, after which emerges
the pinhead imago—veined, elongate,
a leaf of transparent white willow—
leptocephalus, the larval form of anguilla,
absorbing its yolk-sac for ten or twelve days,
lengthening daily by micrometres,
gaining weight daily in microgrammes,
until a fortnight after hatching, the size
of a sand-grain or emphatic full-stop,
it unhinges its tiny, gaping jaws,
fangs half as long as its head, and hunts
in the eutrophic blizzard, seizing diatoms,
dinoflagellates, polyethylene microbeads,
fuelling-up for the thirty-month long haul,
Sargasso to the Biscay Abyssal.
Sargasso, a bright lens of brine sitting light
on the freeze of the Antarctic Bottoms,
herded to a hump by the North Atlantic Gyre(1).
The desert sea, life confined to its turbulent edges,
the highways of the eel, and the surface rafts
of drifting sargassum from which it takes its name.
The graveyard sea, swallower of troopships
and Grumman Avengers(2), where the drowned
float forever in zombied suspension
and the albatross rots on the mirror.
Columbus struck his prow right through it,
en route to the New World’s plunder,
but he liked the Sargasso—blue as the sky
in Andalusia, fragrant as the air in Seville—
the garbage sea, where the plastic of three continents
forms mats the breadth of Spain.
[…]
20 degrees north, 62 west.
The outer rise of the Puerto Rico Trench,
a hundred miles north of Anguilla.
New Moon, 1% visible. Kraken darkness,
lit only by octopus phosphorescence
and the bright detonations of ejaculating eels.
They’ve been travelling in tandem for five days now,
through frittering flames of fertilised ova
and the disarticulate, space-junk fall
of dead and dying eels. This is their predestined,
inescapable fate, the fate of every Atlantic eel
since the Yucatan asteroid dropped its apocalypse
fifty million years ago—to ruin themselves
in the act of breeding and die in the dopamine afterglow,
drifting down from the towering heights of ocean
to the black red clays of the five-mile abyss,
layer upon layer upon googolplexian layer.
Their bodies are coming apart, held together
only by shrink-wrapped skin and the kamikaze
cerebellum that tells them live!—to breed and die.
They’re running on neurosteroids now,
their muscular strength exhausted— it’s now or never.
But her biochemical transformation
is finally complete—the dark-moon shudders
in her teleost womb and she’s suddenly wreathed in sex.
He stiffens and begins his dance around her,
nosing the waters, advancing and retreating
in a tentative submarine hokey-cokey;
like he’s scared to get close, like he’s got
at least one glaucous eye on that gaping, rat-trap jaw.
She drifts and ignores him, gaping and closing
that rat-trap jaw, beckoning him forward,
until he finally plucks up the courage to touch,
coming under and rubbing her pulsing belly
with the nacelles of his head. He kneads the flesh
of her underbody with a zig-zag massage
from pleated throat to vent. She gapes and twitches, swims,
and for a while they swim touch-tight together,
him coiling his cable around the rope
of her body, constricting and releasing,
bringing her to the edge. She gapes and twitches,
apparently impassive—but a landslide has started
inside her. He uncurls his coils and once more
swims beneath her, nuzzling at her leaking vent
like a Typhoon fuelling from a stratotanker,
butting the bulge of her loosening roe sac,
triggering the sensory overload that will release
them both into the ecstasy of body, the DMT
and oxytocin rush of coitus and extinction.
Milt pumps down the tube of his urethra
and backs up at the sphincter of the vent;
he stiffens and ejaculates a depth charge
blast of sperm. She shivers and her gold load slides.
They couple in the milt cloud, lit in the shock
of its bloom—once more he’s frotting the flange
of her vent and butting the walls of her coelom,
once more he ejaculates—again, and again—
until the hypertonic waters are smoking
with milt, and her shuddering body
can hold it back no longer. She cracks like a whip
and her body convulses, spurting gusher
after gusher of glittering golden ova,
sparks from the cornucopian flame
of Archaea’s unkillable, dark pleroma,
quickening through the mist of sperm and rising
through the photocline to join the thermonuclear
microplankton of the drifting epipelagic.
(3) North Atlantic Gyre—the warm saline waters of the Sargasso are three feet higher in the centre of the Sea than at the edges, due to the action of the North Atlantic Gyre; the Sargasso sits on a layer of freezing water that originates in currents exiting the Weddell Sea.
(4) The five Grumman Avengers of Flight 19 disappeared in the Sargasso’s ‘Bermuda Triangle’ on 5th December,1945.
*
Steve Ely è poeta, romanziere e biografo. Sue raccolte includono Oswald’s Book of Hours (Smokestack, 2013), Englaland (Smokestack, 2015), Incendium Amoris (Smokestack, 2017), Bloody, proud and murderous men, adulterers and enemies of God (The High Window Press, 2018), Jubilate Messi (Shearsman, 2018), Zi-Zi Taah Taah Taah (Wild West Press, 2018) e Lectio Violant (Shearsman, 2021). Ha anche pubblicato un romanzo, Ratmen (Blackheath Books, 2012), e una biografia, Ted Hughes’s South Yorkshire: Made in Mexborough (Palgrave Macmillan, 2015). Nel 2013 è stato finalista del premio Ted Hughes. Una scelta di suoi testi precedenti a The European Eel è stata tradotta da Manuela Giabardo e sta per uscire come Libro d’Ore per Ronzani Editore. Steve Ely è docente di Scrittura Creativa all’università di Huddersfield.