Mi piacciono molto i documentari di Netflix
di Andrea Inglese
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Mi piacciono molto i documentari di Netflix.
I documentari più belli di Netflix sono le storie
di successo, le storie vere di successo, ma raccontate
appunto dalla visuale del successo, sono storie di vita,
come tante altre, ma sono ben raccontate in storie di successo.
Tutto in quelle storie di vita come tante altre diventa
un ingranaggio in una perfetta storia di successo
con il finale che ti aspetti, ti aspetti una bella dose
stragrande di successo: numeri soprattutto, metri quadri
di appartamenti, cifre di automobili o di merci vendute
o ammontare di patrimonio, sono tanti ma in fondo
simili, sono gli stessi ovunque, gli ingranaggi di successo
in una bella storia di successo. All’inizio di una storia
che sembra come tutte le altre, come una storia
scipita di gente decente – magari – ma senza
quel tocco, quella fissa maniacale, quella visuale
manovrante del successo, all’inizio c’è qualcuno
che non conta niente, che non è ben visto,
che è pettinato e vestito male: un nero, ad esempio,
che vive in mezzo alla droga, alle armi del ghetto
o un italo-americano, figlio di operai simpatici,
ma vive in una stradina sporca di Brooklyn, oppure
è una donna che ha un po’ troppi fratelli-sorelle,
e dislessica, in una storia di successo è importante
partire da un certo numero di disagi,
d’inconvenienti di carriera: aver preso botte,
essere stato cacciato, licenziato, bocciato,
insultato, discriminato, considerato una mezza
calzetta, ma subito si capisce come gira una vita
che avrà successo: il tipo o la tipa di successo
innanzitutto non guardano in faccia nessuno
(anche se parlano con solennità e commozione
di almeno uno dei genitori, c’è sempre
almeno uno dei genitori che viene intervistato,
è di solito il genitore decente, che ovviamente
è molto orgoglioso, e contento delle cifre che sono
state dirottate anche nella sua vita inizialmente
a bassa percentuale di tutto), comunque il tipo o la tipa
che hanno successo soprattutto lo hanno voluto,
fin dai tre o quattro anni di vita, non hanno fatto
che pensare a come diventare i primi i migliori i più bravi,
e si sono messi al lavoro abbastanza presto
non guardando in faccia nessuno
e sono persone – lo si capisce dalla visuale
del documentario – che a un certo punto
si sono messe a lavorare, e hanno lavorato
e lavorato, e lavorato, e lavorato, hanno
– senza guardare in faccia nessuno – lavorato,
esagerando su tutta la linea, alcuni sopratutto
al telefono, e allora non smettevano più, dalle sei
di mattina telefonavano a tutti, e anche se gli moriva
della gente vicino – passanti parenti amici mogli –
loro mica si lasciavano smontare, certo
cadevano in fondo alla buca tipica di una storia
di successo – ogni storia di successo ha una buca
nera maleodorante e profonda, dove finisce di cadere
chi sta perseguendo – senza sguardi in faccia a nessuno –
il sogno infantile di successo – ma anche nella buca
annichilente e nera, continuano a fare telefonate
dalle sei del mattino, e riescono a ottenere quello
che vogliono: con sorrisi, minacce, manipolazioni,
menzogne, empatia, giocosità, ricatto, spavento,
e quindi alla fine di tutto, nonostante il soggiorno
per varie buche nere e fonde, escono tutti quanti
sorridenti nell’intervista, anche un po’ emozionati
perché alla fine essere un uomo o una donna di successo
vuol dire essere dopotutto anche un po’ semplici
esseri umani, con comportamenti ancora abbastanza umani
in fondo, anche se si è aggiunto il successo e il peso
bellissimo e alleggerente delle cifre di cose vendute
o di soldi intascati. È un peso che tonifica piuttosto
che schiacciare l’umanità di questi esseri di successo.
Sono storie vere documentate di questo tipo
che a me piacciono in Netflix. È bello vedersi
da questa visuale precisa tutti gli ingranaggi
di una vita veramente riuscita, che veramente vale
di essere vissuta, mica tutto il resto delle vite
qualunque, come la nostra che non fa mai quelle
bellissime cifre, non entrano mai, perché di certo
mancano gli ingranaggi giusti, le telefonate
alle sei di mattina, quando io ancora dormo
come un fesso puramente umano, ma così,
proprio così – un po’ per contrasto – è bello
vedersi quel documentario, mentre tutto intorno
è ancora abbastanza pandemico, c’è il difficile
problema della vaccinazione, e discussioni che a volte
sembrano persino sottili, bisogna riuscire a dire qualcosa
nei piccoli silenzi tra le cose che ovunque vengono
dette, pensare qualcosa nei piccoli spazi
non ancora pensati, ma sono frutto quasi sempre
di grande emergenza (urgenza?). Un documentario
con quella tipica visuale del successo ti fa invece
dormire anche meglio.