ALICE VENTURA morta il 5.3.1945 a Ravensbrück “… per il suo ideale partigiano

Donne al lavoro nel Campo di Concentramento di Ravensbrück

di Orsola Puecher

La storia di Alice Ventura Battaglia [Cremosano (CR) 2 settembre 1894 – Ravensbrück 5 marzo 1945], zia di mia madre, che dai 4 anni in poi fu per lei una specie di mamma adottiva, è una storia piccola, di un piccolo eroismo, un piccolo gesto di normale umana solidarietà, che la portò a esaurire i giorni di una vita bellissima e inconsueta al Campo di Concentramento di Ravensbrück1. Una storia che voglio raccontare come memoria e omaggio a lei, a mia madre, alla nostra famiglia, che nei suoi due rami, paterno e materno, tanto ha dato per la rinascita democratica di un paese oppresso dalla crudeltà di un sistema inesorabile, sempre più incattivito dalla fine vicina.

Fra l’esiguo numero di documenti che mi sono arrivati dall’⇨Arolsen Archive, una vita si sintetizza in questi pochi caratteri scritti a macchina fra due righe rosse: Ventura Alice coniugata Battaglia, figlia di Francesco e Rosa Alpiani, nata a Cremosano il 2.9.1894, italiana, verhaftet, arrestata a Milano nell’Agosto del 1944, Novara Torino Bolzano Ravensbrück, verstorben, deceduta il 5.3.1945.
In calce il nome di Vittorio Battaglia, Milano è quello del marito di Alice, che nel 1964 fece una prima richiesta alla Croce Rossa Internazionale di Bad Arolsen su sua moglie, per poter redigere almeno un certificato di morte definitivo, dopo quello di morte presunta che si può ottenere a dieci anni dalla scomparsa. Di anni ne erano passati allora quasi 20. Ho fatto la stessa richiesta l’anno scorso, 2021, che di anni ne erano passati 76. I documenti sono sempre gli stessi. I nazisti prima di trascinare le sopravvissute in una terribile marcia della morte, distrussero quasi tutto il materiale degli archivi. Il campo fu liberato dall’Armata Rossa il 30 aprile 1945. Non bastarono quei pochi giorni alla povera Alice per restare viva. Dopo i primi periodi del dopo guerra in cui si continuò a sperare nel ritorno dei prigionieri dei campi, a correre alla Stazione Centrale quando si aveva notizia di qualche arrivo dei treni bianchi dei pochi scampati dalla Germania, con il progressivo affievolirsi della speranza di rivederli vivi, il loro ricordo, oggi come allora, resta un tormento inconsolabile, senza tomba su cui piangerli, pregare, portare un fiore, senza nemmeno uno straccio di documento per ridare dignità e concretezza alla loro fine, per farli riposare in pace nel riconoscimento di una società civile, nei suoi parametri. Ma spariti, inghiottiti, perduti nella società barbara e incivile del nazifascismo, nella sua burocrazia di contabili della morte, la loro scomparsa non trova posto ancora oggi.

Lo zio Vittorio ha una bellissima calligrafia, lettere perfette e svolazzi annessi, ma nel timore che non si capissero bene, alcune cose le scrive sopra in stampatello. L’arresto avviene nell’Agosto del ’44 ad opera delle SS Germaniche, la data di morte è il 5 marzo 1945, presumibilmente, come da certificato, di morte presunta, del Comune di Milano in data 29 Novembre 1957.

In aggiunta una postilla all’Onorevole Comitato: La motivazione dell’arresto è stata per il suo ideale partigiano e finanziamento a favore di una famiglia partigiana. Ossequi Vittorio Battaglia

Ancora oggi è così: ho avviato una ricerca anche presso l’Archivio di Ravensbrück, ma mi hanno ripetutamente risposto che, viste le numerose richieste di ricerche, il risultato può tardare. Aspetto. Aspetto.

,\\’

[ appunti ritrovati in un file nell’hard disk di un vecchio computer rotto – trascritti da una lontana conversazione “di palo in frasca” con la mia mamma Rosa – detta Rositali lascio così come sono – un po’ sgrammaticati – con le molte ripetizioni – il procedere aritmico – perché mi sembra solo così di risentire intatta la sua voce – le voci sono la prima cosa che si dimentica di chi non c’è più – la sua allegria indomita – la sua severità – la sua forza ]

ZIA ALICE

Da piccola a Crema mangiavo la Torta Bertolina. La torta dei poveretti. Uva americana, farina della polenta, zucchero, poco che costava moltissimo.

Uva americana Vitis labrusca

Erano tre le sorelle Ventura. Alice, Teresa, la mia mamma e Giovanna. Figlie di Francesco Ventura, vecchio socialista di origine di Cremosano che aveva i cavalli da tiro con i carri, dei grandi baffi e portava il tabarro.

Fontanili a Cremosano

La mamma Rosa Alpiani morta giovane ⇨ Francesco si risposa con una donna cattivissima, la Torrazzi, una vera matrigna. Il nonno le figlie le aveva mandate in filanda o linificio. Il lavoro di tutte le donne della zona. D’estate le donne venivano dalla periferia attraversando tutta Crema. Con un selciato di sassi e lastroni in centro alla mattina alle 4 si sentivano battere gli zoccoli che le  donne usavano per proteggersi dall’umido del mestiere. Andavano da una porta all’altra, da Porta Garibaldi a Porta Ombriano dove c’era il linificio.

Il linificio di Crema

Le sorelle hanno vissuto la vita delle ragazze dell’epoca, portavano busti molto stretti e il medico gli tagliava i legacci. Andavano a ballare nelle balere “Ciribiribin che bel faccin ”. Il padre era molto severo e loro scappavano per andare a ballare.

Due erano molto belle Teresa ed  Alice, Giovanna meno ma era molto buona. A quel tempo si mandavano i figli a balia e non si sa come due signori che abitavano a Milano, in via Melzo,  casa di ringhiera coi cessi fuori e mandarono una figlia a balia a Cremosano, Pierina, la balia e il balio abitavano vicini ai Ventura, in una casa vicina ⇨ la bambina Pierina fa amicizia con le sorelle.

I mondeghili erano delle polpette fatte con gli avanzi.

Scoppia la guerra. Alice viene via da Cremosano ⇨ viene a Milano in via Melzo per lavorare in casa dei genitori della Pierina. A lavorare a servizio. Lì vicino a Via Melzo c’era la famiglia di Vittorio Battaglia che facevano i portinai in via Vivaio. Presso la famosa fonderia Lomazzi. 

Vittorio alto 1.50 era appassionato di ginnastica ⇨ piccolo e agile andava alla società ⇨ “Forza e Coraggio” di Sesto S. Giovanni e poi lavorava in fonderia. I due si conoscono a ballare ⇨ un grande amore. Anche lei era piccolina di statura.

I ginnasti della “Forza e Coraggio”

Si sposano il 2 febbraio del 1918. Vittorio era riformato perché più piccolo del Re, “Sciaboletta”.

Grossa carriera come ginnasta. Formò un trio atletico, artistico, il trio Apolllo, con lui Vittorio Battaglia, il Franzoni e il Gradella. Vestiti da greco romani e tutti dipinti d’oro sul corpo, Vittorio sempre in cima alla piramide umana in equilibrio sulle mani. Si esibivano nelle società di ginnastica e poi in piccoli spettacoli nei varietà e nei locali nei café chantant. Andavano anche in tournée in altre città italiane il sabato e la domenica. Fino a quando un impresario li scrittura a Genova per l’America del Nord  e approdano nel circo Barnum and Bailey.

THE APOLLO TRIO
EUROPE’S PEERLESS PLASTIC POSERS
IN A BEAUTIFUL REPRODUCTION
OF POWERFUL BRONZE CLASSICS
A TRIO PHYSICALLY PERFECT MEN IN A NEW CREATION

Marcia del Circo Barnum and Bailey

Vittorio mandava i soldi a casa e qualche fotografia ⇨ Alice era gelosissima di una cavallerizza molto bella che c’era in una fotografia. Lui risparmiava con il sogno con suo fratello e altri soci operai di far nascere una fonderia loro che poi ha fatto anche una porta del Duomo ⇨ a cera persa metodo Cellini. Partiva e tornava e a un ritorno si sposano e partono insieme per l’America con il piroscafo Giuseppe Verdi. Arrivano a Ellis Island il 4 agosto 1918.

Il piroscafo Giuseppe Verdi

Navi degli emigranti alla mercè dei sottomarini tedeschi. Viaggi rischiosi molto. Vanno a New York insieme ⇨ poi lui viaggia per tutti gli Stati Uniti con i vagoni del circo Barnum. Alice stava a New York a “Broccolino” con la sorella di Vittorio che  aveva sposato un componente del trio, il Gradella e lavoravano in una lavanderia cinese. Alice e la sorella di Vittorio facevano le guardarobiere in una enorme lavanderia piegavano e impacchettavano i vestiti. C’era il proibizionismo e i gangster scorazzavano sparando per le strade su è giù dalle scale antincendio degli edifici.

Tornano in Italia nel 22  a causa di un incidente. Vittorio si fa male a un piede ⇨ l’Apollo Trio si scioglie e lui entra nella ⇨ Fonderia Artistica Battaglia fondata dal fratello Ercole con i soci Pogliani e Frigerio.

Lo zio Vittorio è il primo a sinistra in prima fila

Alice non poteva avere figli.

Il pesce finto lo mangiavamo in tempo di guerra fatto con patate e una scatoletta rarissima di tonno ⇨ era sagomato a forma di pesce con una fettina di carota come occhio.

Zio dell’ 84 e Zia del 94. Lui era entrato con il fratello Ercole nella fonderia Lomazzi da giovanissmo ⇨ era formatore, cioè faceva il calco di terracotta coperto di cera dentro cui versavano il bronzo fuso.

Teresa sposatasi a Crema, aveva 5 figli ed era molto povera. Alice per aiutarla  prende in casa, abitavano in via Broletto, prima la sorella Vanda che non vuole restare dicendo “pane e cipolla ma con la mia mamma!” e poi me Rosa detta Rosetta a 4 anni ⇨ pianti terribili ⇨ cioccolatini per farmi smettere ⇨ a dormire su un’ottomana in un salone pieno di statue paurose con i mobili scuri con volute e zampe di drago che dovevo lucidare con l’Olio Rosso. La zia Alice era ossessionata dall’ordine e dalla pulizia e mi vestiva con dei vestiti tutti trine e fiocchi come quelle bambole che si mettevano sui letti e gli altri bambini mi prendevano in giro. Via Broletto era la stessa via dei Puecher, a pochi isolati ma io e tuo padre non ci conoscevamo ⇨ chissà quante volte ci siamo visti a Messa nella chiesa di San Tomaso ⇨ un destino poi ci ha fatti incontrare.

Chiesa di San Tomaso in Terramara in via Broletto

Lo zio Vittorio mi insegnava gli esercizi del circo. Mi faceva camminare sulla palla sulle mani fare i salti le verticali e le ruote. Questa bambina è molto portata, diceva sempre e decide di iscrivermi alla scuola di Ballo della Scala, lì vicino che cominciava a sette anni allora. Un sogno ⇨ bellissima, durissima ⇨ dovevamo sempre fare il saluto fascista ma di sera facevo gli spettacoli, i moretti dell’Aida, il ballo nella Danza delle Ore. Ho fatto il passo d’addio e mi sono diplomata prima ballerina. Siccome le ballerine andavano a scuola solo fino alla quinta, ed erano ignoranti come capre gli Zii mi mandano a lezione di francese e pianoforte privatamente.

Erano antifascisti come molti altri solamente antifascisti ma non militanti.

Scoppia la  seconda guerra mondiale e traslocano  in una casa un po’ fuori in via Gallarate tutto prati vicino all’Alfa Romeo continuamente bombardata.

La zia andava a una bancarella di granite in piazzale Accursio, dove si riuniva gente di tutti i  tipi e la zia parlava di politica contro il fascismo.

Conosce una ragazza che abitava in via Marcantonio del Re nel 1944 ⇨ questa ragazza era incinta, il marito era partigiano nelle Brigate Moscatelli in Piemonte. Un giorno lo impiccano e gli trovano in tasca una lettera della moglie che gli dice che una brava signora le aveva dato le sue tessere annonarie per mangiare e di stare tranquillo.

Le SS piombano nella zona interrogando e rastrellando ⇨ il nome e l’indirizzo di Alice viene dato forse da quello del banchetto delle granite.

I tedeschi pensavano che lei fosse collegata alla lotta partigiana ⇨ la prendono e la arrestano  un pomeriggio alla fine di  agosto del 44, poco dopo la strage di Piazzale Loreto.

Prima corro al carcere di San Vittore con vestiti anche pesanti per l’inverno. Si diceva che andavano a lavorare per i tedeschi. Sento dire che i prigionieri partiranno a mezzanotte. Volevo aspettare ma c’era il coprifuoco e una guardia mi dice ragazzina vai via altrimenti ti sparo addosso. Mi rifugio da amici che stavano li vicino. In via Carducci. Alla mattina presto torno là ma li avevano già portati via. Forse a Torino si dice. Lo zio Vittorio parte con il primo treno per Torino. Ma erano già andati via. Non l’abbiamo mai più rivista.

[ non riesco a immaginare i suoi pensieri nel lager – come le immagini della sua vita così piena di cose – di avventure – potessero tornarle in mente – quale la nostalgia – la speranza di tornare – lei così maniaca della pulizia – così severa e ordinata in quell’universo sottosopra – non ho mai trovato sue fotografie – forse mamma soffriva troppo nel guardarle – ma so che era sempre nelle sue parole e nei suoi pensieri – la invocava e forse la vedeva accanto a sé anche nei suoi ultimi momenti – Vittorio Battaglia non riuscì mai a sopire la sofferenza della sua perdita: si tolse la vita – impiccandosi al pergolato della Fonderia – credo intorno al 1968 – dal dolore per chi è sparito nei campi non si guarisce mai ]

“Non ti scordar di me” [1935]
cantata da Beniamino Gigli

[che piaceva tanto ad Alice]

Partirono le rondini
Dal mio paese freddo
E senza sole
Cercando primavere di viole
Nidi d’amore e di felicità
La mia piccola rondine partì
Senza lasciarmi un bacio
Senza un addio fuggì
Non ti scordar di me
La vita mia legata a te
Io t’amo sempre più
Nel sogno mio rimani tu
Non ti scordar di me
La vita mia legata a te
C’è sempre un nido
Nel mio cor per te
Non ti scordar di me

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NOTE
  1. da GERMAINE TILLION “Le Verfügbar aux Enfers” Ravensbrück [inverno 1944-1945]
    “Il campo di Ravensbrück, costruito nel 1938 per ordine del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler a 90 km da Berlino, vicino al lago Fürstenberg/Havel, sulle rive malsane di una palude, era un campo di concentramento solo femminile, con prevalenza di detenute politiche, i triangoli rossi; non ci furono camere a gas fino al gennaio del 1945, c’era solo un forno crematorio, un secondo viene costruito alla fine del ’44. Le internate lavoravano per la Siemens, per una fabbrica tessile, c’era una sartoria, un laboratorio di calzoleria, di pellicceria. Molte venivano mandate in altri campi, laddove occorreva mano d’opera. Tante donne arrivavano con i loro bambini, eliminati subito o morti in breve tempo per inedia, o incinte, costrette ad abortire, o ad assistere all’annegamento dei neonati, in un secchio, subito dopo il parto. Nella Revier, l’infermeria, si curavano solo le più giovani e robuste per rimandarle al lavoro. Su alcune soprannominate Kaninchen, le conigliette [da laboratorio] venivano praticati terribili e spesso mortali esperimenti “scientifici”, inoculando in ferite procurate chirurgicamente sulle gambe i germi della cancrena gassosa, con il pretesto di trovare una cura per i soldati feriti al fronte.”

18 Commenti

  1. Grazie Orsola, come sempre. Pezzi come questo giustificano (e nobilitano) l’esistenza di Nazione Indiana. Il libro che mi hai promesso (e non mi hai ancora scritto. Perché lo devi scrivere per me, prima ancora che per il resto del mondo) forse me lo stai regalando, capitolo dopo capitolo, qui.

    • Sempre di più penso di avere una natura rapsodica
      ῥαψῳδικός rhapsodikós,
      rhapsoidós “colui che cuce il canto”
      rhàptein ‘cucire’ e oidé ‘canto’.
      una specie di sartoria della memoria, di frammenti diversi, suoni-immagini-parole, legati con fili sottili e soprattutto aghi
      non so se il supporto libro possa contenerne le trame e gli orditi.
      ,\\’

  2. Cara Orsola Puecher, io invece il libro vorrei comprarlo, lasciarlo in ogni biblioteca italiana, farci studiare studenti e scrivere scrittori, e così via, dallo schermo o sulla carta non importa, importa farlo. L’archivio di documenti, testimonianze e riflessioni che hai creato qui su NI è di un valore enorme, ma deve essere ripescato attraverso ricerche, confidando nella buona volontà dei motori di ricerca, o linkato da chi ti segue da anni. Invece queste storie, il modo in cui rendono la storia ‘maggiore’ di una chiarezza abbagliante, e passano in eredità attraverso le generazioni fino alle tue mani e oltre, vanno tenute tutte insieme, come monito e indicazione, memoria e riconoscimento, e, dirò di più, anche come metodo. Sarà un libro aperto: l’assenza di cui parli non si può esaurire.

    Grazie, Alice Ventura Battaglia, grazie per il tuo eroismo purissimo, scusa per questa patria stanca.

    • Cara Renata, ti ringrazio di aver colto intenti e soprattutto metodo.
      Da tempo penso a come raccogliere e rendere più fruibile il tutto.
      La patria non è solo stanca me senza più alcun rispetto per i diritti fondamentali della Costituzione, del pensiero divergente e delle minoranze.
      ,\\’

  3. Come sempre, Orsola, fai un lavoro incredibilmente prezioso. È una testimonianza bellissima, grazie.

  4. Io queste tessere preziose che sta componendo Orsola da anni le vedrei più in un sito dedicato che in un libro, perché non riesco a immaginare un editore in grado di accogliere i contenuti di Orsola su carta o ebook (ormai ogni sperimentazione digitale pare finita, e gli ebook sono in genere ‘carta digitale’). Nazione Indiana potrebbe invece promuovere un sito, o sottosito, con tutti i pezzi di Orsola; o sarebbe ridondante?

    • Grazie Davide. In effetti non ho più seguito l’evoluzione degli ebook con contenuti multimediali, gli ebook 3, possibili comunque facilmente. Penso non trovino molti aspiranti scrittori con le conoscenze informatiche per farli, con la materia adatta a una “tridimensionalitá” di contenuti, e forse anche case editrici sensibili a nuovi tipi di scrittura. Ci potrebbero anche essere problemi di diritti d’autore, ma cmq non insormontabili.
      Qui sul sito non è difficile creare uno spazio tipo i Mots-Clés di Ornella e cinéDIMANCHE.
      Basta taggare i post con una stessa categoria e creare il modulo.
      Ci penso…
      ,\\’

  5. Gentile e cara Orsola,
    sono passato molte volte per lavoro per quelle strade di Cremosano.
    Da ora fisserò il mio sguardo su ogni filo d’erba e su ogni dettaglio di quelle località ripensando con struggimento ad Alice.

    Seguirò ancora ed ancora le tue corrispondenze sulla memoria
    Grazie davvero.

    • Grazie davvero.
      La stessa cosa mi è capitata quando sono tornata a Milano, dopo molti anni, per la posa della Pietra d’Inciampo di mio nonno Giorgio. Spaesata e quasi straniera. Ogni pietra era la sua pietra: la città un santuario di memoria in ogni suo angolo, con lo stesso struggimento.
      ,\\’

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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