La scrittura “non originale” di Fabrizio Venerandi
[Questo testo è uscito in una versione più breve su “Le Monde Diplomatique” del 15/3/2022, supplemento de “il manifesto”]
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Di Andrea Inglese
Nel 2011 escono negli Stati Uniti due libri che costituiranno un punto di riferimento a livello internazionale per quanto riguarda la poesia di ricerca e in particolar modo per quella che viene chiamata “scrittura concettuale”. Il primo, Against expression: an Anthology of Conceptual Writing (Northwestern University Press) è un’antologia curata da due autori, che mescolano riflessione teorica e pratica della scrittura: Craig Dworkin e Kenneth Goldsmith. Quest’ultimo è anche l’autore di Uncreative Writing. Managing Language in the Digital Age (Columbia University Press), un saggio uscito nello stesso anno e che annuncia l’avvento di una nuova “letteratura” non più basata sulla creatività dell’autore, sulla sua originalità o sulla leggibilità della sua opera. Al di là delle proposte molto eclettiche (da Benjamin e Gertrude Stein a Yoko Ono e Charles Bernstein) che l’antologia e il saggio di Goldsmith allineano a partire da alcuni concetti chiave, come quelli di “appropriazione”, “protocollo”, “plagio”, ecc., questa operazione è stata in grado di delineare nuovi territori entro i quali poeti e non-più-poeti si sono inoltrati in anni recenti. La poesia italiana, per lo più ancorata ancora saldamente al paradigma lirico, guarda con un misto di altezzoso disinteresse e di fascinazione esotica a questi fenomeni, ma vi è anche chi, senza eccessivi sbandieramenti teorici, si è non solo familiarizzato con essi, ma li ha fatti propri con grande efficacia. Da tempo siti come GAMMM hanno favorito la diffusione di autori soprattutto statunitensi che lavorano su prelievi casuali tratti dalla rete attraverso Google (il cosiddetto googlism). È però oggi che appare, grazie a Niente di personale di Fabrizio Venerandi (Argo Libri 2021), uno dei migliori esempi italiani di scrittura “non-originale”, come il titolo letteralmente afferma. Le prime quattro sezioni, per altro del tutto “leggibili”, sono realizzate attraverso protocolli semplici per prelevare e assemblare nella forma del “verso” e della “strofa” delle frasi circolanti in rete, pubblicitarie o meno. Nelle note, l’autore ci dice, ad esempio, per quanto riguarda la sezione spam poetry : “i testi (…) sono presi da messaggi spam ricevuti via email nel corso del 2021. È stata sostituita la seconda persona con la prima e il tempo imperativo o presente con il passato prossimo”. Ma allora – protesterà qualcuno – il soggetto scrivente non è cancellato, neutralizzato, ucciso! Certo che non lo è: ma alcuni presupposti importanti dell’attività poetica sono comunque stati azzerati: l’autore non esprime più se stesso, non pesca più dal tesoro della sua interiorità qualche parola inaudita in grado di sorvolare l’idiozia linguistica circostante. L’autore documenta e trasforma secondo procedure fisse “frasi” prodotte in massa e per le masse. Ciò genera nel lettore un misto di raccapriccio e ilarità: “… ho cliccato lì e sono diventato / il più grande dio del sesso // il mio membro era piccolo / l’ho allungato con un metodo sicuro // ho ottenuto in 14 giorni / una linea perfetta senza morire di fame // mi sono voluto iscrivere a fisioterapia / senza test d’ingresso ma con corso preparatorio”. Innanzitutto, il verso e la strofa sembrano ritrovare qui una loro necessità “percettivo-conoscitiva”: grazie anche all’uniforme bianco della pagina, permettono la cristallizzazione in rilievo, l’inquadratura stretta, su materiali linguistici destinati a fluire a margine della nostra attenzione o addirittura nell’inconscio – la cartella spam – dei nostri apparecchi elettronici. Oltre alla ripulsione e alla comicità, l’operazione di Venerandi produce il novecentesco – e sempre salutare – straniamento: vediamo infine – leggiamo – ciò che non vorremmo proprio vedere. L’impalcatura audio-visiva del verso funge da espositore e da lente d’ingrandimento: là dove c’era l’inconscio (la discarica linguistica dello spam) c’è ora la coscienza (la scansione grafica e sonora). La sezione più sorprendente – questa sì ai limiti della leggibilità – è però l’ultima, Words from the afterlife, che costituisce quasi due terzi del libro. Nel settecentenario di Dante, che ha mobilitato in tutt’Italia forze sia specialistiche che divulgative, Venerandi sbullona con noncurante freddezza il monumento della Commedia, ritrascrivendola secondo l’ordine alfabetico delle parole di cui è composta, punti d’interpunzione inclusi e presentati in appendice. Nonostante le apparenze non si tratta di un atto vandalico, perché l’incontro desemantizzato del materiale linguistico dantesco sollecita paradossalmente un desiderio di “ricodificazione”, di rinnovata lettura, ma dopo un vagabondaggio stralunato tra le sue rovine. In conclusione, non possiamo che apprezzare la capacità di Venerandi di riconsiderare la poesia non come un’arte destinata all’espressione linguistica del sé individuale, ma come l’arte di organizzare diversamente porzioni linguistiche del nostro sé collettivo, riuscendo per altro a suscitare riso e spavento, e anche maggiore consapevolezza del mondo in cui viviamo.