Loriana D’ari: il divenire umano
di Loriana D’ari
Primo atto (Kāngdé)
c’è voluta intera la vita a divenire un uomo
appreso il peso del corpo perdere i fili uno a
uno, del fantoccio ammucchiato all’angolo
rimane il sorriso sghembo, lo slargo dell’occhio
scucito dalla luce. quanto tutto è reale, adesso
che anche l’aria potresti toccarla, e nulla
più a lungo trattenere.
la frana dei sensi cede calore alla terra
ne drena la linfa, non rimargina
Secondo atto (Volodja, 1924)
fa musica la pioggia, di questo cristo ammaccato
un suono bianchissimo e cavo. la coperta appesa
di sbieco, la scapola esposta uno spigolo inerme
nel buio. ma può ancora apprezzare da solo
la dismisura della compromissione, così trascina
l’arto inerte, finché l’accoglie la pietà dell’erba.
domani lo porterà il vento
il sole asciugherà le ossa fradicie
il partito vedrà di accordare il permesso di morire
Terzo atto (Gyokuon-hōsō)
il passo è quello dell’ultimo miglio
un lento biascichio di sassi
l’uniforme allo schienale ha ceduto
tutto il rigore, orfana del dio uscito di scena
ma questo è l’uomo, e parlerà.
possa la voce resistere alla notte
calare sui feriti a morte come
un velo sulle stanze sventrate dalla luce
Non mi piacciono, le trovo inutilmente confuse
Un trittico di rara bellezza e intensità. Grazie.
Rarefatta, tagliente atmosfera umana fra dolore e bellezza. Magistrale. Ma purtroppo la poesia vera non è per tutti.