Inno ps.omerico a Pan

trad. isometra di Daniele Ventre

Musa, raccontami tu la cara semenza d’Ermete,
lo strepitante bicorne dai piedi caprini, che in valli
d’alberi verdi s’aggira, insieme alle Ninfe danzanti,
che se ne vanno correndo su picchi di balza scoscesa,
chiamano Pan, il signore dei pascoli, fiero di chiome,
irto di vello, che in sorte ha ogni nevoso crinale
e le giogaie dei monti e i cammini impervi di rupi.
Egli tra fitti roveti da un lato e dall’altro s’aggira,
o qualche volta si spinge in riva a correnti gentili,
o altre volte si inerpica in cima alle rupi scoscese,
sopra la cima più alta ascende a vegliare le greggi.
Spesso per le biancheggianti giogaie elevate trascorre,
spesso attraverso le valli s’aggira e fa strage di fiere,
grazie all’acuto suo sguardo; al vespro poi, solo, dà voce
alla sua musa soave, trastullo ha dal flauto, al ritorno
dalle sue cacce: e le sue melodie non vince l’uccello
che in mezzo ai petali di primavera ricca di fiori
spande lamento e gorgheggia il suo canto, voce di miele.
Ecco, le ninfe dei monti sonore di voci con lui
muovono i passi veloci vicino a una fonte, acqua cupa,
cantano e l’eco risuona così sulla vetta del monte
e da una parte e dall’altra il dio gira in mezzo a quei cori,
passi veloci avvicenda e una fulva pelle di lince
veste sul dorso, piacendosi in cuore di canti sonori
sopra d’un morbido prato, ove il croco e insieme il giacinto
dolce d’essenze fiorisce copioso e si mischia con l’erba.
D’inni coronano i numi beati e l’Olimpo elevato,
ma soprattutto il veloce Ermete al di sopra degli altri
cantano, come per tutti i numi sia rapido messo
come all’Arcadia sgorgante di polle, alla madre di greggi,
egli sia giunto, nel luogo in cui il dio Cillenio ha il suo tempio.
Là, presso un uomo mortale, pasceva le greggi lanose,
lui, ch’era un dio: sbocciò, fiorì in lui la languida brama
della Driòpide bella di trecce, e d’averne l’amplesso:
egli le floride nozze compì, ella diede a palazzo
un caro figlio ad Ermete, un mostro già allora, a vedersi,
lo strepitante bicorne dai piedi caprini, ridente;
dunque d’un balzo fuggì, la madre, e lasciò quel bambino:
si spaventò, quando vide l’orribile volto barbuto.
Subito Ermete veloce, però, fra le braccia lo prese
egli l’accolse, sentì, quel dio, gioia immensa nel cuore.
Presto alle sedi immortali andò, nascondendo il bambino
dentro una pelle vellosa di lepre nutrita sui monti:
ecco che allora si assise con Zeus e con gli altri immortali
e mostrò loro suo figlio: gioirono tutti di cuore
gli dèi immortali –ma più degli altri Dioniso Baccheo–
e lo chiamarono Pan, poiché allietò i cuori di tutti.
Questo saluto a te rendo, o re, col mio canto ti placo,
sì, io di te mi ricordo e così d’un’altra canzone.

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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