Le letture tendenziose di Franco Antonicelli
Proponiamo un estratto, per gentile concessione dell’editore, da Franco Antonicelli, “Le letture tendenziose”, E/O 2021.
Il discorso sulle “letture tendenziose” pronunciato dall’intellettuale antifascista Franco Antonicelli a Livorno, il 15 ottobre 1967 per l’inaugurazione della Biblioteca dei Portuali, e ancora oggi una appassionata difesa di un modo di leggere per capire e per cambiare. Antonicelli (1902-1974) subì un primo periodo di carcere per aver firmato un documento di solidarietà con Benedetto Croce, e nel 1935 venne confinato alcuni mesi ad Agropoli. Ripreso l’insegnamento a Torino, ne venne allontanato per motivi politici. Alla vigilia dell’insurrezione Antonicelli divenne presidente del Cln, Comitato di liberazione nazionale, e fu tra i dirigenti prima del Partito d’azione e poi del Partito repubblicano. Diresse negli anni trenta a Torino la casa editrice Frassinelli, introducendo in Italia, tra gli altri, scrittori come Kafka e Faulkner, e nel dopoguerra la Da Silva pubblicandovi tra l’altro “Se questo è un uomo” di Primo Levi (1947). Consulente della Rai, collaboratore della Stampa e di molte riviste, è stato tra i protagonisti nel 1953 della battaglia contro la “legge truffa” ed è stato eletto senatore nel 1968 nelle liste del Pci e poi del Psiup per due legislature.
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Ah, sì, certamente. Quello che ha detto il mio amico Terni è la verità: non dico che non sarei venuto. Sono venuto con un più vivo piacere proprio per il fatto che erano i lavoratori portuali che mi avevano invitato; proprio per l’amore che ho, e che credo di aver dimostrato, per il popolo e specialmente per il popolo che non rimane popolo, che non rimane massa e che si costruisce i suoi strumenti per diventare come tutti desideriamo: la classe dirigente di un paese. Non è un pensiero politico quello che dico: dico la classe dirigente, cioè la classe responsabile dell’avvenire di un paese.
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Vi è un altro libro che vorrei che ci fosse, ed è Lettere dall’America di Gaetano Salvemini. Voi sapete chi era Salvemini. Era un grande uomo e affettuosamente, ricordandolo, dico che era politicamente uno sconclusionato, e dico sconclusionato con molto affetto, con l’affetto di chi ama gli uomini sconclusionati, cioè gli uomini che non predicano niente, che non fanno profezie e che sbagliano sempre, ma che hanno un meraviglioso vigore. Hanno un meraviglioso vigore. È stata, questa, la coscienza di italiano di Gaetano Salvemini. Gaetano Salvemini uomo era così; era un vecchio socialista, poi persino abbandonò il Partito Socialista più che altro per ragioni di indipendenza. Ebbene, ha educato l’Italia. Ha educato l’Italia a credere alle cose concrete, a credere ai problemi concreti, e a credere anche al sospetto delle proprie verità. Credo di aver ricordato, tutte le volte che l’ho incontrato, che Salvemini aveva quel meraviglioso coraggio, che gli uomini politici non hanno, di dire: mi sono sbagliato.
Perché voglio che leggiate le Lettere dall’America? Sapete cosa sono le Lettere dall’America? Sono le lettere che lui ha scritto tra il 1944 ed il 1949. Nel 1949 poi rientrò in Italia, come saprete, ed è risalito sulla cattedra dalla quale era stato cacciato nel ’25, la cattedra di Storia a Firenze. Degli anni ’44-46 sono le lettere del primo volume. A chi Salvemini scriveva? A gente che voi certamente sapete chi era: a Riccardo Bauer, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei, Egidio Reale, cioè a gente, come chiamarla?, di mezza forza, mi spiego?, politicamente, cioè, di terza forza: non socialisti di origine, ma liberal-socialisti, secondo la lezione di Rosselli, Partito d’Azione, Giustizia e Libertà. Poi si divisero, parte socialisti, parte radicali, parte repubblicani.
Perché vi dico di leggere questo libro, queste lettere bellissime, ricche, piene di interesse, di entusiasmo e, da parte di Salvemini, di consigli? E le risposte degli altri: – Ma tu non vedi bene…, ma tu non sai la situazione…, ma tu vivi in America… – È un libro drammaticissimo e bello. Perché? Perché la storia è la storia della caduta d’un grande entusiasmo, d’un grande ideale, che si configurò politicamente nella storia del Partito d’Azione. Questo nobile partito, il partito della tormentata coscienza degli intellettuali italiani (intellettuali italiani che credettero di poter fondare un partito sulla crisi della loro coscienza, di fondarlo sulla speranza di una via che non poteva essere tradotta in realtà, che non corrispondeva alla realtà, che non corrispondeva neanche a un ceto vero e proprio, perché corrispondeva soltanto alla classe degli intellettuali), fu lo specchio del più glorioso fallimento politico che ci sia stato in Italia, ma glorioso e nobile. Perciò è un libro che voi dovete conoscere perché un portuale, un lavorato- re deve conoscere quali sono state le ansie degli intellettuali con cui ha e deve trovare alleanza naturale.
Ma cosa c’è di bello in questo libro? Sono queste battute di Salvemini, questa continua lezione di Salvemini che vi posso citare in tre punti. Uno è questo: «il mondo sarà rinnovato se ciascuno lavorerà nel proprio paese a rinnovarlo», cioè la fede nel lavoro personale.
– Non dire: che cosa fanno gli altri?, non dire: sono un isolato, non dire: non ce la posso fare da solo. Ogni paese sarà rinnovato se ciascuno lavorerà per rinnovarlo –.
E poi vi è quella che è sempre stata la sua lezione: l’ho sentito dire tante volte, in modo molto bello: – Bisogna che in Italia si crei una classe che per dieci anni lavori, studi, studi, stia da parte, abbia il coraggio di rinunziare alle posizioni ufficiali, si prepari e poi venga alla ribalta. Debbo dire che sono passati dieci anni, vent’anni, ma questa classe non è venuta. Avrebbe detto Salvemini: mi sono sbagliato. No! E l’errore più fecondo, il seme più fecondo che egli abbia gettato è un ammonimento che conta ancora adesso.
E poi vi è un’altra battuta, lo dico a tutti quelli che vivono nei partiti (io non vivo nei partiti, ma la lezione viene anche a me da tutti quelli che lasciano i loro partiti per insofferenza, perché non sanno che si deve combattere fino alla fine). Salvemini disse queste famose parole, riprese da una cronaca medievale che narrava di monaci, di fraticelli molto inquieti nei loro conventi. Diceva: – Sì, ribellatevi ai vostri vescovi, ma rimanete nei vostri conventi –. La più grande delle lezioni: – State nei vostri conventi; abbiate fede nelle vostre organizzazioni; migliorate le vostre organizzazioni; combattete i vostri vescovi… –
Erano queste le lezioni. Il libro di un fallimento, vedete?, è ricco di cose positive. Può mancare questo nella vostra biblioteca?