In ricordo di una grande studiosa: Liana Borghi 1940-2021
di Nadia Agustoni
Liana Borghi ci ha lasciato da poche settimane e si susseguono sui social, sui blog e su alcuni quotidiani, molti scritti in suo ricordo. È stata una grande studiosa, capace di traghettare il femminismo italiano verso un pensiero nuovo, introducendo nel nostro paese le elaborazioni di un movimento si femminista ma soprattutto LGBTQ+, legato quindi alla questione del lesbismo, della queerness e degli studi di genere; dalla contrassessualità fino al trans-femminismo. Capace comunque sempre di collegare questi temi all’antirazzismo, al post coloniale e all’eterna questione della classe, degli esclusi, siano ess* migranti o autoctoni, senza mai lasciarsi ingabbiare da un pensiero escludente e facile.
L’ho conosciuta quando molto giovane mi traferii a Firenze e fui tra le attiviste vicine all’associazione da lei fondata, l’Amardorla. Colpiva la sua capacità di tenere insieme le persone e i saperi. Per anni con Clotilde Barbarulli ha condotto una serie estiva di laboratori interculturali a Villa Fiorelli, a Prato, dove i temi già elencati sopra e molti altri venivano studiati e discussi tra accademiche e attiviste, senza alcuna discriminante su quanto ognuna elaborava in proprio. L’apertura verso l’altr* e l’ascolto partecipe, consentivano uno scambio da cui abbiamo tratto ispirazione e che a tant* di noi ha cambiato la vita.
La sua biografia testimonia di un impegno costante, mai venuto meno, tra accademia e movimenti. È stata docente di letteratura anglo-americana a Firenze fino al 2009, tra le fondatrici negli anni Settanta della libreria delle donne di Firenze, negli anni Ottanta fondò con Rosanna Fiocchetto la Estro, prima casa editrice lesbica in Italia ed è stata tra le fondatrici della SIL (Società italiana delle letterate) e coordinatrice, sempre con Clotilde Barbarulli, del Giardino dei Ciliegi a Firenze, nonché dal 1994 anche della W.I.S.E (Women’s International Studies Europe). Intensa la sua attività di traduzioni (tra tutte vanno ricordate Adrienne Rich, Audre Lorde, Donna J. Haraway e Paul B. Preciado), e quella con i suoi interventi su genere, diversità e precarietà che risultano fondamentali per molte delle questioni oggi dibattute.
Il suo lavoro ha travalicato i confini nazionali e già nei primi anni Novanta, chi viveva a Firenze o era in contatto con quanto li veniva elaborato, ha avuto modo di ascoltare studiose provenienti dal contesto anglo-americano che portavano tra noi un femminismo diverso che rompeva l’egemonia del pensiero della differenza sessuale. Nel 1994 la intervistai per A Rivista Anarchica e da lì presi coscienza che il mio confuso cercare aveva trovato l’ambito in cui poter fare chiarezza tra i temi e le pratiche che avevo a cuore, tra pensiero, arte e vita. Ci mancherà, ma nello stesso tempo è sempre tra noi, perché ci ha trasmesso una libertà inestirpabile.
Nel libro “Forme della diversità. Genere, precarietà e intercultura” (Cuec edizioni 2006), dove sono raccolti i contributi di due anni di laboratori interculturali a Villa Fiorelli, riprendendo Edouard Glissant, così declinava il pensiero della diversità:
“Nella nostra accezione di diversità, invece, teorizziamo soggetti politici complessi, ma non per questo meno titolari di spazi, storia e diritti umani. Nella complessità e nella diversità si radica il progetto di un mondo diverso, dove le diversità si incontrano, oppongono, accordano e producono una imprevedibile poetica della relazione tra multiversi culturali”. (8)
E ancora:
“Ma nell’imporre la precarietà del lavoro, il pensiero egemone impone invece la durata e permanenza della sua cultura. È una cultura dell’eterno presente collocata nelle ‘certezze’ della tradizione e del canone, una cultura che ha l’arroganza della Doxa. […] A noi invece interessano piuttosto narrazioni (testi solubili e/o insolubili, scritture nella/della dissolvenza) tendenti a interrogare, a inquietare i codici, la doxa, con uno sguardo sul mondo e sul potere.” (10-11)
In un intervento sul sito della rivista Il Mulino, Elia Arfini scrive:
“Il pensiero di Liana Borghi scartava in partenza il problema di dover conciliare una supposta frattura tra queer e femminismo, riflessione sul genere e la sessualità: in una cornice post-identitaria, o meglio che invita alla disidentificazione, il femminismo è al cuore della teoria queer. Il queer allora non è la tendenza a far coincidere trasgressione e liberazione in una successione di individualità che finiscono per essere sempre più individualizzate, ma un’azione in costante movimento e relazione volta a creare le condizioni di sostenibilità di una buona vita oltre l’apparato normalizzatore di genere e sessualità”.
Non ha mai rinunciato al suo impegno: l’ultimo risale a poche settimane fa, quando ha organizzato il convegno su donne e fantascienza al Giardino dei ciliegi di Firenze, sempre con Clotilde Barbarulli, dal titolo Neomaterialismo e fantascienza delle donne: intramazioni (30 e 31 ottobre 2021) che poi ha seguito da un collegamento video.
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Qui alcuni link recenti disponibili in rete:
https://www.raccontarsialgiardino.it
https://ilmanifesto.it/la-socialita-trasformativa-e-amorevole-di-liana-borghi/
https://www.rollingstone.it/politica/liana-borghi-e-stata-un-faro/598814/