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La salvezza non viene dalla Storia

di Davide Orecchio

ACHILLE
Meglio quel tempo che non c’era l’Ade. Allora andavamo tra boschi e torrenti e, lavato il sudore, eravamo ragazzi. Allora ogni gesto, ogni cenno era un gioco. Eravamo ricordo e nessuno sapeva. Avevamo del coraggio? Non so. Non importa. So che sul monte del centauro era l’estate, era l’inverno, era tutta la vita. Eravamo immortali.

PATROCLO
Ma poi venne il peggio. Venne il rischio e la morte. E allora noi fummo guerrieri.

[…]

EDIPO
E la mia febbre è il mio destino – il timore, l’orrore perenne di compiere proprio la cosa saputa.

Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò

Io, figuriamoci, io, non so come né quando finirà questa terribile guerra, non ho idea di come alleviare le sofferenze che gli ucraini, invasi dai russi, patiscono, sono del tutto impotente, sono impotente persino di fronte alla fragilità di una signora ucraina che, al mio fianco, alla manifestazione per la pace di Roma, non smette di piangere, piange più forte delle parole pronunciate dal palco, più forte degli appelli al diritto e alla pace, più forte degli slogan contro Putin o contro la Nato, piange con tutta la forza che le offre il corpo, piange contro la guerra e contro la storia, eppure è inerme mentre un imbecille, col proprio smartphone, la fotografa.

Ma un’idea, ed entriamo nella seconda settimana dall’aggressione di Putin, me la sto facendo, e voi penserete che è un’idea sbagliata ma io, anche se è un’idea sbagliata, preferisco non tenerla per me, perché riguarda le parole che usiamo, i concetti che adoperiamo, la Storia che invochiamo di continuo per illustrare moventi, modelli, comportamenti, la storia peggiore, quella barbarica del secolo che abbiamo alle spalle, la storia delle guerre totali che adesso interroghiamo per trovare risposte, o che evochiamo con la leggerezza di apprendisti stregoni. 

Putin, calpestando ogni principio di civiltà, diritto e buon senso, ha aggredito l’Ucraina. I soldati muoiono, i civili muoiono, muoiono i bambini sotto i mortai. E intanto, le parole che scandiscono azioni e interpretazioni emergono da un lessico troppo inquietante. Pare che molti vogliano rivivere il peggiore dei mondi di ieri, o che siano talmente spaventati dal suo ritorno da, senza accorgersi, già aprirgli le porte: con le parole.

Putin ha detto di voler “denazificare” l’Ucraina, ha dichiarato guerra con questo slogan, precipitandoci nel 1945. Poi il “discorso” è proseguito. Titoli di giornali hanno evocato lo spettro di “un’altra Stalingrado” per l’assedio di Kiev, o il fallimento del “Blitzkrieg dei russi”. Analisti e storici hanno messo in guardia dal sottovalutare Putin, agitando analogie con l’Hitler degli anni Trenta, prima dell’epifania sterminatrice del Führer. Ma chi mai lo sottovaluta, Putin?, vorrei sapere, chi mai lo sottovaluta?

Politici e persone comuni hanno motivato l’armamento dell’Ucraina, approvato dai principali Parlamenti europei, evocando la Resistenza e i partigiani della Seconda guerra mondiale. 

E poi, un po’ di Churchill qui, un po’ di Chamberlain lì… 

È una guerra che si muove, e viene raccontata, come sotto dettato della storia. La storia detta le analisi, le virtù alle quali ispirarsi, le accuse reciproche. “Sei tu il nazista”. “No, il nazista sei tu”. Nessun villain sembra credibile, se non indossa una casacca del secolo scorso. È inevitabile? Mi risponderete che sì, è inevitabile, perché c’è l’Europa di mezzo, continente conformato sul sedimento di guerre e di morte.

Mi risponderete (e vi darò ragione) che, per capire il conflitto tra Russia e Ucraina, devi interrogare la storia che le accomuna e divide, dalla Rus’ di Kiev all’impero degli zar, dalle carestie ucraine degli anni Venti alla collettivizzazione forzata di Stalin, dal crollo dell’impero sovietico a oggi.

Mi risponderete che è una guerra tra eredi, una maledizione e non esistono altre parole per dirla. Ma, se queste parole sono inevitabili, vi rispondo io, allora siamo fregati, perché la fine è nota. 

Ecco, la mia idea è che, se continuiamo così, finirà molto male. Perché opereremo resurrezioni che solo i pazzi e i violenti desiderano. Riporteremo in vita il peggiore Frankenstein novecentesco. Accetteremo, agiremo e poi subiremo una storia di guerre che si vogliono ripetere. Allora si avvererà quanto scritto in quel libro bello e profetico, Cronorifugio di Georgi Gospodinov, e – mi ripeto – saremo tutti fregati. È esattamente il programma di Putin. Ma può essere il nostro?

L’uso delle parole, l’uso della storia… Lo so che può apparire un tema irrilevante dinanzi ai massacri quotidiani, alla carneficina da Mariupol a Kiev, e se così vi sembra vi chiedo scusa, e chiedo perdono a chi sta soffrendo. Eppure non riesco a togliermi dalla testa che, se dici “Hitler”, un giorno avrai Hitler, e se dici “guerra mondiale”, un giorno l’avrai. 

Non è che dobbiamo dimenticare la storia, fare finta che non ci sia stata, ignorarla o lenirne il ricordo come un brutto incubo. Sarebbe un errore anche più grave, per carità. Ma non possiamo nemmeno riesumarla, individuandone presunti pattern che assomigliano a destini ineluttabili. Non possiamo parlare solo con le parole di ieri. Quelle sono parole di tenebra e di morte. Dobbiamo ostinatamente cercare qualcosa di nuovo, per la salvezza dell’Ucraina, per la pace in Ucraina e per tutti noi. La soluzione appunto, la pace, la difesa di nuovi princìpi, il diritto alla vita, il diritto a non essere aggrediti, l’abrogazione della guerra, la diplomazia dei negoziati, qualcosa che si incarni in nuove parole, perché forse può ancora nascere un mondo nuovo, forse possono finire le repliche in tragedia, non in farsa, del vecchio mondo.

Guardate: la storia non insegna nulla a nessuno. Ma certo, se orienti le tue azioni nel presente, e le tue interpretazioni del presente, cercando ossessivamente modelli di comportamento nel passato, non sei tanto condannato per destino a ripetere la storia, quanto è tua intenzione precisa riviverla. È questo è troppo. Questo è il fallimento di un’umanità. Questo è colpevole.

In tempi di guerra la storia può essere cattiva maestra. Può essere deposito radioattivo di crimini e di paura, zona oscura, sentimento del passato che induce a scelte sbagliate. È avvenuto spesso, nel corso di grandi crisi e fratture storiche, che i protagonisti guardassero indietro a eventi simili, angosciati dal timore di ripetere errori di altri, e, quasi senza accorgersene, proprio in ragione di questa angoscia e di questa ossessione, che cedessero a una pulsione di replica, e che quegli errori li ripetessero. 

La storia è piena di linee Maginot e di accuse di bonapartismo.

Ma io non voglio che rinasca il mondo di ieri. Voglio un mondo nuovo che conosca la storia e, proprio per questo, se ne liberi.

Ammette la grande scrittrice Svetlana Aleksievič in una bella intervista al Corriere: “I miei libri si ostinano a non voler diventare storia. (…) La Russia torna sui suoi passi, cammina facendo dei giri”. 

Come fai ad aggiustare un mondo in guerra che “cammina facendo dei giri”? Se potessi saperlo, se solo potessi, ma non lo so, non lo so. Ma comincerò per quanto posso dalle parole; forse sono armi meno spuntate di quanto si creda.

Non riduciamoci di nuovo a schiavi del passato, una volta di troppo. Non pronunciamone le parole malate. Pretendiamo una storia nuova e diversa. La pace. La vita. E parole nuove per dirle.

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18 Commenti

  1. Solo chi ha profondo affetto e dedizione alla Storia sa dire: “la storia non insegna nulla a nessuno”.
    Grazie per le parole che scrivi, mi fai sentire meno solo.

  2. Grazie Davide
    Verissimo. Non amiamo Non sappiamo cosa fare (se non quei fattibili gesti di aiuto concreto) ma possiamo scegliere cosa dire e non ripercorrere la morte. La storia non insegna quando dimentica il paesaggio. Proviamo a lavorare perché Buchenwald non sia mai più quello che è stato ma la sua traduzione: un bosco di faggi.

  3. “Eppure non riesco a togliermi dalla testa che, se dici “Hitler”, un giorno avrai Hitler, e se dici “guerra mondiale”, un giorno l’avrai.” Günther Anders la pensava allo stesso modo. E Castoriadis avrebbe ricordato che la storia è creazione umana, mai meccanica di leggi fatali. Mettersi sotto l’ala della fatalità storica non serve a nulla, ed è piuttosto di pessimo augurio.

  4. È il pezzo più interessante, costruttivo, e fresco come un vento nuovo, che abbia letto in queste settimane. Lo dico con gratitudine e sollievo.
    Pamela

  5. Mi associo a Pamela. Soprattutto su quella valutazione che se cominci a menzionare troppo spesso la guerra mondiale, terza ben s’intende, un giorno l’avrai. Grazie Davide.

  6. Mi vengono in mente quelle tremende, apocalittiche sfilate di mezzi militari e truppe per rievocare la vittoria nella “grande guerra patriottica”, e nel momento medesimo in cui la si nomina, e se ne fa l’apoteosi, la si glorifica si è pronti, o sono pronti i tiranni, subito a scaternarne un’altra, perché ivi è la gloria, l’onore e la morte per la patria.
    Mario E. Bianco

  7. A mio parere, la storia non insegna nulla perché la storia NON è soggetto, siamo noi a studiarla, interpretarla, insegnarla, con tutti i condizionamenti e le finalità (nonché le strumentalizzazioni) del caso. E eviterei di distinguere tra il “programma” di Putin e quello che dovrebbe essere il “nostro”.

    Hitler, nazismo, Shoah e antisemitismo (e anche fascismo e antifascismo) sono diventate parole del tutto desemantizzate che si prestano a ogni scopo, perfino per identificare la politica sanitaria relativa al contenimento del covid. Non ritengo, pertanto, che continuando a dire “Hitler” prima o poi arriverà un nuovo Hitler, perché Hitler non tornerà più (come non torneranno più il nazismo, la Shoah, l’antisemitismo, il fascismo). Arriverà al massimo qualche dittatore che ingiustamente sarà paragonato a Hitler. Nel dire questo immagino tutti penseranno che “ingiustamente” significa che non sarà crudele quanto Hitler: potrebbe in realtà essere anche peggiore di Hitler. Sarà ingiusto paragonarlo non perché Hitler è stato il Male assoluto, il dittatore “che più cattivo non si può”, bensì perché sarà semplicemente tutto diverso: il dittatore e il contesto storico che l’avrà prodotto e in cui si troverà ad agire.

    Il primo passo da fare per abbandonare queste parole, dovrebbe essere quelle di smitizzarle.

    • Il primo passo da fare per abbandonare queste parole, dovrebbe essere quelle di smitizzarle.
      Sono d’accordo, grazie per il suo contributo.

  8. Grazie, per queste misurate e accorate parole.
    Forse davvero l’unica cosa che la storia ci insegna e che la storia non ci insegna nulla. Forse la storia è una buona maestra con pessimi alunni.
    Ma il punto della questione è che bisogna cambiare registro. Non si può combattere la guerra con la guerra. Bisogna combattere la guerra. Lavorare per il disarmo.

  9. Lo seguo fino a un certo punto. Presentando un mio libro che raccontava ciò che portò alle Idi di Marzo, uno storico molto illustre dell’antichità , cogliendo nel testo molti parallelismi con il presente, disse. “Attenzione però. Ciò che ci serve è cogliere le differenze, non le analogie”.
    In effetti la Storia presenta reiterazioni, non ripetizioni. Se sembra ripetersi, non lo fa mai allo stesso modo. Le analogie che cogliamo, forse, sono solo similitudini; e poi il piano è comunque sbilanciato, la Storia si fa con le fonti, a distanza, noi oggi abbiamo soltanto la cronaca. Paragoni e parallelismi possono essere solo un’arma polemica. Al massimo recuperiamo la cronaca di ieri(e.g.;gli errori della NATO), senza arrivare all’altro ieri.
    Però non dobbiamo limitare troppo la nostra ottica, se si ha solo l’esperienza del presente il futuro diventa molto più oscuro. Se oggi ci preoccupiamo del razzismo e del negazionismo strisciante, non pensiamo che possa esserci mai un’altra Auschwitz, o un altro Hitler, ma pensiamo che possa comunque derivarne qualcosa di molto cattivo.
    Se l’esperienza storica ci insegna che in determinate circostanze certe conseguenza si sono sempre verificate (le dinamiche dittatoriali, ad esempio), se non altro squilla un campanello di allarme.
    Quando Putin parla di denazificazione, recupera l’epopea dell’ Armata Rossa che resiste al nazismo, e poi da Stalingrado arriva a Berlino. Non lo fa perché è comunista – non lo è, Putin non ha nulla di ideologico – ma perché quella mitologia di 80 anni fa ha ancora un suo forte significato simbolico per molti russi e per la parte della sinistra europea che ancora non ha superato il trauma dell’89. . Quindi la Storia , è vero, non ci salva, ma senza di essa non ci salviamo.
    Chiedo umilmente scusa per essermi dilungato, e alcuni considerazioni risulteranno banali, ma è un tema che mi interessa moltissimo.

  10. No, usare termini legati al passato, presi in prestito dalla storia – ovvero fare degli esempi, delle similitudini o dei parallelismi – non ci porterà a rivivere la storia. Paragonare Putin a Hitler non trasformerà Putin in Hitler: al massimo, paragoniamo Putin a Hitler perché si sta comportando in maniera simile a Hitler. Usiamo le parole per descrivere ciò che vediamo, non creiamo il mondo attraverso il discorso. Qui mi pare si stia decisamente sopravvalutando il potere del discorso rispetto all’incontrovertibilità della realtà data, dei fatti, delle azioni concrete.

  11. Vorrei introdurre una nota di ottimismo. E criticare quanto espresso da Gabriele “Usiamo le parole per descrivere ciò che vediamo, non creiamo il mondo attraverso il discorso.” La storia si ripete, ma mai in modo eguale, sono le motivazioni identiche che spingono a ripetere oggi comportamenti fuori contesto, causando disastri perché purtroppo esistono le profezie che si autoavverano a furia di ripeterle. Per evitarlo, nelle fasi di mutamento sociale come quella attuale, non ci si deve limitare ad ispirarsi a comportamenti e ideali passati, causa di falsa sicurezza, ma ci si deve spingere a trovare soluzioni diverse. Chi ha idee deve avviare comportamenti originali, contestando lo scimmiottamento del passato che causa percorsi paralleli e ridicoli: alla denazificazione di Putin si oppone la resistenza armata dello stesso periodo, entrambe fuori contesto. I nostri problemi di fondo: il razzismo, il sessismo, la tutela del vivente, la transizione ecologiche vengono accantonati per il nuovo simbolo del male del momento a cui si risponde con la retorica del passato e le armi. Serve oggi pensare al dopo, come fece qualcuno a Ventotene e come dovremmo fare noi, dalla nostra prigione telematica.

    • Sono del tutto d’accordo con Gianfranco Laccone. Si ripetono le parole “chiave”, come resistenza, o liberazione o denazificazione, ad esempio per fare, purtroppo, altre cose ovvero le solite cose: ammazzare, distruggere rubare. Anche al cambiamento dei tempi dovrebbe corrispondere un cambiamento di termini di confronto e di modi di agire più compatibile con una convivenza possibilmente pacifica.

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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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