Le colpe, proprie e altrui : su Heautontimorumenos XXI di Alessandro Seri
di Viola Amarelli
Nella produzione poetica contemporanea non è raro imbattersi in materiali e moduli della tragedia classica o, quanto meno in suoi echi. Si pensi, esemplificativamente, al Tiresia di Giuliano Mesa in area italiana o, al di là dell’Atlantico, all’Autobiografia del Rosso, romanzo in versi di Anne Carson. Ma è sicuramente molto meno frequente il riuso delle formule della commedia antica che caratterizza invece l’ultimo lavoro di Alessandro Seri: Heautontimorumenos XXI (Arcipelago Itaca, 2021). Sin dal titolo è palese infatti il richiamo all’omonima commedia del latino Terenzio (a sua volta calco di un precedente lavoro di Menandro), nota soprattutto per una celeberrima battuta diventata un brand delle correnti umanistiche a partire dai tempi del circolo degli Scipioni: Homo sum: / umani nihil a me / alienum puto, qui posta in esergo alla raccolta. La stessa struttura di quest’ultima – articolata in cinque sezioni, ognuna delle quali costituisce di fatto quasi un poemetto auto conclusivo – rispetta i canonici cinque atti della commedia antica ed una delle sezioni si presenta come “Parodio”, parola giocata, secondo un’intervista dell’autore che del resto è, tra l’altro, autore teatrale, sulla commistione tra parodia e io dei poeti, ma che richiama anche il parodos, l’atto che segnava l’ingresso del coro sulla scena.
L’alternanza tragico-comica permea tutta la tessitura del libro, che riunisce testi scritti negli ultimi tre lustri, considerato che l’ultimo libro di poesia di Seri risale al 2006, pur se lontano dalla poesia in questi anni l’autore in realtà mai è stato, sia come organizzatore di festival e premi, sia come direttore editoriale e ora fondatore di una casa editrice in proprio. A voler trovare un filo conduttore delle cinque sezioni si potrebbe forse richiamare la “commedia umana” di Balzac, specie nel suo obiettivo di “studio del cuore umano”, qui focalizzato soprattutto sull’elaborazione di un senso di colpa non solo individuale e privato, ma anche collettivo e pubblico, senso di colpa pienamente coerente col significato di heautontimorumenos: punitore di se stesso.
Così in “Lo scorrere del traffico” (titolo che sembra quasi una metafora della vita) compariamo come …esseri speciali / belli e lucenti, multioriginali, in realtà Sempre troppo pronti a cogliere la norma / come un bene per poi abbandonarla / quando si richiede di essere normali, mentre in “Inevitabile” l’inadeguatezza di un sé paterno si traveste da ironica elegia. Il doppio binario di un senso di fallimento personale e generazionale trapela in molti dei testi (La colpa è mia compagna e non si placa; un cumulo di giuramenti al vento; Coltivi l’enigma di mia generazione / smantellata di coraggio e di reazione) quasi a redigere un bilancio in controluce dove anche la poesia si palesa soccombente (A non emanciparsi è stata la poesia / minuta e chiusa in scatola di morte; siamo plurali più del necessario noi / che ci castriamo nei miti del linguaggio; Gli inadeguati stormi dei poetoni / murati tra l’elegia e il cerchio degli occhiali).
In questo contesto si delineano e sono indagati una pluralità di temi: dagli affetti familiari all’imbarbarimento delle dinamiche sociali, dalle sconfitte e delusioni politiche all’inevitabile lato oscuro della fine propria ed altrui, sino a una sacralità che affiora dal balenare, non solo in funzione satirica, di riti ed oggetti religiosi (candele; prete; panche, messa; processione; calice; madonna; neocatecumeni). La ricchezza polifonica della raccolta trova un suo riuscito equilbrio nella struttura delle sezioni e nell’attenzione costante a una prosodia che riusa forme della tradizione metrica in una chiave estremamente personale, dove il ‘canto’ elegiaco e l’espressionismo parodico si bilanciano aderendo con estrema misura alle esigenze non solo contenutistiche dell’autore. In tale ottica l’ordine, l’ardore, richiamato da Sotirios Pastakas nella sua incisiva prefazione, dà giustamente risalto alla capacità di Seri di coniugare passioni e perizia artigianale del labor limae, quasi seguendo una preziosa indicazione di Mandel’štam: “In poesia, dove tutto è misura, tutto parte dalla misura, ruota intorno alla misura e grazie alla misura gli strumenti di misurazione hanno facoltà particolari, sono portatori di una speciale funzione attiva”. Non a caso, del resto, una delle sezioni del libro si intitola “Musiche”, e tende a sperimentare la possibilità di riprodurre in poesia tracce di partiture, in una sorta di mimesi sonora di tempi, danze e componimenti musicali. Più in particolare l’andamento strofico di gran parte dei testi, la presenza di versi ipermetri, l’uso frequente di settenari, ottonari e novenari, l’emersione, specie nelle poesie satiriche, di lemmi in lingua ‘locale’ (si veda ad esempio “Sirvio” nella sezione “Parodio”) contribuiscono a rivitalizzare una tradizione che risente dell’influenza delle laudi e dei cantari della poesia medievale (si veda ad esempio la citazione da Jacopone da Todi: Ioanni figlio novello / morto s’è ‘l tuo fratello) innovandola con le odierne tensioni performative.
Il tema della trasmissione, della consegna – che è l’etimo di tradizione – si dispiega inoltre chiaramente nell’ultima sezione del libro, “L’albero”, una galleria genealogica che parte dalla figura del trisavolo per arrivare sino ai figli, saltando volutamente l’autore, peraltro ritratto di sbieco nelle risonanze di posture e di caratteri che animano tutti questi padri, contadini, emigrati di ritorno, sarti, in gran parte schivi e solitari, in una ricostruzione anche territoriale di un paese che muta da un risorgimento contadino a un …fazzoletto bianco / lavato giù la fonte / dal sapone fatto col maiale, da una carrozza bianca sino alla scocca rossa di un centoventiquattro. Non che manchino le tensioni bene o male presenti in ogni rapporto genitoriale: restano alcune piaghe, storiche ferite / una competizione amara che rifuggo / la tua non linea dritta, il tuo superfluo. Pure, trasmettere, consegnare implica un vaglio valoriale di ciò che si ritiene significativo e ciò che invece andrebbe abbandonato: il coraggio che è cosa rara, l’idolo del dimostrarsi fermi e, soprattutto, richiede la capacità di tramandarlo (io non vorrei pesarti ma esserti d’aiuto / di lato affianco parecchio defilato / con gli occhi suggerirti, suggeritore muto) in una relazione che implica sempre una reciprocità di scambio, anche di fronte a una neonata ultimogenita che insegna come gestire la sconfitta, semplicemente riflettendosi nei suoi occhi neri e nel richiamo e sunto dei sorrisi.
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Mmuort (nei pressi della crisi)
Mi sei di fianco e mi circondi
se corro avanti la testa ti nascondi
volgo lo sguardo all’anno già passato
urli vorace a fiato olezzo ormai perduto
moderno specchio, misura del reale
il peso che mmuortifica il corpo innaturale.
Coltivi l’enigma di mia generazione
smantellata di coraggio e di reazione
è dunque un alibi pesto, cieco luogo comune
sfumata rappresentanza laica, alterne fortune.
Estinto l’esistente, ridotta la carriera
si abbassano le ombre sulla sera,
s’abbassano i regimi
disoccupo il mio tempo,
si stringono i cordoni.
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Trillo
Il mio vèllo è liscio,
inneggiato, orfico e mutante
esigua cometa filante, annuncio
debole cenno di assenzio
verde di pelle e straccio
per lacrime assenti, dolenti
musicale e negante arpeggio
dileggio troppo il caduco ponte
stormo tempesta coro di pioggia
angolo trino occhio mio lino.
*
Perché di me conservi gli occhi
la cordigliera della schiena
e tutto il corpo ed il respiro
il battito di ciglia, la proiezione al nuovo
c’è assai destino nei disegni
sotto le piante, nei giochi del giardino
cercami pure quando entri
per lo spettacolo, senza timore alcuno
nel fondo della sala tra i presenti
e troverai uno specchio ove specchiarti
perché il coraggio è cosa rara
non è merce, non si vende
quando non piangi dopo una caduta
e per assicurarti la mia reazione osservi
sappi che lo conosco bene
l’idolo del dimostrarsi fermi
non c’è capitolo di soluzione bensì
rincorrersi di crocevia, somma di eventi
nel compito che gli anni m’hanno regalato
io non vorrei pesarti ma esserti d’aiuto
di lato affianco parecchio defilato
con gli occhi suggerirti, suggeritore muto.