Da “Il tempo che trova”
di Pierluigi Lanfranchi
Didascalia per un quadro di Mark Rothko
Occhio che passi, fissa questa tela,
tuo autoritratto fedele, mia stele
tombale. Ascolta bene ciò che dice:
non c’è nient’altro, solo superficie.
*
Lucian Freud
Lucian Freud scruta a fondo la modella
stesa sul letto, nuda ed impudica:
le gambe aperte, i peli dell’ascella,
il buio vortice dell’ombelico.
E l’occhio, quasi fosse proprio quella
la prima, fissa il taglio della fica,
s’impiglia nei dettagli della pelle,
tra i ricci chiari, dentro il loro intrico.
La luce si inginocchia sul lenzuolo
così vicina al corpo da lasciarne
in ombra solo quanto non si svela.
Perfetta la modella nel suo ruolo
(quello di esistere) osserva la carne
che eternamente invecchia sulla tela.
*
Sacrificio
Giù nel cortile uccidono un coniglio
dal pelo bianco e l’iride vermiglia.
Terribilmente il suo grido assomiglia
al pianto di mio figlio.
Per penetrare attraverso le griglie
e le fessure del mio nascondiglio
il grido della bestia si assottiglia
fino a ridursi ad un muto sbadiglio.
Schizzano gocce di sangue sul foglio
tra le cui righe la penna s’impiglia
come un paio di corna nel groviglio
oscuro di un cespuglio.
*
Davanti allo specchio
La vita accelera ad un certo punto
forse perché presagisce la fine
come i giri dell’acqua che mulina
sempre più forte prima di sparire
giù per l’esofago del lavandino.
Capita che lo scarico si otturi
(grumi di peli, sapone, calcare)
e il tempo denso, torbido ristagni.
Così mentre ascoltavi stamattina
alla radio la meteo di un posto
dove non vivi da più d’un decennio
e il tuo doppio assonnato, spazzolino
in bocca, barba incolta, l’aria sfatta,
a corto di argomenti per convincerti
che siete un’unica e sola persona,
si arrampicava ormai penosamente
sullo specchio, qualcosa s’è inceppato.
Una battuta saltata, un singulto.
Sì, l’hai sentito, ma non sai decidere
quanto è durato. Hai trattenuto il fiato.
E l’universo ha fatto leva: il senso
del tempo è stato invertito. Un istante
brevissimo, un secondo, meno, niente.
Poi per riflesso si è chiusa la palpebra,
una goccia cadendo nel lavabo
ha sollevato sette perle d’acqua,
ha suonato una tromba dalla radio,
hai tolto il tappo, il vortice è ripreso.
*
Trame
Come siamo lontani, Betta, persi
ciascuno nella trama di uno stesso
libro però in capitoli diversi.
Ritrovarti è difficile anche ammesso
di poterlo sfogliare in senso inverso.
La vicenda non fa nessun progresso
né regredisce, sembra mantenersi
equidistante tra di noi. Adesso
dove sei? Solo un modo mi è concesso
di riaverti: costringere nei versi
se non la luce dove sono immerse
le tue pupille almeno il suo riflesso.
*
Ritorno dal Polo
Come la chiglia di una nave data
per dispersa, ibernata sotto strati
spessi di ghiaccio, incagliata in un fiordo
che si incunea nel continente, a bordo
della quale la ciurma ammutinata
ha messo a morte il capitano sordo
a tutte le richieste e l’ha gettato
sulla banchiglia dove vaga l’orda
dei lupi, quando poi non è restata
che un’aringa nel barile e la scorta
di alcool è ormai finita e lo sconforto
opprime l’equipaggio, inaspettata
sale la temperatura e la corda
ghiacciata inizia a sciogliersi e sciaborda
l’olio nel lume spento e liberato
dalla morsa lo scafo da ogni lato
scricchiola, tu così disancorata
ti liberi dal tempo e dal ricordo
e vieni a dirmi che ogni cosa è andata
come doveva andare. Sì, d’accordo,
ma è per questo che sei tornata in porto?
Solo per questo? Spirano da Nord
nuovi venti catabatici, mordono
le costole sferzandole a tribordo,
sulla prora all’infinito varata
si frantumano i flutti. Hanno salpato
l’ancora. La polena, ninfa alata,
fa rotta in direzione del passato.
*
L’isola
Se lo cercavi, questo è il Nord: un’isola
ventosa, lunga e stretta come un’asola,
che scorgi dal continente distesa
sulla linea d’orizzonte in attesa
che si alzi la marea e ricopra il fondo
e nasconda la melma nauseabonda,
che diano l’ordine e il traghetto salpi.
Sulla banchina del porto non scalpitano
le giumente, nessun asino raglia,
i cocchieri sistemano i bagagli
dei turisti venuti ad affittare
tempo e silenzio, entrambe merci care.
Si aggomitola un gatto su una sedia.
Non basta ad abbassare l’età media
degli isolani la frotta di bimbi
e neonati sbarcati in questo limbo
senile. Ronza nell’aria il motore
di un Cessna. Solo all’auto del dottore
è concesso circolare. Operai
polacchi riverniciano i telai
delle finestre sulle impalcature.
1:7 il rapporto tra futuro
e passato per la gente di qua,
e in prospettiva molta eternità.
È vero che se noi ci siamo allora
non c’è la morte, eppure verrà l’ora
in cui, foss’anche per un solo istante,
l’angelo nero ci starà davanti.
Controfigura perfetta del santo
spirito un falco di palude punta
la sua preda. Gabbiani falciformi
mietono il cielo. Passano gli stormi
lunghi delle oche su uno sfondo di eliche
a tre pale, di girandole eoliche
irte nel mare. Sulla terraferma
si intravedono tralicci a conferma
che non esiste un’isola abbastanza
lontana. Fuori dalla loro stanza
gli anziani sprofondati nelle sdraio
si aggiustano sul naso un vecchio paio
di occhiali con lo sguardo all’altra sponda.
Al bordo del villaggio si nasconde
l’ultima casa ai piedi della duna.
Raggi di sole infilano la cruna
del lucernario. La lepre in giardino
batte la zampa e fugge sotto il pino
tormentato dal vento. Sulla spiaggia
cammina un uomo solo. Al suo passaggio
corrieri e piovanelli fanno largo,
quando sulla battigia l’onda sparge
il carico di schiuma e si ritira
con la frequenza di un corto respiro,
gli uccelli seguono il margine. Restano
cose arenate. L’uomo le calpesta
avanzando: rasoi di cannolicchi,
pezzi di vetro, pietruzze che scricchiolano
sotto il passo. Rovescia la risacca
una carcassa da cui i corvi staccano
gli occhi coi loro becchi. Qui le foche
vengono solo per morire. Poche
ore e le ossa saranno ricoperte.
Quest’isola assomiglia ad una vertebra.
Ma lo sai quando ormai sei ripartito
e sull’atlante la punti col dito.
*
San Michele
Il cipresso è caduto sulle tombe
mandando in pezzi lapidi e colombe
di marmo. Tutt’attorno c’è silenzio.
L’iscrizione con versi di Properzio
dice: la morte non tutto finisce.
Si posa un pettirosso e starnutisce.