Cinque poeti ucraini
di Arben Dedja
Era qualche anno fa che ho partecipato al progetto Wordyssey. Cinque poesie di poeti ucraini contemporanei venivano tradotte da una lingua all’altra (solo il primo passaggio era dall’originale). Agli occhi di oggi sembra come una catena di solidarietà. Il russo non c’era. I passaggi erano: ucraino-polacco-ungherese-ceco-tedesco-castigliano. Fui coinvolto da Bashkim Shehu, il grande scrittore albanese, che vive da anni a Barcellona. Gli aveva tradotti dal castigliano all’albanese e cercava uno staffettista.
“L’italiano doveva esserci per forza” dissi a Bashkim e gli raccontai la proposta-gioco di Montale per la traduzione della sua poesia Nuove stanze in molte lingue da una all’altra e tutto il suo scetticismo per il testo italiano di ritorno.[1] La speranza che questo scetticismo venga contradetto è l’orgoglio dei traduttori.
Fino a quel momento l’ego dello scrittore mi aveva impedito di tradurre in italiano altri poeti da me stesso. L’indole del traduttore, cioè la mancanza di ego, mi fece iniziare subito il lavoro. Non solo. Mi fu chiesto di trovare qualcuno che proseguisse in altra lingua e così, su mia spinta, Flaviano Pisanelli tradusse le poesie dall’italiano al francese e Romeo Çollaku dal francese al greco. Ho un po’ perso di vista il resto. Per me Itaca si trova in Grecia. Non ne sono più tanto sicuro.
Romeo Çollaku in greco è: Poμἐo Tσoλἀχoυ. Sono importanti anche gli alfabeti. Mi aveva fatto impressione sul sito del progetto Wordyssey il mio nome scritto in cirillico: Арбен Дедя.
“Dov’è il mjagkij znak (ь)?” mi son detto. Ricordavo i libri universitari di mio padre (qualcuno Mamma lo spolvera ancora), studente a San Pietroburgo (si chiamava Leningrado allora): scriveva il cognome con “ь” dopo la seconda “d”.
“Che sia la mancanza di mjagkij znak la ragione di questa guerra?” Era un terzo pensiero notturno e stupido, prima di inviare ad Andrea Inglese queste splendide poesie.[2]
Маріанна Кіяновська [Marijana KIJANOVSKA] (1973)
–
Dittico (dedicato a Milosz)
se la città dove tutto ebbe inizio
fosse solo città
paese e
non un punto di fuga
non un mucchio di fotografie
di facce uomini senza facce
se il vento se la neve
se gli olivi e i limoni
se il caffè e il vino
se tutte queste che senza eccezione
la metà del libro nasconde
non avessero lasciato chiazze
sulla pelle sul pavimento per esempio
mentre trasciniamo le ombre
se il passato fosse trascorso soltanto
o più che trascorso
più di così
allora il poeta sarebbe stato soltanto poeta
o più che poeta
più che semplicemente colui che
sale e scende
su e giù
su e giù
e così via
la morte come un sole tra le linee
come anche dietro
e un uccello sapiente
non starebbe più nel nido o nella gabbia
nella barba o negli occhi
nella mano o nella bocca
ma da qualche parte là dentro
all’interno
verso il più intimo
camminando
incapace di volare
decollerebbe posandosi poi
e così via
*
Сергій Жадан [Serhij ZHADAN] (1974)
–
Amore fino alla morte
Ti ricordi quella casa un po’ sospetta?
Lì abitavamo zombie disperati.
Un inizio di saliscendi, sonno tra le sedie
nelle vasche da bagno, delle squallide notti d’albergo,
ora la tua mano sul mattone nudo,
il suo tepore, il suo spessore,
vero mattone di fango.
Ricordi il vecchio? C’imbattemmo per le scale.
Appiattito al muro per farci passare,
rigido come cadavere, sguardo diffidente negli occhi sporgenti.
Seguendoti in ogni movimento
abbagliato dallo splendore
delle tue luminose caviglie di porcellana
nelle colonne di luce e di polvere
dalla grazia delle tue ginocchia che sprigionavano calore.
Il poliziotto che volle allora vederci era sospettoso e diffidente
quando domandò: “Com’è possibile? Un mese! Un intero mese!
Senza notare la sua scomparsa? Che non si faceva vivo? Da un mese?
“No, veramente!” mi giustificai, “era il più bel mese della mia vita”.
“E la puzza?” insisté. “Non era strana la puzza?”
“No. E perché?” risposi. “Talvolta la vita puzza”.
“Morì nel letto, sapete? Sopra la vostra testa? Soffocato nel materasso
steso per terra. Per poco vi gocciolava il soffitto”.
Allora alla finestra cominciò l’indescrivibile estate,
la radio trasmetteva notizie amare
se fossi lì lì per morire, la morte mi avrebbe sorpreso ascoltando le notizie.
Afferrasti il mio cuore quando voleva fermarsi e di nuovo l’hai imboccato di speranze
affinché iniziasse a battere ancora sotto la tua mano.
Cosa dice colui che si gira per guardarti?
Cosa può dire chi ti guarda?
Di amarti fino alla morte.
Ti amerò fino alla morte.
La soccorreremo per potersi alzare
o c’inabisseremo nel buio di grotte e gallerie.
Tu continua, zombie, scricchiola le ossa,
celebra la morte, suona
il tuo banjo sgangherato.
Canta quel che conosci meglio di chiunque altro.
Il tempo non ci riduce a schiavi, la nostra canzone lo scaccia.
Sgorga felice nel cavo della mano l’amore
con cui di giorno in giorno abbiamo coltivato i fiori
delle nostre tombe.
*
Богдана Матіяш [Bohdana MATIJASZ] (1982)
–
coloro che amano si commuovono guarda che belli che sono
timidi come la prima luce dell’alba
fiduciosi come i colombi
coloro che amano guarda come sono generosi
con che tenerezza accettano quel che li capita davanti
guarda le loro mani colme di tesori
quella pelle quegli occhi la limpida gioia
nel beato sorriso la calma
la pace di una leggera brezza d’estate
coloro che amano sono come i delfini
veri monelli che balzano dall’acqua
e centinaia di volte schiudono gli anelli delle onde
luce spargendo intorno
ci insegnano la gratitudine per quel che c’è e non c’è nel mondo
ci insegnano dolcemente e con fiducia di avvicinare gli altri
senza ostinazione per poi arretrare
come nel crepuscolo la luce si spegne lenta l’uccello si zittisce
come l’acqua della terra scorre e sgorga ancora
*
Остап Сливинський [Ostap SLYVYNSKYJ] (1978)
_
Qualcosa lì davanti era sempre in luce –
e non era un piolo,
né un segnale di deviazione,
né un riverbero di fuoco, né un fanale,
dimora di nessuno,
nemmeno la caccia o la guerra di qualcuno
che perdurerebbe in questi luoghi,
né uomo o animale,
né albero rinsecchito
per cadere nel suo purgatorio,
indistruttibile come l’anima nel corpo lucente, né
invito o allusione, non
qualcosa
di solidale con noi che siamo senza scampo,
qualcosa di sconsolato se siamo inconsolabili
di scoraggiante per quanto capitoliamo scoraggiati davanti alla sconfitta.
Sorda a preghiere e mutui scongiuri,
in guerra come in pace,
non per questo con meno inquietudine se
il nostro silenzio di più dura.
Così tanto illuminato
per i piccoli prìncipi continentali e per coloro
che giù per le scale si susseguono.
Miopi e prudenti
come madri invecchiate.
E nessuna speranza, questo
succede spesso,
non c’è nessuna speranza,
così è.
*
Олег Лишега [Oleg LISEHA] (1949-2014)
–
Canto 555
Finché non è troppo tardi: spacca il ghiaccio con la fronte!
Finché non è troppo tardi: spacca il ghiaccio con la fronte!
Passagli attraverso, vai!
Che il meraviglioso mondo di nuovo si incontri con te!
La carpa è proprio il contrario,
affanna negli abissi, si tuffa qua e là.
La carpa è lì
da prendere prima o poi.
Ma tu sei un uomo e non appartieni alle reti.
Le carpe sono altra cosa: interi secoli in frotte.
Tuffarsi in cumuli di sabbia, paurosi e bui
per ricomparire nell’altro estremo.
Ma il nostro tempo, non è da sempre inseguito?
Un’aletta striscia l’altra… è andata!
Ti senti abbandonato? Ma sei un uomo!
Non diventare codardo: dai guai ne uscirai ogni volta.
Finché non è troppo tardi: spacca il ghiaccio con la fronte!
O tu, immenso, spezzato, meraviglioso nuovo mondo!
*
[1] I più scettici sull’arte di tradurre li ho sempre trovati tra i ranghi dei traduttori, come i peggiori dei pazienti tra i medici.
[2] Non so voi, ma io in questi testi scritti una decina d’anni fa ci trovo già la guerra.
Vero, meravigliose poesie e la guerra ci si vede tutta, come anche la determinazione ad affrontare e accettare ogni cosa la Vita disponga. Grazie mille.
Sono tutte bellissime, grazie di averle postate.
Маріанна Кіяновська e Олег Лишега hanno versi come
Ma tu sei un uomo e non appartieni alle reti./ Le carpe sono altra cosa: interi secoli in frotte.
oppure
la morte come un sole tra le linee
che trovo potentissimi
E sì, nel sottofondo c’è la Storia di questo momento