Orrore, vergogna, odio.
Sergej Gandlevskij (traduzione di Elisa Baglioni)
Sulle prime non mi davo pace alla ricerca delle parole giuste per descrivere l’inizio della guerra, ma ho finito per scegliere le più comuni, quelle che riporto nel titolo, poiché sono quelle che la stragrande maggioranza degli amici e delle persone che conosco ha nel cuore e nella mente.
Orrore perché l’essere umano è destinato dalla nascita a un orrore — la propria morte, mentre il resto è determinato dalle circostanze. Più di una volta ho affermato che la nostra generazione era caduta in piedi, perché era riuscita a evitare una grande guerra e il terrore di stato. Invece ero nel torto, anche se avevo in mente la Grande guerra patriottica con il suo eroismo e la sua “nobile furia” e non questa sporca guerra scatenata dalla Russia all’alba del 24 febbraio!
Vergogna perché sento la responsabilità personale per quanto accaduto. Noi in massa siamo stati cattivi cittadini e per quattro soldi abbiamo consegnato il voucher della nostra libertà, che ci è caduta come una tegola in testa, nelle mani di furfanti e criminali. E poi, mi vergogno di fronte agli ucraini per bene con cui ho legami stretti o che conosco alla lontana, agli ucraini vivi e ai morti…
E, naturalmente, odio verso l’uomo che con modi da attendente ha combinato questo guaio sanguinario sfogando i propri difetti e rancori sul mondo intero.
Oltre mezzo secolo fa, alla fine del primo anno di scuola superiore ho trascorso due mesi di vacanze estive a Selišče, in Ucraina, sulle rive del Bug meridionale vicino Vinnica. Ogni giorno facevo il bagno nelle acque impetuose del fiume, mi ingozzavo di ciliegie nel giardino del Kolchoz e al tramonto me ne stavo seduto sulla panchina con le ragazze del luogo, mangiando semi di girasole e facendole ridere perché non capivo una parola delle loro chiacchiere. Mi era piaciuta in modo particolare Nina P., che con mio spavento e sorpresa si era presentata all’appuntamento. Era come in un libro: notte di luna, le rovine della cappella (che lì chiamavano con una parola polacca) e una ragazza di quindici anni che fino all’alba aveva evitato, ridacchiando, le avances di un molesto sbarbatello di Mosca.
La vita è quasi del tutto trascorsa. E ora Nina, se è ancora viva, ha forse paura che suo nipote morirà difendendo il proprio paese dalla Russia. Perché una tale disgrazia deve ricadere su una donna non più giovane? E perché un giovane che potrebbe essere mio nipote diventerà l’assassino di suo nipote o al contrario morirà per mano dell’altro?
Orrore, vergogna, odio.
(24 febbraio 2002)
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Sergej Gandlevskij è poeta e prosatore. Esponente della dissidenza underground negli anni di Brežnev, sotto il regime sovietico ha diffuso i suoi versi attraverso il canale clandestino del samizdat. Ha vinto numerosi premi letterari in Russia e all’estero ed è stato ospite del Festival delle letterature di Mantova (2011) e della Fondazione Brodskij (2013). Tradotto in numerose lingue, in italiano si possono leggere le raccolte poetiche La ruggine e il giallo (Gattomerlino, 2014), Festa e altre poesie (Passigli, 2017) e il romanzo NRZB (Elliot, 2020).
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Un altro pirla
Eccolo qui
Ripensando al suo commento di puro sfregio, posto in calce a un pensiero di dolore e impotenza da parte di chi ha vissuto e vive i lunghi decenni bui di un regime, oggi anche guerrafondaio, un pensiero che include la realizzazione amarissima di quanto pure noi, noi europei, noi emisfero nord, abbiamo a lungo negato per quieto vivere, mi viene da dire che sarà un tempo di battaglie e lutti anche (ma non solo, non principalmente, ahimè) culturali e intellettuali. E per tutti è facile ormai armarsi, specie su Internet, di commenti imbecilli da lanciare a casaccio. Facile anche cancellarli. Lascio invece il suo commento, Andrea, per ricordarmi quanto è penoso, ma anche semplice, zittire qualcuno, fare gli sprezzanti, buttare merda, e che, in questa sede almeno, possiamo ancora scegliere se e come reagire, se e come chiedere scusa, argomentare, riparare.