La traduzione del testo poetico tra XX e XXI secolo
a cura di Franco Buffoni
[Molto volentieri segnalo l’uscita di questo volume per le edizioni Interlinea. Dice la quarta di copertina: “I maggiori autori e studiosi della traduzione letteraria sono raccolti in un libro di riferimento a cura di Franco Buffoni, tra i massimi esperti del settore a livello europeo. Da Bonnefoy e Sanesi a Bacigalupo, Magrelli e Gardini, sono messi in luce i diversi aspetti del tradurre, nell’idea che occorra comprendere e monitorare «il concetto di costante mutamento e trasformazione che è delle lingue e della traduzione, come metafora del nostro esistere».”
Riporto qui due stralci dell’introduzione di Franco Buffoni. a.r.]
«Come riprodurre, allora, lo stile?» è la domanda che poco fa abbiamo lasciato in sospeso. Il nocciolo del problema, a nostro avviso, sta proprio nel verbo usato per porre la domanda: riprodurre. Perché la traduzione letteraria non può ridursi concettualmente a una operazione di riproduzione di un testo. Questo può valere al massimo per un testo di tipo tecnico, per il quale è – tutto sommato – congruo continuare a parlare di decodifica e di ricodifica. L’invito nostro è invece a considerare la traduzione letteraria come un processo, che vede muoversi nel tempo e – possibilmente – fiorire e rifiorire, non “originale” e “copia”, ma due testi forniti entrambi di dignità artistica. […] Il concetto di “movimento” del linguaggio nasce proprio dalla necessità di guardare nelle profondità della lingua cosiddetta di partenza prima di accingersi a tradurre un testo letterario. L’idea è comunemente accettata per la cosiddetta lingua di arrivo. Nessuno infatti mette in dubbio la necessità di ritradurre costantemente i classici per adeguarli alle trasformazioni che la lingua continua a subire. Il testo cosiddetto di partenza, invece, viene solitamente considerato come un monumento immobile nel tempo, marmoreo, inossidabile. Eppure anch’esso è in movimento nel tempo, perché in movimento nel tempo sono – semanticamente – le parole di cui è composto; in costante mutamento sono le strutture sintattiche e grammaticali, e così via. In sostanza si propone di considerare il testo letterario classico o moderno da tradurre non come un rigido scoglio immobile nel mare, bensì come una piattaforma galleggiante, dove chi traduce lavora sul corpo vivo dell’opera, ma l’opera stessa è in costante trasformazione o, per l’appunto, in movimento. In questa ottica, la dignità estetica della traduzione appare come il frutto di un incontro tra pari destinato a far cadere le tradizionali coppie dicotomiche, in quanto mirato a togliere ogni rigidità all’atto traduttivo, fornendo al suo prodotto una intrinseca dignità autonoma di testo.
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Fu proprio dall’opportunità che nel 1988 mi diede l’Università di Bergamo di organizzare il convegno La traduzione del testo poetico che l’anno successivo nacque il semestrale di teoria e pratica della traduzione letteraria “Testo a fronte” giunto oggi felicemente al sessantesimo numero. Ricordo che in quegli anni sentivo la mancanza di un denominatore che fosse comune, da un lato al mio lavoro di ricercatore, dall’altro a quello di traduttore di poesia. Lo trovai nella scienza della traduzione.
Ricordo che durante quel convegno molti autorevoli ospiti, la cui testimonianza è presente anche in questo volume, ancora rifiutavano il termine irridendolo, ma non perché “brutto”, o almeno non soltanto per quello (ricordo che qualcuno propose “translatica” in sostituzione): il rifiuto era più grave e radicale, e riguardava il fatto stesso che potesse esistere una scienza della traduzione.
Oggi questa diatriba è alle spalle, ma come sarà chiaro leggendo i contributi dei poeti più giovani in questo volume, difficilmente si avrà la sensazione di una applicazione pedissequa di teorie elaborate a freddo. La traduzione letteraria, e quella di poesia in particolare, è un’attività naturalmente empirica.
Rispetto agli atti del convegno che organizzai nel 1988 all’Università di Bergamo, e rispetto alla prima ristampa del volume avvenuta nel 2005, in questa seconda ristampa riveduta e ampliata una nuova generazione di poeti-traduttori è ormai diventata protagonista. Ciò mi ha indotto a suddividere in tre macro-sezioni gli interventi selezionati, aprendo il volume con un grato pensiero ai maestri che nel convegno di Bergamo dell’88 furono protagonisti; facendo seguire una seconda sezione intermedia dedicata a coloro che allora rivestirono il ruolo dei “giovani”, e chiudendo con alcuni giovani di oggi che hanno scelto di continuare a ricercare e a produrre nell’impervio e spesso ingrato campo della traduzione di poesia, dando per scontato che il confine fra poesia e prosa è ormai diventato più fluido. E quindi più che mai attenti ad operare sulla sintassi, sullo straniamento e sul ritmo interno della frase. In una sorta di nevrotica e sconsolata ricerca di qualcosa che si sa già in partenza non potrà essere definitiva, rivelatoria o tanto meno trasgressiva.
Anche questa riflessione ha insito in sé il concetto di costante mutamento e trasformazione, che è delle lingue e della traduzione come metafora del nostro esistere.