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LETTERA AL PRESIDENTE DELLE FERROVIE

di Paolo Codazzi

 

Il treno con i suoi agi di tempo e i suoi disagi di spazio, rimette addosso la disusata curiosità per i particolari, affina l’attenzione per quel che si ha attorno, per quel che scorre fuori dal finestrino.

tiziano terzani

Caro Presidente,

mi conceda il tono affettuoso e confidenziale apprendendo di recente che pure lei è originario della mia terra nella quale ancora serenamente vivo, nel paese dimenticato da Dio e dagli uomini di Rocciamalumba dove, nonostante tutte queste dimenticanze, e forse per un errore o una necessità di tracciato, al tempo della costruzione della ferrovia che unisce il nostro bel capoluogo di regione con la città dove lei è nato, fu inopinatamente prevista una stazione a pochi chilometri da Rocciamalumba che avrebbe collegato alla ferrovia non solo il mio paese ma anche l’altro, Vicoperduto, distante circa cinque chilometri in cosiddetta linea d’aria, in realtà quasi venticinque chilometri di strada dissestata e tortuosa tra masserie abbandonate e campi sul quali l’aratro non ricama le sue storie da molti anni.
Il progetto, uno dei primi del nuovo Stato Unitario, fu considerato ambizioso per l’impervio territorio interessato ma, quantunque la temerarietà dell’iniziativa, realizzato nei dieci anni previsti e con risultati complessivi che ai nostri tempi non sarebbero davvero credibili per recenti e meno recenti grandi opere pubbliche. Quindi, nonostante tutto, abbiamo una stazione ferroviaria (e un capostazione a mezzoservizio con l’altra stazione di Rio Asciutto a circa trenta chilometri, in linea d’aria), dove però soltanto due, tre convogli al giorno, e nei giorni festivi il collegamento è quasi del tutto assente, sostano per i pochi abitanti che utilizzano il treno, preferendo, gli altri, la comodità dell’auto o del servizio di corriera molto più frequente sia per recarsi nel capoluogo sia per altre città della regione. Nessun altro viaggiatore osa scendere nella nostra stazione ignorando le bellezze paesaggistiche, i ruderi di un castello medioevale, la cisterna romana di una villa del secondo secolo a.C. della quale, purtroppo, è rimasta, appunto, solo la cisterna, ma che recenti indagini archeologiche hanno ipotizzato la presenza di ulteriori reperti che meriterebbero di essere svestiti dal manto di terra e detriti che li nasconde.
Tuttavia molti sono i motivi che giustificherebbero una visita turistica a Rocciamalumba o anche a Vicoperduto dove, certamente saprà, vi è un ossario dei caduti che custodisce i resti di molti giovani soldati della nostra regione per l’estremo atto unitario del nostro amato Paese, o immolati nel sacrificio in luoghi lontani della Prima guerra mondiale, o scomparsi in nazioni ignote nell’ultimo sfortunato conflitto mondiale per il quale, sostengono le statistiche, la nostra regione ha avuto il numero maggiore di morti e dispersi.
Ma non le scrivo per documentarla su notizie delle quali sarà sicuramente adeguatamente informato, la disturbo per una richiesta che a mio parere consentirebbe un minimo di attenzione ai due paesi vicini e sicuramente potrebbe tonificare la vita economica della zona notoriamente legata e vincolata dalle scarse risorse agricole e dalla quale, a ogni stagione, le corriere portano via un altro scaglione di nostri figli: alcuni per il servizio volontario di leva, altri per università lontane, qualcuno per imprevedibili opportunità di lavoro. E lei sa che un’alta percentuale di questi nostri figli per un motivo o un altro difficilmente ritorna al paese da cui sono partiti, preferendo insediarsi, a volte in condizioni di indigenza insopportabili e che nei loro borghi di origine non avrebbero subito, in località del centro o del nord dove, apparentemente, la vita è considerata migliore, mentre qui trovano condizioni di vita dignitosa molti extracomunitari naufragati sulle nostre coste o, spesso, fuggiti o espulsi dal cinismo delle grandi metropoli del nord.
Io sono uno dei pochi tornati sia dal servizio di leva obbligatorio, svolto in una città vicino ai laghi, sia dal corso universitario frequentato nel capoluogo di regione dove attualmente insegno Latino in un istituto magistrale a giovani senza fiducia nel futuro, non perché siano giovani ma soltanto perché non conoscono la speranza. Ma ogni sera ritorno al mio amato paese, dominato sulla collina dalla decrepita cattedrale che gli storici definiscono barocca con una certa presunzione in quanto la fatiscenza dell’edificio non suggerisce davvero alcun accostamento estetico, con uno di quei pochi treni che hanno il coraggio di fermarsi nella nostra stazione che come in altre parti del nostro amato Paese, in questo caso, è stata raggiunta dallo sviluppo iconografico di scritte e disegni su mura e vetri di finestre che da indagini svolte dai Carabinieri sembrano attribuibili più a soggetti di passaggio che non a opera di ragazzi del luogo.
Appunto in questa stazione, peraltro ben indicata da invisibili cartelli, di quelli azzurri con il nome della località scritto in bianco che dovrebbero consentire di verificare al viaggiatore distratto dove il treno si sia fermato, o più spesso, da dove stia transitando, oltre questi cartelli moderni di recente collocazione, con il nome non più in stampatello bensì in un corsivo di dubbio gusto (mi permetto di sottolineare), ve n’è un altro, posto in testa all’edificio pericolante della stazione (che, mi creda, caro Presidente meriterebbe opere di restauro essendo, peraltro, prezioso elemento di edilizia ottocentesca di cui restano ben pochi esemplari), di quelli, credo, in uso a partire dagli anni Cinquanta: lettere bianche in stampatello attaccate su sfondo quadrato nero, che per l’incuria del tempo e degli uomini ha perso alcune lettere della denominazione, così come molti anziani della nostra regione irreversibilmente perdono i denti. Attualmente un viaggiatore che non notasse i cartelli più recenti, il che è possibile data la loro illeggibilità anche per effetto delle ignobili scritte e deturpanti disegni, e vedesse soltanto quello, appunto, diciamo antico, leggerebbe il nome della località in Amalum.
E qualcuno lo ha letto proprio in questo senso, non avendo poi avuto il conforto di correggere il nome con la vista degli altri cartelli, oppure pensando all’antico nome di questa località giustificato, secondo fonti classiche e moderne, dalla presenza nella zona di suntuose ville di senatori romani di età imperiale, generando un inaspettato equivoco e modificando di fatto la denominazione del paese in un nome vagamente di origine latina che, mi creda Presidente, incuriosisce… e molto!
Ebbene, non lo giudichi uno scherzo, ma da quando il nome della nostra località è erroneamente letto per Amalum molti sono i turisti, diretti in altre più note località della regione, che scendono dal treno e decidono di visitare il paese, e molti di più sono coloro che ritornano in auto o in corriera, incuranti delle illeggibili segnalazioni stradali, per la stessa ragione riversando, oltre alla loro gradita presenza che ravviva le due località, un consistente ritorno economico (per usare un termine oramai in uso anche nei rapporti sentimentali, mi conceda la digressione).
I due paesi, compreso l’altro di Vicoperduto, similmente agli individui che ritrovano serenità nella vita con un intervento di rinoplastica o di chirurgia estetica, sono come risuscitati dall’oblio del tempo: molte le attività turistiche avviate anche da figli dei figli che sono tornati ai paesi di origine dopo i fallimenti della vita al Nord o al Centro e nel frattempo ulteriori scoperte archeologiche e la valorizzazione delle bellezze paesaggistiche hanno arricchito il potenziale godibile da un turista che era, e a maggior ragione lo è adesso, di notevole interesse.
Caro Presidente, a nome mio personale, come Presidente della locale Pro Loco (che associa nella sua attività promozionale entrambe le località di Rocciamalumba e Vicoperduto), e a nome degli abitanti dei due paesi, con il tacito consenso delle autorità pubbliche che avrebbero dovuto formulare questa richiesta ma che per motivi che mi sono rimasti oscuri hanno deciso di non inoltrare direttamente, le chiedo di non restaurare il vecchio cartello e di uniformare al nome attualmente leggibile di Amalum tutti gli altri e più moderni cartelli (magari con il classico stampatello), in modo che la località possa continuare a beneficiare dei vantaggi che questa inopinata casualità gli ha concesso.
Naturalmente a nome di tutto il Popolo dei due Paesi le garantisco che la collettività è disposta ad assumersi tutti gli oneri economici necessari per soddisfare la richiesta, nel caso che questo potesse essere motivo di ostacolo per l’Amministrazione da lei presieduta o per le diatribe interne alla politica locale, tese più a soddisfare esigenze di prestigio personale e non tangibili necessità delle popolazioni.
Certo che vorrà accogliere la supplica di un suo conterraneo, da Amalum, la saluto fraternamente…

NdR: questo racconto di Paolo Codazzi fa parte della raccolta “Lo storiografo dei disguidi”, edita recentemente da Arkadia (che ha gentilmente concesso la pubblicazione)

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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