Gli immateriali
di Gian Piero Fiorillo
Non vedrò la fine. La città è ormai stabilmente occupata dagli Immateriali, che ne hanno decretato la distruzione. Non possiamo contrastarli, non conosciamo la loro grandezza, né forma o altro. Non ne abbiamo proprio nessuna conoscenza, facciamo congetture d’ogni genere e una vale l’altra. Angeli, demoni, particelle che sfuggono ai sistemi di rilevazione, viaggiatori del tempo e degli universi, abitatori degli interstizi, eterei. Le ipotesi scientifiche valgono quanto le favole: non sappiamo nulla, tranne il fatto che ci stanno distruggendo. S’è trattato di un’invasione? di una colonizzazione? sono in possesso della nostra anima o del corpo? sono entrati in noi o stazionano da qualche parte? occupano i libri e ci portano su strade sbagliate? sono residenti o vanno e vengono? vivono fra le parole o hanno, a modo loro, una casa? A nessuna di queste domande possiamo rispondere. Hanno una coscienza o agiscono in maniera meccanica? La loro azione è positiva o passiva? Hanno forma, assorbono la luce o ne sono attraversati? In questo vuoto di conoscenza, come possiamo pensare di contrastarli?
Se vincere questa guerra è impossibile, potremmo almeno concentrarci su un’altra domanda: cosa vogliamo salvare? Cosa, della nostra civiltà, del nostro tempo, della nostra storia, della nostra irriducibile materialità, insomma, vogliamo che sopravviva? E come fare? Domande che rimarranno tali. Se anche il tempo fornisse una risposta, e questo certamente avverrà dopo la vittoria degli Immateriali, nessuno di noi potrà coglierla. Nessuna coscienza, quale da sempre la concepiamo: una facoltà animale e spirituale insieme, capace di afferrare una verità e tradurla in termini trasmissibili. Abbiamo lavorato secoli per imprigionare lo spirito. Abbiamo inventato l’altare, il tempio, il bosco sacro, le chiese, la scrittura. Ci siamo nutriti di trascendenza fino a concepire noi stessi come contenitori, casseforti di trascendenza. Allora abbiamo tentato di imprigionarla nei microchip, di preservare l’anima su minuscoli supporti fisici. Così, abbiamo pensato, ridurremo l’ingombro: non corpi enormi e impacciati, soggetti a deperimento e caduta, bensì piccolissimi involucri di spirito e cultura. Ecco la soluzione. Corpicini indistinguibili all’apparenza, accostati dapprima in serie, quindi in strutture architettoniche tridimensionali. A poco a poco questi corpicini contenenti Spirito hanno incominciato a somigliare a quelli che volevamo sostituire, e allora di nuovo verso un’ulteriore miniaturizzazione.
E poi l’imprevedibile. Gli Immateriali hanno preso il sopravvento. In sordina, all’inizio. Un incidente a Sidney, una stranezza a New York. Un turista occidentale attraversa la strada a Pechino e diventa la prima vittima ufficiale. Da quel momento la marea non s’è mai fermata, ha investito il pianeta. Non pochi hanno continuato la vita di sempre, negando l’evidenza in nome di un’ostinata razionalità scientifica, che non contempla la possibilità del fallimento. Ma cos’è la scienza nel mondo della non-materia? Pochi hanno capito quanto stava accadendo, e sono stati accusati di delirio e superstizione. D’altra parte, anche le pratiche religiose e i filosofemi hanno fallito. Questo è più difficile da spiegare, ci porta a conclusioni molto severe. Non solo la visione del mondo materiale come sostanza ultima della realtà è inesatta, ma anche le nostre rappresentazioni del mondo spettrale sono lontane dal vero. Tutto ci conduce a una sola conclusione: gli Immateriali hanno già vinto. Che ne sarà di noi? Non abbiamo armi di difesa, il più potente esplosivo non li scalfisce nemmeno; la preghiera più sentita non li raggiunge. Qualcuno di noi sopravviverà? Non sappiamo neanche questo, forse per loro è indifferente. Forse non ci considerano nemici e la nostra estinzione è un effetto secondario. Genocidio preterintenzionale. Quando i pappagalli africani trapiantati nel Mediterraneo spezzano i rami di un pino per costruire il nido non considerano il pino un nemico, lo distruggono senza intenzione. Noi siamo come i rami del pino, moriamo uno alla volta e alla fine
saremo scomparsi tutti. Allora non ci saranno più pini per fare nidi, non serviremo più agli immateriali, che continueranno la loro opera distruggendo altre specie.
Ma forse anche queste sono congetture dovute a scarsa immaginazione. Non riusciamo a concepire forme radicalmente diverse di esistenza, tanto meno forme fruttifere di non- esistenza. Dunque ricorriamo a metafore, utilizziamo immagini e parole nel tentativo di esorcizzare l’ignoto. Ridurlo alla nostra portata, confinarlo nella descrizione. Questo è consolatorio, ma pericoloso. La sola verità, l’unica che non possiamo ignorare, è che sono inattaccabili. Se si estingueranno prima di noi, lo faranno per auto-consumazione, senza uscire da sé, senza subire attacchi decisivi. Perderanno forza, ogni replica sarà un po’ più lontana dall’originale, fino ad diventare inefficace e priva di consistenza. Se gli Immateriali scadranno fino a questo stato, la nostra civiltà potrà rinascere. Ricominceremo dall’inizio, andremo avanti per strade diverse da quelle fin qui battute. Ma la seconda chance, al momento, è meno di una speranza. Il mondo a venire è già stato opzionato dagli Immateriali. Gira voce che essi stessi non sopravviverebbero a un nostro annientamento e dunque a un certo punto si fermeranno per non soccombere insieme a noi. Ma credo che questa idea rientri in uno schema obsoleto, che vede la ragione sottoposta a fini. Io penso, invece, che il processo avviato dagli Immateriali è cieco, privo di scopi, e una volta messo in moto niente può fermarlo.
Rileggendola oggi, con la nuova guerra sommata alla pandemia, il suo scritto è ancora più attuale. Lei ha la capacità di analizzare il presente e vedere molto oltre, quasi anticipando il futuro, partendo dalla realtà oggettiva contestuale. Le sue visioni, moderne e originali, sono sempre affascinanti e inquietanti.
Grazie. Silvia