Su Il potere del cane – Domenico Conoscenti
Reietti, donne e veri uomini nel Montana degli anni Venti
di Domenico Conoscenti
Era sempre Phil a occuparsi della castrazione: l’incipit de Il Potere del cane immette brutalmente il lettore dentro la vita del grande ranch dei fratelli Burbank attraverso una scena che non è soltanto una tranche de vie. Essa pone da subito come centrale il tema dell’evirazione che dall’accezione letterale si riverbera sulla componente umana nei suoi aspetti psicologici, affettivi, relazionali, tanto più evidenti nel mondo omosociale del ranch. Che sia sempre Phil a occuparsene implica l’indubbio coinvolgimento del personaggio nella lettura simbolica, senza conseguirne tuttavia che la castrazione lo riguardi solo come colui che la agisce. Tutto il romanzo, infatti, è percorso da un’ambivalenza a volte potenziale, concentrata, a volte sviluppata nel corso della narrazione. La castrazione della mandria ritorna nel capitolo 9, superata la metà del romanzo, segnando l’apertura di un nuovo ciclo, successivo a quello che ha raccontato il “tradimento” di George nei confronti del fratello, cioè il suo inatteso matrimonio con Rose, e le subdole vessazioni di Phil contro di lei. Questo secondo incipit coincide con l’arrivo in casa Burbank di Peter, il figlio adolescente di Rose, che imprime un’accelerazione febbrile ai rapporti tra i protagonisti e una vera e propria svolta, portando al sorprendente evento finale.
Più che soci, più che fratelli [p. 10] definisce i fratelli Burbank la voce narrante e (quasi sempre) onnisciente. Phil, il maggiore, si compiace di creare con i propri dipendenti un rapporto di (paternalistico) cameratismo senza far pesare il fatto di essere laureato, è dotato di un’intelligenza versatile e acuta, anche nel cogliere i punti deboli degli altri, sui quali eventualmente infierire. George, all’opposto anche fisicamente (è tarchiato e grassoccio), non è riuscito a laurearsi, è lento a comprendere le cose, ha un approccio più empatico con le persone, ma è riservato, di poche parole, e ispira nei suoi lavoratori un senso di deferente, imbarazzato rispetto. Nonostante le differenze, fra loro c’è un forte legame che sembra avere trovato una sua stabilità. Eppure, nel capitolo iniziale emerge un leggero sfalsamento, a partire dal coinvolgimento col quale Phil ricorda a George l’anniversario della prima volta in cui hanno condotto insieme una mandria, senza tuttavia suscitare nel fratello echi altrettanto intensi. Bisogna stare al passo coi tempi, afferma ad un certo punto George [p. 19]: al contrario di Phil, egli è infatti pronto per un cambiamento, che si innesca nella locanda di Rose Gordon a Beech. Lì, al momento di saldare il conto, George trova la donna in lacrime. Torna a incontrarla più volte in seguito, ignorando l’opposizione ostile di Phil, cui comunicherà l’avvenuto matrimonio e l’arrivo della moglie a casa Burbank.
Quello che Phil racconta a sé stesso per spiegare l’angoscia provata alla relazione del fratello si appunta sulla scelta di quella donna: una donnina modesta in tutti i sensi, che appartiene ad un mondo sociale inferiore, vedova di un marito suicida (che lui peraltro ha conosciuto) e con un figlio a carico. Un’approfittatrice, che intende sfruttare la posizione socio-economica del loro nome e ricoprire il ruolo di nuova signora Burbank. È un punto di vista lontanissimo da quello di George, un’interpretazione tutta in negativo del vissuto e delle presunte intenzioni di Rose. La sua furibonda reazione esplicita il rifiuto di vedere il fratello compiere scelte in cui avverte la fine del loro essere un unico gemello, vivendo tutto ciò come un tradimento, ma non è difficile scorgervi la prospettiva di una solitudine totale, l’angoscia di non sapere cosa fare della propria vita al di là del lavoro. Phil infatti non sembra prendere in alcuna considerazione la possibilità di crearsi una sua famiglia, e l’avversione nei confronti di Rose si va configurando all’interno di un’avversione-paura più generale nei confronti dell’universo femminile. Scopriamo che lui, al contrario di George, si rifiutava di utilizzare il bagno padronale, quando i genitori (i Vecchi Signori) vivevano ancora lì: quel posto aveva un profumo di donna offensivo, che la ciotola col sapone da barba e il set dei rasoi del Vecchio Signore non riuscivano a neutralizzare [pp. 107-108]. Non ci viene detto molto sul suo rapporto con i genitori, di certo in quel bagno Phil avvertiva come invadente (castrante?) la presenza della femminilità materna. E il suo ostinato rifiuto di curare la pulizia personale, delle mani in particolar modo, il rifiuto di “rendersi presentabile” per condividere i pasti comuni hanno qualche collegamento col rifiuto del “femminile”.
Nel Montana degli anni Venti la separazione dei sessi è una salda consuetudine che non prevede nessun rapporto di parità. La gestione del potere (economico) è maschile, maschile la libertà di movimento negli spazi aperti o pubblici. Le donne entrano in relazione con i braccianti in quanto prostitute approcciate nei saloon o in quanto domestiche, in entrambi i casi prive di prospettive matrimoniali perché in un ranch non c’è posto per gli uomini sposati [p. 128]. Per i lavoratori del ranch esistono solo due tipi di donne, quelle buone (pure, asessuate e sante quanto il buon Dio: sorelle, madri, amiche d’infanzia) e quelle cattive, che non meritano più rispetto degli animali [p. 274]. E non è soltanto un habitus di Phil, ma anche di George e del Vecchio Signore, disapprovare le donne che fumano o bevono in pubblico, si tagliano i capelli, si danno da fare. Da un’ottica più personale e intima, anche Rose si renderà tristemente conto, ripensando sia al primo che al secondo marito, di non potere essere niente senza qualcuno (un uomo) che creda in lei, non poteva essere altro che quello che gli altri vedevano in lei [p. 259].
Eppure la misoginia generale non impedisce agli uomini di sposarsi e di mettere al mondo dei figli. Il maschilismo del Montana rurale ha ereditato qualcosa della “volontà di potenza” dei pionieri che infine hanno sopraffatto gli Indiani per impossessarsi delle loro terre, qualcosa della vitale aggressività con cui hanno affrontato anche una natura selvaggia, contando solo su sé stessi. Ma è un maschilismo che, a maggior ragione in condizioni ormai più favorevoli, sembra assumere in Phil una forma esasperata di machismo. Nel rapporto dialettico della maschilità con la sua negazione, è lui il personaggio su cui si appunta più a lungo l’attenzione del narratore. In lui è netto il disprezzo per qualunque agevolazione delle difficoltà materiali offerta dalla modernità: rifiuta l’automobile e si sposta col proprio cavallo, non usa i guanti da lavoro e ostenta orgogliosa noncuranza per le ferite che questo gli procura, guarda con sufficienza all’attenzione delle nuove leve di cowboy per il look e al loro desiderio di una vita rilassata… Phil si mostra come un uomo dalla personalità ipervirile, stoico (in senso quasi letterale): anti edonista, risoluto nell’affrontare con forza e intelligenza gli ostacoli. Un uomo refrattario a sentimentalismi e a buone maniere, in grado di imporre sé stesso in ogni circostanza e feroce nei confronti di chi, incautamente, cerca di impedirglielo.
Come era accaduto al primo marito di Rose, Johnny Gordon, colpevole con la sua logorrea da ubriaco di disturbare una serata di Phil alla locanda coi suoi uomini, così che alla fine questi era intervenuto per frenare quell’uomo importuno, umiliando non solo lui, ma anche il figlio dodicenne – che peraltro non era lì in quel momento – babbeo come il padre e in più femminuccia (sissy). Tuttavia la volta in cui Phil si trova davanti un Peter quindicenne, la provocazione verbale contro il ragazzo appare ancora più gratuita: il rancher chiede a voce alta chi sia la signorina (young lady) che ha fatto i fiori di carta posti sui tavoli. Gli epiteti di femminuccia tre anni prima e adesso di signorina sono imposti a Peter in quanto non ama o pratica male le attività “maschili” dei suoi coetanei (il baseball) e preferisce quelle artistiche più delicate, “femminili” (i fiori di carta, in entrambe le occasioni) e in più ha un modo lezioso di muoversi e una parlata blesa. Femminuccia e signorina risultano epiteti svilenti, degradanti, nell’associare una persona di sesso maschile al sesso “debole”, subordinato, dipendente. Lo stesso meccanismo, altrettanto o più infamante dal punto di vista patriarcale, leggibile nel rimando esplicito (sissy) od obliquo (young lady) a un desiderio o ad una pratica omosessuale. Femminilità e femminilizzazione del maschio sono per Phil la negazione della maschilità. La castrazione d’altra parte viene praticata anche per rendere docili e mansueti gli animali da lavoro: una forma di svirilizzazione psicologico-comportamentale, incompatibile con i connotati di dominio e autodeterminazione con cui Phil interpreta il ruolo maschile.
Nella rigida antinomia fra maschile e femminile (o, più estesamente, “non-maschile”), appartiene al secondo ambito la coppia formata da Johnny e Rose, entrambi caratterizzati da una partecipe sensibilità, una capacità empatica aperta alla socievolezza, che Johnny riversa anche nella sua professione di medico, accettando di essere pagato solo in parte o per nulla dai suoi assistiti indigenti. Rose è attratta da due uomini (poi mariti) entrambi gentili, attratti a loro volta dalla sua gentilezza, che lei esprimerà anche dopo il matrimonio con George, battendosi per fare sostare nella proprietà dei Burbank due reietti come l’indiano Edward Nappo e il figlio. Il risvolto negativo di tali caratteristiche è una fragilità, evidente già nella costituzione esile di Johnny e di Rose, una debolezza di fronte alle circostante avverse – di fronte soprattutto alla chiusura ostile del mondo in cui vivono – che li priva dell’aggressività necessaria a tutelare sé stessi, e li porta a rifugiarsi entrambi nell’alcool. La nascita di Peter introduce un salto nel distacco che si va creando col contesto sociale, dovuto allo sviluppo fisico inizialmente lento del bambino, alla salute cagionevole, a un modo di parlare e di muoversi che appaiono artefatti, accompagnati però a un’intelligenza precoce e profonda. Con la sua crescita si accentua il clima denigratorio verso la famiglia, ora rivolto contro Peter, palesemente diverso dai suoi coetanei: come nel pollaio le galline colpiscono a morte col becco gli esemplari storpi o diversi, così Peter a scuola veniva tormentato, schernito e chiamato femminuccia. La parola sussurrata lo seguiva ovunque [p. 37]. La figura della persona diversa, strana, storpia, del debole, del reietto, del paria si contrappone a una schiera compatta di forti e di duri, che all’occorrenza agisce come un branco. In Peter il risultato di tale pressione sarà la sublimazione dell’isolamento subìto in una solitudine attiva che gli permette di seguire i propri interessi, di crearsi un mondo quasi autistico dove sentirsi al sicuro. L’episodio in cui suo padre, ubriaco, subisce l’attacco di Phil dà il colpo di grazia alla dolorosa consapevolezza di Johnny (ed è in qualche modo un macrotema del romanzo): l’eliminazione dei deboli da parte dei forti è un principio inesorabile della natura, e lui non è in grado di proteggere sé stesso né soprattutto Rose e Peter.
Se Johnny partecipa in pieno dei valori e disvalori della gentilezza e Phil di quelli della forza, l’analisi di questi aspetti diventa più articolata per quanto riguarda George e soprattutto Peter. George condivide, inevitabilmente, lo stesso mondo del fratello: l’operosità, i privilegi legati alla condizione sociale, di genere, economica di ricchi allevatori. Egli però è l’unico a curarsi dei risvolti finanziari dell’attività e del rapporto con le banche; pur con la sua timidezza è sempre lui a mantenere un minimo di public relations con gli esponenti delle famiglie più in vista, soprattutto quando queste relazioni si intersecano con l’esercizio del potere politico. Per quanto impacciato, George è attento a coltivare una forma di potere (maschile) più… evoluta ed elaborata di quella di Phil, e dimostra di essere in grado di prendere decisioni per sé sia contro il parere del fratello sia tenendo in poco conto l’opinione della gente. Soprattutto il vecchio George era speciale per dispiacersi per gli altri [p. 59], in grado di mettersi nei panni altrui e di cercare un punto d’incontro, ed è questo un elemento di enorme distanza dalla volontà di Phil di non venire mai a patti con la propria individualità. George e Rose si sono incontrati sul comune terreno dell’empatia: nella partecipazione alla sofferenza della donna per gli insulti ricevuti dal figlio e in seguito per l’uguale desiderio di vincere insieme la loro solitudine.
Peter incarna a prima vista l’esatto contrario di Phil: debole e magro, (omosessuale?) effeminato, appare la vittima predestinata dei (maschi) forti ed integrati. Quando il lettore viene aggiornato sulle condizioni della famiglia Gordon dopo il suicidio di Johnny, apprende che Peter ora si occupa di uccidere i polli per la trattoria della madre, un’informazione neutra che però riprende l’immagine delle galline che uccidono gli esemplari storpi o diversi, preannunciando per lui un ruolo differente. Quando poi l’estate successiva Peter passa imperturbabile tra gli scherni dei mandriani di Phil e sceglie di rifare il tragitto inverso con lo stesso atteggiamento di noncuranza, la sorpresa del protagonista si trasforma in ammirazione per il suo coraggio di essere sé stesso in una situazione sfavorevole, rovesciando i rapporti di forza, aspetto cui Phil è molto attento. La netta contrapposizione fra le loro personalità (anche nel rapporto con i genitori, in particolare con la madre) va quindi riformulata mettendo in evidenza alcuni tratti comuni. Peter è per certi versi un altro Phil (o viceversa) per l’intelligenza acuta, la capacità di cogliere la realtà al di là delle apparenze, e per una freddezza, o comunque un distacco i quali, insieme alla piena consapevolezza della propria unicità, li rendono entrambi dei personaggi estremi. Un ulteriore punto di contatto consiste infine nel fatto che ciascuno, nell’ultima parte del romanzo, ha un progetto (segreto) sull’altro. Il lettore viene informato unicamente di quello di Phil: sottrarre Peter all’influenza della madre per isolarla, per spezzarne il già precario equilibrio e il rapporto con George. Un progetto destinato a fallire, a differenza di quello di Peter su Phil, di cui verremo a conoscenza solo nelle ultime righe.
Mettendo in atto il proprio piano, Phil insegna a Peter a cavalcare, gli mostra come intrecciare la corda che ha promesso di regalargli, trascorre del tempo con lui, fino a quando, un pomeriggio, rientrati nella stalla che aveva l’odore degli anni passati, il presente sembra ricalcare una situazione già accaduta: di fronte all’offerta del ragazzo delle proprie strisce di cuoio, Phil crede che Peter voglia fondersi con lui, come egli a suo tempo aveva voluto farlo con un altro [pp. 271]. La connotazione adolescenziale del Phil quarantenne e la sua volontà (il suo forzato destino) di rimanere bloccato all’unica volta in cui si era innamorato, erompono all’improvviso attraverso il recente rapporto con Peter, che sembra riproporgli quell’occasione drammaticamente perduta. Anche in questo caso la voce narrante aveva lasciato un segnale allusivo nel capitolo iniziale: a proposito di un aneddoto su Bronco Henry, Phil certe volte moriva dalla voglia di raccontare quella storia per intero. Anche per questo non sopportava le sbronze: aveva paura, paura di quello che gli poteva sfuggire [p. 22]. È la consapevole segnalazione di un’indicibilità, che aleggia sfuggente e a più riprese tra le pagine, e che si svela essere l’omosessualità di Phil. Bronco Henry, citato solo dal protagonista, è colui che gli aveva insegnato a cavalcare e ad intrecciare il cuoio, e gli indizi disseminati soprattutto nel dodicesimo capitolo e in quello finale inducono il lettore a identificare in questo personaggio l’anonimo altro con cui Phil aveva voluto diventare una sola cosa e che però se n’era andato, calpestato a morte. Laconico (meno di tre righe), ellittico, il racconto di quella morte parrebbe riferirsi ad un violento incidente all’interno del recinto dei cavalli. Il tutto coerente col linguaggio elusivo e sfumato con cui viene (s)velata l’omosessualità del protagonista, e congruente con l’interdizione, nel Nord-Ovest degli anni Venti, di questa forma di eros, dicibile solo in negativo, attraverso il disprezzo della castrazione-femminilizzazione del maschio, cui viene associata. Dalla conclusione della sua unica storia, Phil ha imparato che avrebbe dovuto fare a meno di un rapporto amoroso, che non l’avrebbe più cercato perché poi, quando lo si perde, il cuore ti si spezza; tutto, peraltro, era avvenuto sotto i suoi occhi di ventenne che guardava dalla ringhiera più alta del recinto dei cavalli selvatici [pp. 271-72]. Non si può fare a meno di notare come il significato del cognome (o soprannome) di Bronco Henry indichi nell’Ovest degli USA un cavallo selvatico, riferimento richiamato anche dal luogo di confine da cui Phil lo vede morire. “Selvatico”, con la sua accezione di “non domato”, fuori dalle regole imposte dall’uomo, forse porta con sé anche un tentativo (critico? alternativo?) di “leggere” l’omosessualità svincolandola dalla castrazione del maschile. “Amico dei cavalli” infine è il significato del nome “Philip”.
La tensione si accresce allorché il narratore, facendosi portavoce di Phil, ricorda che, se Peter lo ha visto nudo nel suo luogo segreto, egli aveva visto a sua volta la nudità del ragazzo quando era passato davanti agli uomini fiero e indifeso, vilipeso e disprezzato come un paria. L’acme viene raggiunta con la consapevolezza del protagonista che rivede dolorosamente sé stesso in Peter: Ma Phil sapeva, Dio sa se lo sapeva, cosa significa essere un paria, e aveva odiato il mondo prima che il mondo odiasse lui [p. 272], secondo un meccanismo tutt’altro che inverosimile o peregrino. Al lettore viene in tal modo consegnata una chiave razionale per gli aspetti più gratuitamente prevaricatori e plateali del protagonista nel segnalare la propria collocazione di potere all’interno della dicotomia maschile-nonmaschile.
Phil crede di stare per rivivere l’occasione di una relazione amorosa perduta, in cui Peter avrebbe preso il posto che allora occupava lui, e lui quello di Bronco Henry (le età dei due personaggi nel presente coincidono con quelle dei due “attori” della vicenda passata). Peter in realtà sta attuando il suo piano di morte per consentire a Rose di vivere con serenità il rapporto con George e i connessi vantaggi (per madre e figlio) del matrimonio con un Burbank. È chiaramente impossibile a questo punto considerare ancora Phil il maschio dominante, padrone di sé, e Peter il debole, il reietto destinato all’eliminazione. Phil ha lasciato emergere la propria parte debole, bisognosa d’amore, e Peter si è concentrato sulla protezione, da perseguire “virilmente” a qualsiasi costo, dell’unico legame affettivo, riuscendo là dove aveva fallito il padre.
Il diritto ad esistere di quella famiglia gentile (Johnny, Rose e Peter), schiacciato da una cultura aggressiva, maschilista, viene alla fine risarcito “karmicamente” dalla vita serena che si prospetta alla nuova famiglia Gordon-Burbank, più equilibrata, si direbbe, nella compresenza di maschile e non maschile, di potere e di compassione. Il suicidio di Johnny, offertosi come vittima sacrificale, è stato compensato col sacrificio di Phil compiuto da Peter, come in un’antica tragedia scritta in forma di romanzo moderno. La corda che Phil stava terminando di intrecciare è un dono al tempo stesso d’amore, di Phil a Peter, e di morte, di Peter a Phil. Quella corda finisce per rappresentare la linea di continuità – entro cui Phil intendeva includere Peter – di una relazione indicibile, dopo averla ricevuta in consegna da Bronco Henry. Il desiderio di Phil resta impensabile, prima ancora che indicibile, nella società rurale americana (e non solo, ovviamente) degli anni Venti, a differenza del desiderio di George, che potrà caricare l’orologio di casa, come faceva il Vecchio Signore, simbolo della continuità del tempo familiare attraverso il matrimonio.
[1] Thomas Savage, Il potere del cane [1967], traduzione di L. Corbetta, postfazione di A. Proulx [2001], Neri Pozza 2017.
Domenico Conoscenti (Palermo, 1958) ha pubblicato La stanza dei lumini rossi [1997], Il Palindromo 2015; Quando mi apparve amore, Mesogea 2016; I Neoplatonici di Luigi Settembrini. Gli amori maschili nel racconto e nella traduzione di un patriota risorgimentale, Mimesis 2019; Qui nessuno dice niente [1991], Il Palindromo 2022