I poeti appartati: Francesca Canobbio
Muta per amore
Prendi le tue ore di distanza quando
parto mentre mimo per eccesso di ego
una qualsiasi delle mie pose su questo
calendario magnetico ad anno aeternum
che va ora oscillando in positivo nella
mia marina per spondarti l dove batte
la mia onda che congiunge in trigoni ed
opposizioni i nostri astri dominanti nella
casa dove si trovano i nostri segni e le
nostre cicatrici che passeranno disattese
sui muri che come cariatidi abbiamo
innalzato e toccheranno forse qualche
millimetro di vuoto da colmare o forse
faranno il centro di qualche storia
millenaria a me coeva o meno di
catastrofi epocali che alcun sismografo
ha mai registrato a meno di quanto si
possa immaginare nei silenzi fra le
partiture degli spartiti che fra una sorda
nota di infinito che si pavoneggia di
chiudere le sinfonie con un occhio
chiuso ed uno aperto ad nuovo indirizzo
cui evocare per mantenere l’ensemble
della realt o funzione dominante che
la sola eccezione che conferma la nostra
regola e ragione di esistere per
trasgredirla di continuo e ripetere nella
voce di altri alcuni la nostra voce nel
tempo di un singhiozzo che la porta via
da ognissia
“Muta stil, se vuoi gioire”
Riposo sui millimetri di spazio che mi
concedi quando non sei ancora qui
presente ad agguantare con agguati la
mia anima che ti restituisce la mia
altezza sulle tue torri di controllo
imbastite a terra di caccia dai sarti della
sera che ti veste di terreni conquistati e
ti regala una cravatta per soffocare la
gola nel nodo del sentimento di ora che
ancora hai la mia aria nelle vene e
prima che giunga il bisogno assurdo
l’astinenza dei nostri effluvi che si
scambiano segnali sulla rotta delle
comete che regalano un natale e poi
ancora la nostra pasqua fra lenzuola di
nuvole e piogge acide di mondo dalle
quali epurarsi trovando riparo nei
giacigli profumati dai nostri pori e dalle
nostre carni che coincidono con il ritmo
delle bellissime fiere in contrasti ed in
ritorni di questa pace tanto agognata
questo nostro vivere solo nella
complessit del contatto fra le marce dei
militi che chiedono riposo e a seconda
del loro grado e tempo scorgono da
sentinelle l’arco di sguardo dove
rifugiare e dove posare gli occhi in altri
occhi che li contemplino e dei quali
essere pupilla
Nota di lettura
di
effeffe
Vi sono nell’esperienza dei grandi poeti / tali tratti
di naturalezza /che non si può, dopo averli conosciuti, /non finire
con una mutezza completa (Pasternak)
Mi sono a volte interrogato sulla similitudine tra il linguaggio dei segni e quello dei poeti. Non tanto per complicatissime e inesistenti teorie psico-linguistiche ma per il fatto essenziale al discorso, di avere gli uni, i muti e gli altri, i poeti, una profonda e simile difficoltà, quella di far sentire la propria voce. Ecco perché la parola diventa corpo, muscolo, arto, talvolta associandone due, dita, bocca, negli uni, e prosa, performance, reading, concorso, presentazione del corpo, negli altri. Se i primi reagiscono a quella dissonanza naturale inventandosi un altro modo di dire, per i secondi, la maggior parte non tutti, l’inguacchio, il guasto sta negli altri, che non ti stanno a sentire a causa del proprio volontario esser sordi.
C’è in quest’opera di Francesca Canobbio qualcosa dei primi, la non arrendevolezza dei gesti, la smisurata fede nell’altro e dei secondi poco, dico in generale, per niente ad esempio lo spocchioso disinteresse alle produzioni altrui. Francesca scrive poesie da grande lettrice di poesia, da conoscitrice attenta, rigorosa del verso, sarei tentato di dire specialista ma vi rinuncio perché a questi manca il cuore mentre in lei il cuore è tutto. Penso in particolare al magnifico lavoro compiuto perché l’opera della Ruggeri non scivolasse nell’oblio, per esempio e proprio al suo Canto senza voce, che ci riporta alla parola non parola della muta.
Ecco perché ci sono poeti, per la maggior parte autentici, in cui ogni dialogo messo in scena trai versi è possibile soltanto grazie ai dialoghi dietro le quinte reali o immaginari con altri poeti e qui la voce di Claudia Ruggeri si percepisce. La muta per amore, come molti sapranno, è un’opera di Vincenzo Lavigna e rappresentata per la prima volta a Milano nel 1802 anche grazie a un interessamento di Paisiello autore quanto a lui di Nina o la pazza per amore. Si tratta di opere buffe, cosa che questo libro non è. Il passo di La muta per amore di Francesca Canobbio, ha invece in sé qualcosa di mitico, di sacro; la geografia dei luoghi e dei sentimenti evocati fa pensare a un percorso, un rito d’iniziazione che torna sempre daccapo, esattamente come un verso, per lo più.
La precisione dell’amore
la distrazione
Dal sentimento di solitudine
Edmond Jabés, credo abbia scritto che nel fondo ogni viaggio non sia nient’altro che lo spostamento del punto di partenza. Così la mutevolezza delle scene – su ogni singola poesia cala il sipario come se si fosse a teatro – l’autrice propone al lettore d’iniziare da dove si era partiti, da una dichiarazione d’amore che ancor più che rimanere inascoltata resterà non parlata, ovvero detta come se non vi fossero più parole, ma gesti, corpo.
Perché nessuna
Voce sarà mai più forte di un sospiro
E tu che mi leggi il labiale coi baci che
non ti ho
Dato ora dammi indietro il vento per
riempire tutti i miei anni.
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Grazie infinite, Francesco caro.
Ti dedico questa mia, che è solo per i miei migliori amici
Tutta la vita davanti
Nelle lacrime simmetriche del mare
Alla risacca che come uno specchio
Mi porta indietro il mio sale sul viso
Mi hai eccitata fino al pianto
Mentre riguardavo la mia storia nel sole
Del tuo viso scomposto di allegria
Che porta il segreto a me noto
Di rapine alle fonti dei fiumi