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Andante crociera

di Marino Magliani (illustrazioni di Chiara Fabbri Colabich)

 

Foglietto 1

Suicidio di un fiume

Era un fiume che nessuno guardava mai, tutti altrove, sulle rive di altri fiumi, laghi, tutti a nuotare in altre acque. Il fiume pensò che doveva fare qualcosa e quello stesso giorno piantò sulle sue rive una riga di palme gagliarde. Appena se ne accorgono arrivano a frotte, sospirò sott’acqua.
Passarono i giorni, ma nessuno venne mai a sedersi all’ombra delle palme, il fiume apriva occhi da coccodrillo e non riusciva a crederci.
Egli non disperò e dopo le piante cominciò a riempire il suo corso di stupendi ponti a tre arcate. Erano ponti in ogni stile, romanici e moderni, altri dalla struttura in pietra e altri ancora in ferro battuto e verniciato. Il fatto è che nemmeno così la gente veniva al fiume e ben di rado qualcuno saliva sui ponti, e allora, dopo averci pensato un’intera notte di luna piena, il fiume ebbe una terza idea, e inventò salti e cascate altissime, spuma d’acqua e aria di goccioline. Alla fine servì a poco anche tutto questo, perché da quando l’acqua faceva le goccioline ed erano cambiate alcune lune, gli umani che di notte o di giorno venivano a fare «Oh» si contavano sulle dita. Il fiume tornò a rotolare nello sconforto e ci ripensò a lungo, scorrendo. Stavolta voleva essere sicuro, doveva essere un’opera titanica, e calcolò bene tutto quanto e finalmente un bel giorno partì coi lavori. Dove aveva creato la cascata più bella scavò un grosso solco, ammucchiò pietroni, ferro, cemento e vi costruì la più grande diga della regione. Poi aspettò la stagione secca, un giorno l’acqua cominciò a mancare dagli orti e dalle vasche, il fiume rideva eccitato, ma incredibilmente nessuno pescò mai acqua dalla nuova diga, i messi comunali girarono tutta l’estate con la cisterna sul furgone, distribuendo acqua potabile e acqua irrigua, e poi finì il caldo e si mise a piovere, e allora al fiume venne voglia di rompere la diga e allagare la valle. Succedevano cose strane nel frattempo e dove l’alveo attraversava la città, un lungo tratto delle acque scorreva sotterraneo. Il fiume viveva con una parte del corpo al buio e sopra di lui, lungo quell’asfalto piantato sulla sua pelle come un tatuaggio, passavano le macchine e i signori della città costruivano posteggi e mercati. Una mattina il fiume si svegliò con un ghigno perché durante la notte aveva sognato la solita soluzione. Riempì le acque di storioni e merluzzi, costruì vasche, mise cartelli: “pesca molto facilitata”, e aspettò. Devi aver pazienza, si disse. Il seguito dovremmo saperlo: i giorni passarono e sulle pietre e sulle balaustre dei ponti, a pescare i merluzzi non si sedeva nessuno. Storioni e merluzzi si moltiplicavano e saltavano pigri nelle acque. Il fiume li guardava con occhi da coccodrillo e riabbassava le palpebre.

Cos’altro restava? Una cosa c’era. Come ho fatto a non pensarci prima, si disse gorgogliando.
Egli puntò i piedi e con un colpo di reni spinse le sue acque in senso inverso, le fece salire nel sud dell’Olanda e in Belgio, le avvolse attorno alle Ardenne, e in cima a montagne che poggiavano in territorio francese, dalle sabbie paludose che d’inverno gonfiavano e spaccavano gli argini, mandò se stesso lungo le palme, sotto i ponti che aveva costruito, su per le cascate, spedì le correnti con dentro i merluzzi fin dove nessuno l’aveva mai fatto, finché le acque non si ossigenarono e i merluzzi gelarono. Ora il fiume era stanco, e giunto dove nasceva si fermò, e in tutto quel silenzio lo spaventò un tonfo cavernoso, di quelli com’era abituato a sentire quando gli spargivento dei moli olandesi fermavano le onde. Allora si voltò verso il Belgio e l’Olanda, e vide che il Mare del Nord era entrato nel suo letto e tutti quanti, quel giorno, affollarono le rive per vedere il fiume morto.

 

Foglietto 2

Vidi una grande massa d’acqua ferma nella pianura olandese, e nel punto in cui il fiume avrebbe dovuto irrigare orti e regalare pesci agli abitanti dei villaggi che avevano costruito le loro case sulle rive, non si sentiva nulla. L’acqua non fa rumore perché non passa, mi dissi. Le case erano vuote e a terra stavano le catene attorcigliate come serpenti di acciaio e per ogni catena un collare di cuoio. E una gallina a beccare nell’erba, libera e spaesata, un gatto dietro la vetrata di una casa, ma poi più nulla, nessun altro segno di vita. E più avanti ancora, al fondo del fiume scomparso, dove un vecchio fango pieno di crepe ricordava in qualche modo l’idea di un delta, la città era deserta, il legno cigolava, gli stracci mossi dalla brezza e il mare penetrava le strade per un buon tratto. Delfini, grandi tartarughe e piccoli pesci di barriere coralline, scappati da qualche acquario, sguazzavano lungo un argine e dentro i canali e le fogne della città. Tornai al principio, alla grande massa d’acqua immobile e alta che pareva prendere la rincorsa. Dissi al fiume: «Sei stupido, non vedi che terrorizzi la gente, hai sciolto le catene dei cani, spopoli i pollai e asciughi il delta?». Dissi ancora, poiché il fiume taceva e guardava altrove: «Parlo a te, vai, scorri di nuovo, vai a poco a poco». Allora il fiume olandese scosse la testa e scricchiolò come per trovare la posizione giusta, prima di parlare. La sua sorgente era troppo lontana, disse come a giustificarsi, era troppo interna, lo capivo o no? Nasceva nelle terre carsiche del Belgio e quindi dal punto olandese in cui si trovava la centrale delle idee era impossibile prevedere quant’acqua sarebbe ancora giunta. Se un giorno la sorgente fosse seccata lui sarebbe morto arso nel fango, coperto di pesciame dalle squame azzurre, gli occhi spalancati, deriso da una mezza stagione di pioggia e macerato assieme alla carne putrefatta delle anguille. Sarebbe morto. Sob! Anzi, sgrunt, disse a fil d’acqua.


Gli chiesi: e così?
Giunse fin quasi a bagnarmi la punta dei sandali.
Così cosa, cosa vuoi da me?
Cosa pensi di risolvere, intendo?
Alzò le spalle. Così, disse, se un giorno si fosse esaurita la sorgente e anche le riserva, lui avrebbe liberato se stesso e inizialmente il muro d’acqua avrebbe allagato la pianura, ma presto si sarebbe incanalato nel suo letto e avrebbe ripreso a scorrere disciplinatamente ancora chissà per quanto.

 

Foglietto 3

Olanda, sul Mare del Nord. Qui è quel periodo in cui gli alberi davanti alla mia stanza fanno nascere una specie di vita tra il fiore e la foglia come una prova della vera foglia che sotto sotto l’albero sta decidendo di far esplodere. L’ibrido dura pochi giorni, la pianta pare vergognarsene, non ci si riconosce, l’ibrido secca e si stacca. Per un attimo tutto quel giallume vegetale che vola e si accampa sul mattonato è un segno dell’autunno.
Il vecchietto eternamente in giacca e cravatta che vive nella casa all’angolo oltre gli alberi e partecipa ai vari concorsi del giardino più bello indetti dal Comune di IJmuiden, ha tirato fuori la sua robusta scopa da esterni e cancella le prove di una stagione finta di cui tuttavia pare abbia paura. Tutto questo succede ormai da vent’anni e a volte ho paura anch’io.

 

NdR Questi testi, che presentiamo per gentile concessione dell’editore, fanno parte del racconto “Andante crociera”, pubblicato recentemente da Bietti Editrice, con illustrazioni di Chiara Fabbri Colabich

Scrissi queste pagine quando ancora non sapevo che certe cose potessero essere incluse nella categoria dei racconti. Poi seppi che tutto questo era successo a molti. Lavoravo sul porto di IJmuiden, in Olanda, sul Mare del Nord, facevo lo scaricatore. Un giorno il gancio di una gru, come scrivo nel racconto, mi colpì in fronte e rimasi a casa un po’ di tempo. Lessi molto in quei giorni e capii che se le cose che leggevo erano buone io ne avevo di altrettante buone. Me la facevo facile. Andante crociera fu una palestra, e mentre lo progettavo – ero tornato al lavoro – studiavo i paesaggi, e vederli ora nei disegni di Chiara Fabbri Colabich è come imparare di nuovo a scrivere.

Marino Magliani

 

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1 commento

  1. Ottimi foglietti, caro Marino, prendono per mano e portano ad immaginare seguendo su e giù il corso del fiume. Brava Chiara Fabbri Colabich che ha visto tutto dall’alto e di sbieco! ciau

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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