La Madonna sull’altoforno

di Giuseppe Rizzi

Quando Stasiu mi ha detto la prima volta che c’era la Madonna sull’altoforno, io gli ho creduto. Come potevo non credergli? Ha detto che aveva la pelle nera e un abito scuro fin sopra la testa. L’ho capito subito che era la nostra Vergine di Częstochowa. È così che si presenta. Ho un quadro sul letto, era di mia madre. È benedetto. Viene proprio da Częstochowa. La guardo sempre e mi segno, tutte le sere. Quindi so com’è fatta. Tutti lo sanno. Lei ci protegge. E ho pensato che averla con noi alle acciaierie era un buona cosa. Soprattutto dopo che Cyprian e Jakuba sono finiti nella caldaia di colata e non sono stati più ritrovati.

Grażyna prega sempre la nostra Signora perché non capiti anche a me. È molto preoccupata, poverina. Ma ora la nostra Signora si fa vedere sull’altoforno! Io non l’ho vista, ma mi sono fidato di Stasiu. Mi sono commosso, ho pregato. Ho detto a Grażyna che la Madonna aveva ascoltato le sue preghiere ed era venuta alle acciaierie per proteggerci. Quindi ero contento. Non potevo immaginare quello che sarebbe successo.

Io e Stasiu siamo arrivati insieme a Nowa Huta. Era il 1956 e avevo da poco diciott’anni. Molti palazzi che ci sono adesso non c’erano ancora. Tutto era nuovo e in costruzione. Io e Grażyna ci eravamo appena sposati nella chiesa di san Floriano. Poi mio cugino Jan mi aveva detto che agli operai delle acciaierie davano una casa tutta per loro. Andai a piedi da Krakòw a Nowa Huta perché non avevo i soldi per il tram. Mi fecero giusto due domande, piuttosto volevano vedere se il mio fisico era robusto e se ero sano di mente. In sei mesi avevamo la nostra casa! E pensare che la gente aspetta tanti anni per averne una. E tutta per noi! Non dovevamo condividerla con altre persone. Ogni famiglia la sua. Perché noi eravamo l’orgoglio della Polonia. Mosca era fiera di noi.

Stasiu venne ad abitare nel nostro stesso palazzo, al blocco sei. Era uno dei palazzi più desiderati perché aveva un rifugio antiatomico proprio al di sotto. Al suono della sirena non dovevamo correre per strada a cercarne uno. Mi sembrava di vivere come uno zar. Stasiu arrivò proprio il giorno dopo che eravamo arrivati noi. Anche lui come me era assegnato al settore quattro. Sono passati nove anni da allora.

Quando mi ha raccontato, quel giorno a mensa, che aveva visto la Madonna sull’altoforno, era agitato. Me lo ha detto sottovoce, in confidenza. Mi ha chiesto dieci, venti volte di non raccontarlo a nessuno. È una cosa bella, gli ho detto. Ma lui aveva ragione a dirmi che se lo sanno loro sono guai. A Nowa Huta abbiamo tutto: un centro culturale dove fare musica, un teatro, una palestra per la pallacanestro, la pallamano, il pugilato. E tante altre cose che in altre città operaie se le sognano. Ma non ci sono chiese. Loro non vogliono che abbiamo altre fedi oltre a quella nel Partito e nelle sue cause. Stasiu avrebbe potuto fare una brutta fine, trattato come un pazzo o un sobillatore, e chi lo sa cos’è peggio per loro. No, nessuno doveva saperlo. Lasciamo fare a Lei, gli ho detto io per tranquillizzarlo, e lui ha annuito.

Qualche giorno dopo, Stasiu è caduto a terra, all’improvviso, mentre eravamo all’altoforno. Subito abbiamo pensato al peggio, come al solito. Anche io ho pensato al peggio, pur sapendo che c’era la Vergine. L’hanno portato in infermeria. Si è risvegliato poco dopo. Il medico ha poi detto ch’era stato solo un calo di pressione. Gli ha raccomandato di mangiare più patate e barbabietole – come se a mensa ci dessero altro – e bere meno alcol – come se avessimo altro per scacciare il malumore.

Finito il turno sono andato a trovarlo a casa. La radio raccontava con entusiasmo di Leonov che camminava nello spazio. Stasiu ha alzato il volume perché sua moglie non ci sentisse. Davanti a un bicchiere di wodka mi ha detto cos’era successo. Ovvero che era apparsa di nuovo la Madonna sull’altoforno. Questa volta gli aveva parlato. Non con la voce, mi ha detto, era muta. Gli aveva parlato come da mente a mente. Come se lei era addirittura entrata nella sua testa, e allora aveva perso i sensi.

Ero molto turbato, stavolta. Lui era più turbato di me. Mi ha detto di aver visto un uomo di spalle, che sapeva essere un polacco, vestito di bianco, con tanta gente intorno a lui. Tantissima. In un posto sicuramente straniero. Un colpo di pistola e poi sangue e grida. Qualcuno aveva sparato a quell’uomo. E mentre vedeva queste immagini, sentiva una voce di donna, una voce bellissima, celestiale. Ma una voce tristissima, come se piangeva. La voce ripeteva un numero: diciassette. E quella voce lo aveva così commosso che a parlarne gli uscivano le lacrime.

Che significa? Ma lui non ha saputo rispondermi. L’impressione che aveva avuto era di aver visto qualcosa che ancora doveva succedere.

Ho raccontato anche questo a Grażyna. So che Stasiu non vuole, ma di Grażyna posso fidarmi. Lei non lo dice a nessuno. Gliel’ho detto così smette di essere in pena per me. C’è la Madonna a proteggerci, Grażyna, in cima all’altoforno. Stai tranquilla.

Lei mi ha detto che sicuramente è un miracolo. Che la Madonna sta cercando di dire qualcosa, come è successo a Lourdes e a Fatima. Ha toccato il quadro della Vergine di Częstochowa in cima al letto, si è segnata e ha pregato a lungo per ringraziarla.

Io invece mi chiedevo perché la Madonna avesse scelto proprio lui e non me.

Una settimana dopo, il Comitato delle Acciaierie aveva organizzato una gita sui monti Tatra per gli operai e le loro famiglie. La giornata era molto bella per essere di marzo. Tutt’intorno c’era ancora la neve. Con Stasiu avevo parlato poco negli ultimi giorni. A mensa era silenzioso, non aveva più fatto accenno alla Madonna. Lo vedevo però che non era quello di sempre. Sospettavo che avesse ripreso a bere più del dovuto.

Ci avevano mandato nel bosco a raccogliere legna per fare un fuoco. Le donne preparavano una zuppa e il cavolo da stufare in grossi calderoni. I bambini facevano dei giochi di squadra e cantavano canzoni come quelle che piacciono a Mosca. Quando gli altri uomini erano lontani da noi, Stasiu mi ha detto che la Madonna gli aveva parlato ancora. Gli aveva mostrato un uomo con un’isola rossa sulla fronte, poi ancora quell’uomo di bianco che adesso stava bene, degli operai in mezzo a navi in costruzione e una grossa ancora che sembrava formare due lettere, la P e la W, come quella che si vedeva segnata sui muri durante la guerra. Non capivo che diavolo voleva dire. Lui invece aveva capito.

La Madonna, non una qualsiasi, proprio quella di Częstochowa, ci libererà. E avremo da mangiare in abbondanza, mi ha detto. Non dovremo più fare file di giorni per prendere, ammesso di trovarne ancora al nostro turno, il sapone, le patate o il pane. E potremo avere una chiesa tutta per noi. Lei ci libererà.

Da chi? ho domandato. Lui mi ha guardato come si guarda uno scemo. Il comunismo finirà, mi ha detto. Tutto crollerà. A Roma faranno Papa un polacco, mi ha detto la Madonna. Sarà lei a farlo succedere. Quell’uomo di bianco parlerà al mondo di noi e con la Madonna ci salverà. Darà la forza al nostro popolo di ribellarsi, come sempre è stato. Partirà tutto da lei, da noi operai, da questa zona della Polonia, poi da un cantiere navale a nord. S’è zittito, mi ha guardato e s’è allontanato.

È stato allora che ho iniziato a dubitare di lui. Questo era troppo. Un papa polacco? La Madonna di Częstochowa che fa cadere il comunismo? La Polonia che torna libera?

Ho provato tanta tristezza che quasi piangevo. Non c’era nessuna Madonna sull’altoforno, mi son detto. Il povero Stasiu ha solo ripreso a bere. È stato un lungo inverno, e la gente beve più del dovuto: per il freddo, per il buio, perché non abbiamo altro per scacciare il malumore. La wodka gli ha fatto vedere cose che non esistono, la wodka l’ha fatto star male quel giorno all’altoforno. Il comunismo che crolla… un papa polacco… gli operai che protestano… impossibile. Non basterebbe un miracolo.

Questo non l’ho detto a Grażyna. Sapere che c’è la Madonna la fa stare tranquilla. Non voglio che ci rimanga male.

Due giorni dopo, alla mensa, mi sono deciso a parlare a Stasiu. Gli ho chiesto se per caso avesse ripreso a bere troppo. Si è arrabbiato. Aveva capito cosa volevo dire. Ha detto che bestemmiavo, che dovevo vergognarmi. E che avrebbe detto a tutti della Madonna. Gli ho implorato di star zitto, che gli altri intorno a noi potevano sentire. E se lo sentivano, lo dicevano a loro. E loro lo avrebbero trattato come si tratta un pazzo o un sobillatore. Vedere la Madonna, a Nowa Huta, nelle Acciaierie Lenin: per scomparire bastava molto meno. Pensavo a Grażyna, ai bambini… Tutti sapevano che Stasiu e io siamo buoni amici. Potrei anch’io scomparire con lui, ho pensato.

E da quel giorno l’ho evitato. Mi sono seduto con altri a mensa, non sono più passato da lui al secondo piano.

Per una settimana non ci siamo parlati. Poi una sera ho trovato un biglietto sotto la mia porta. L’aveva scritto lui. Diceva così: Lei mi ha detto cosa devo fare e domani lo faccio.

Sono andato subito da lui, attento che nessuno nel palazzo mi vedesse. Sono entrato in casa e gli ho detto molto arrabbiato, ma bisbigliando: Cosa vuoi fare? Ci pensi a tua moglie? Ci pensi a quello che succederà?

Lui era rimasto tranquillo, sembrava beato. Non aver paura, mi ha detto.

Non dire niente a nessuno, per favore, l’ho supplicato. Ci vado di mezzo anch’io. Ci vanno di mezzo le nostre famiglie. Ti prendono per pazzo o per eversivo.

Lui mi ha abbracciato. La Madonna è con noi. Lei ci protegge, ha detto soltanto. Lei sa cos’è meglio. Lei sa cosa devo fare.

È stata l’ultima volta che gli ho parlato.

Il giorno dopo, al mattino, tutto è andato come al solito. Lui s’è comportato normalmente. Io di continuo ho dato un’occhiata in cima all’altoforno. Volevo che la Madonna fosse lì, a dimostrarmi con la sua presenza che Stasiu aveva ragione, che tutto andava bene. Che lei ci proteggeva.

All’ora di pranzo, a mensa, mi sono seduto ancora con altri. Lui era solo, in un tavolino in disparte. Intento a mangiare, l’ho perso di vista per alcuni istanti. Quando ho guardato di nuovo al suo tavolo, non c’era più. Ho avuto paura. Il pranzo era ancora lì nel vassoio e lui non si vedeva.

Abbiamo sentito allora delle urla, poi alcuni spari. Ci siamo nascosti tutti sotto i tavoli. Poi abbiamo visto altri uscire e ci siamo precipitati anche noi a vedere. C’era Stasiu per terra. Era morto. Il sangue tutt’intorno e un fucile stretto ancora tra le mani. Lo aveva rubato a un soldato in una garitta, abbiamo poi saputo. Non so cosa diavolo volesse fare. Un altro soldato lo ha freddato prima che lui potesse far qualcosa.

Povero Stasiu, ho pensato. Povero Stasiu. Come poter credere ancora alla Madonna sull’altoforno? Era questo che gli avrebbe detto di fare, allora? Rubare un fucile? Per puntarlo su chi, poi? Per fare cosa? Che oscenità.

Il Papa polacco, l’uomo con un’isola in fronte, gli operai in mezzo alle navi. Ecco cos’era Stasiu, proprio come temevo. Un pazzo. Un’altra povera vita rovinata dall’alcol. Non un eversivo o un sobillatore. Così mi son detto, preso dalla tristezza e dall’angoscia. Ho pensato a sua moglie, ai bambini. Ho pregato per lui.

L’ho raccomandato alla nostra Vergine nera, che lo abbia comunque in gloria.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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