Lo Spost
Al posto dell’ombra
di
Lucio Saviani
Non poter essere mai in
due luoghi contemporaneamente è ben triste.
Ma dover essere sempre da qualche parte è una
condizione ancora più dura
Etienne Souriau
La lettura de Gli spostati di Carla Stroppa promuove, provoca e mette in movimento, pagina dopo pagina, una sorta di forza che attrae e allontana, tesa a produrre un effetto di dislocazione. È un punto che affascina, perché, proprio come ogni fascino, non è localizzabile. Questo effetto di déplacement non si localizza infatti in alcun luogo preciso del libro, (eppure posto, e molto bello, ne troverebbe in tanti dei suoi temi: lo sguardo rabdomantico, la memoria implicita, l’Asino, l’invidia…) o semplicemente in un capitolo, oppure già prefigurato nell’Introduzione. Ma la stessa introduzione, come ogni soglia, lascia entrare ed uscire, spostando e facendo posto. E proprio per questo un posto suo non ha. Si sposta di continuo, durante la lettura, questa zona indecisa. Come quei dolori per i quali non riusciamo a indicare il punto.
Ci sono poi punti sui quali non si riesce a restare, e ci si accorge di questo soltanto e ogni qualvolta ci viene detto, intimandoci di stare al nostro posto. Magari poterlo sapere, qual è il nostro posto. Ci si aggira allora tra le pagine di questo libro con la stessa circospezione e attenzione, con quel passo incerto – lo chiamiamo anche “esperienza”, scriveva Emily Dickinson – che abbiamo quando entriamo nella sala del teatro aggirandoci in platea per scoprire dove sia il posto che ci è stato assegnato. Il libro di Carla Stroppa ci parla di quando questa platea rappresenta la nostra esistenza, il nostro venire al mondo scoprendo il posto a noi assegnato. Perché noi, ci ricorda Jankélévitch, veniamo al mondo sempre quando il sipario è già alzato, a rappresentazione già cominciata. A che titolo quel posto è assegnato?
Chi sono gli spostati di Carla Stroppa? “Out of joint”, le parole di Amleto ci sembrano arrivare sia dal palcoscenico sia dalla platea di questo teatro che Carla Stroppa ha allestito per noi. Luci in sala che si abbassano, ombre che camminano, rumore di passi di chi si sposta dietro le quinte, le scene che si spostano a sipario sempre alzato.
Gli “spostati” di questo libro siamo proprio noi, i lettori. Carla Stroppa ci assegna il posto di lettori quando leggiamo tra le righe che il posto per noi è tra una pagina e l’altra, tra il piccolo pagus e il grande fondo da rivoltare, tra il seme nero dell’inchiostro e il chiostro bianco della campitura.
Di nuovo out of joint, dissesto, fuori-sesto. Gli spostati di Carla Stroppa sono “coloro che inciampano nei loro stessi passi perché non hanno potuto individuare il loro centro di energia e di autenticità, quel senso di sé senza il quale non si trova il proprio posto nel mondo e si finisce per inseguire mete che, prima o poi, rivelano il loro punto di collasso e la loro irrilevanza ai fini di una esistenza che si possa dire veramente umana e piena” (p. 9) ma anche quelli che “come l’Odisseo conoscono la tensione all’oltre e, per assecondarla, non temono di navigare in mare aperto e, quando le circostanze lo richiedono, non temono di invertire la rotta e di assumersene la responsabilità (p. 10) Ma proprio come effetto di quella forza dislocatrice Gli spostati ci porta, in uno stesso tempo, in due luoghi che sono al centro dei lavori di Carla Stroppa: il dissenso e l’ombra. Dissenso come postura esistenziale ed esperienza del pensiero: dis-sesto (esser fuori sesto, vivere un tempo disturbato, come una spalla che va fuori posto, disarticolata), dislocazione, deragliamento, dismissione della sicurezza. La presenza a se stessi è distrazione dall’inaudito, dall’incommensurabile, dalla morte. Come pericolo, anche mortale, spesso si combatte la distrazione. Il luogo comune secondo cui è pericoloso svegliare i sonnambuli non fa che rovesciare la pericolosità “ontologica” della distrazione.
“Distratto… come sdoppiato. Non so che cosa avessi. Mi confondo, a scrivere sotto dettatura…” (Atto secondo, scena seconda). È uno spostato il Principe di Homburg, la cui vicenda nell’opera di Kleist si svolge in un arco teso tra due episodi di sonnambulismo e svenimento, così come mette a repentaglio il suo “posto” Bartleby, lo scrivano.
L’individuazione, l’incontro con la propria ombra, ossia quel “centro di energia e di autenticità, quel senso di sé senza il quale non si trova il proprio posto nel mondo” prevede dunque quel déplacement che si esercita proprio dove la luce rischia di accecare.
Come in quella allucinata assenza di grigi, negli abbaglianti bianchi e neri della scena del sogno ne Il posto delle fragole, il capolavoro che Ingmar Bergman dedica al segreto “posto del cuore” o “dell’anima”.
https://www.youtube.com/watch?v=Mw6GsoufGq4
I commenti a questo post sono chiusi
Buongiorno,
ho letto tutti i libri individuali di Carla Stroppa ma non ho ancora letto “Gli spostati” che é in lista d’ attesa, per ora ho letto la recensione brillante di Lucio Saviani e ho visto un video di presentazione. Mentre leggevo mi é sorta come associazione una frase di Thomas Mann che amo particolarmente:
„Alcuni non possono fare a meno di sbagliare la strada, perché per essi non esiste una strada giusta.“
Luogo e strada corrispondono e la strada può essere giusta o sbagliata solo in relazione a un modello, inoltre i cambi di rotta quando si esaurisce una parabola di significato non rappresentano dei fallimenti, al contrario sono una presa di coscienza che segue spesso il crollo doloroso di un’illusione. Credo nella ricerca continua ma non posso evitare di prendere in considerazione, come sembra suggerire Mann, la figura dell’incollocabile, incollocabile per motivi interiori, esteriori o entrambi. Ho espresso questa mia associazione perchè mi é sorto il dubbio che si tratti di una convinzione che mi ostacola. Probabilmente troverò delle risposte durante la lettura degli “Spostati”.
Vi ringrazio e vi auguro una bella serata, Michel.