Il libro della follia
di Rosaria Lo Russo
Il libro della follia è la prima traduzione integrale in italiano della prima edizione di The Book of Folly, che Anne Sexton diede alle stampe nel 1972. Qui lo stile confessional, che aveva reso celebre l’autrice, fruttandole alla fine degli anni sessanta il prestigiosissimo Pulitzer Prize, giunge alla piena maturità, trasformando il teatro confessionale dell’io lirico nel Gran Teatro psichedelico delle allegorie transpersonali. La Signora Benestante che scrive occasionalmente versi rispettando le forme metriche lascia il posto, definitivamente e consapevolmente, al personaggio della Poetessa Martire della società benpensante, e all’aspirante suicida, ma non prima di aver effettuato il rovesciamento parodico dei valori patriarcali, accostando l’alto senso del tragico all’ironia e alla caricatura, la metafora lirica al sarcasmo più candidamente blasfemo. Nell’unico libro in cui Anne Sexton, diversamente femminista e profeta di tempi peggiori, sperimenta con la prosa, inscenando in tre “storie” l’anoressia, il femminicidio e il suicidio-della-poetessa, assistiamo al crollo delle fondamenta dei luoghi comuni e dei riti borghesi e religiosi del puritanesimo statunitense. Con una scrittura più vicina a quella delle canzoni rock che alla poesia sua contemporanea, la lingua inconfondibile della Follia di Anne Sexton ha influenzato, per stile e tematiche, non solo la poesia successiva americana e poi internazionale, ma anche la scrittura di divi del pop rock come Peter Gabriel e Kate Bush.
di Anne Sexton (traduzione di Rosaria Lo Russo)
L’Accumulatrice seriale
L’ozioso è come un pugno di sterco; chi lo raccoglie se lo scrolla di mano
Siracide
C’è qualcosa laggiù
che devo afferrare e scavo
e la gente schiatta e i topi
muschiati vengono a galla a pancia all’aria
e si aprono al mio tocco come
fiocchi di cereali eppure devo
scavare perché c’è
qualcosa laggiù dentro l’oro-
logio di Nana l’ho rotto sba-
gliando scavavo anche allora
dovevo scoprire e snàppete
e cràcchete la mano si ruppe come
uno stuzzicadenti ma non l’ho imparato
continuo a scavare qualcosa
laggiù è la banconota da cinque
dollari di mia sorella che ho strappato perché
non era mia erano soldi di scena
non era mio qualcosa laggiù
scava scava vincerò
qualcosa come la mia prima bici
al primo traballante tentativo di equilibrio
una cavalletta che vola lei
del corridoio puzzolente di muffa
era molto prima molto prima era
la mia prima bambola che l’acqua
ci entrava e l’acqua ci usciva molto
prima era il pannolino che avevo
addosso sporco e mia
madre mi odiava per questo e io
mi amavo per questo ma l’odio
vinceva, no?, certo, e il disprezzo
vinceva e il disgusto vinceva e per
questo io sono un’accumulatrice di parole
le tengo dentro anche se sono
sterco oh Dio sono una che scava
non sono un’oziosa
vero?
*
Ammazzare la primavera
Quando le piogge fredde insistenti ammazzarono la primavera, fu come se una persona giovane fosse morta senza alcun motivo.
Ernest Hemingway, Festa mobile
La primavera fu sepolta da una ruspa.
Lei non voleva, non voleva, non voleva.
Tardo aprile, tardo maggio
e le piogge metalliche insistevano.
Dalla finestra grigio pistola guardavo
i tulipani atterriti sgangherare
abbattuti come piccioni.
Allora ignorai la primavera.
Mi misi i paraocchi e cavalcai un ciuco
in cerchio, un tiepido cerchio.
Ho cercato di cavalcare in eterno
ma sono ritornata.
Ho ingoiato la mia carne acerba
ma è ritornata.
Ho messo una croce sopra alla memoria
ma è ritornata.
Ho messo il tempo alla catena
ma è ritornato.
Allora ho infilato la testa in una ciotola di morte
e gli occhi si sono chiusi come vongole.
Non sono ritornati.
Fui dichiarata legalmente cieca
dai miei libri, dalle carte.
I miei occhi celestiali
non sono voluti ritornare.
I miei occhi, quelle due zoccole troie,
non volevano più giocare.
Allora mi sono inchiodata le mani
su una scatola di legno di pino.
Ho seguito le vene blu
come una carta stradale al neon.
Le mani, un paio di orsi, le due toccatrici,
non si dilungavano più a parlare.
Non tentavano più di mettersi in gioco.
Trafitte all’oblio,
non sono ritornate.
Dismesse le loro abominevoli abitudini,
si allenavano alla crocifissione.
Non potevano rispondere.
Allora ho preso le mie orecchie,
un paio di lune fredde,
e le ho fatte annegare nell’Atlantico.
Non portavano maschere.
Non si facevano ingannare dalle risate.
Non erano luminose come l’orologio.
Affogarono come uccelli ricoperti di petrolio.
Non sono ritornate.
Con le mie ossa addosso sulla scogliera
le ho aspettate, se gallassero a macchia d’olio.
Ma non sono ritornate.
Non ho potuto vedere la primavera.
Ascoltare la primavera.
Toccare la primavera.
C’era una volta una persona giovane
che morì senza alcun motivo.
Come me.
***
The hoarder
An idler is like a lump of dung; whoever picks it up shakes it off his hand.
Ecclesiasticus
There is something there
I’ve got to get and I dig
down and people pop off and
muskrats float up backward
and open at my touch like
cereal flakes and still I’ve
got to dig because there is
something down there in my
Nana’s clock I broke it I was
wrong I was digging even then
I had to find out and snap
and crack the hand broke like
a toothpick and I didn’t learn
I keep digging for something
down there is my sister’s five
dollar bill that I tore because
it wasn’t mine was stage money
wasn’t mine something down there
I am digging I am digging I will
win something like my first bike
teetering my first balancing act
a grasshopper who can fly she
of the damp smelling passageway
it was earlier much earlier it
was my first doll that water went
into and water came out of much
earlier it was the diaper I wore
and the dirt thereof and my
mother hating me for it and me
loving me for it but the hate
won didn’t it yes the distaste
won the disgust won and because
of this I am a hoarder of words
I hold them in though they are
dung oh God I am a digger
I am not an idler
am I?
*
Killing the spring
When the cold rains kept on and killed the spring, it was as though a young person had died for no reason.
Ernest Hemingway, A Moveable Feast
Spring had been bulldozed under.
She would not, would not, would not.
Late April, late May
and the metallic rains kept on.
From my gun-metal window I watched
how the dreadful tulips
swung on their gs,
beaten down like pigeons.
Then I ignored spring.
I put on blinders and rode on a donkey
in a circle, a warm circle.
I tried to ride for eternity
but I came back.
I swallowed my sour meat
but it came back.
I struck out memory with an X
but it came back.
I tied down time with a rope
but it came back.
Then
I put my head in a death bowl
and my eyes shut up like clams.
They didn’t come back.
I was declared legally blind
by my books and papers.
My eyes, those two blue gods,
would not come back.
My eyes, those sluts, those whores,
would play no more.
Next I nailed my hands
onto a pine box.
I followed the blue veins
like a neon road map.
My hands, those touchers, those bears,
would not reach out and speak.
They could no longer get in the act.
They were fastened down to oblivion.
They did not come back.
They were through with their abominable habits.
They were in training for a crucifixion.
They could not reply.
Next I took my ears,
those two cold moons,
and drowned them in the Atlantic.
They were not wearing a mask.
They were not deceived by laughter.
They were not luminous like the clock.
They sank like oiled birds.
They did not come back.
I waited with my bones on the cliff
to see if they’d float in like slick
but they did not come back.
I could not see the spring.
I could not hear the spring.
I could not touch the spring.
Once upon a time a young person
died for no reason.
I was the same.
***
Testi tratti da Anne Sexton, Il libro della follia (La Nave di Teseo, 2021)