I poeti appartati: Nunzio Festa
Calipso. Che cos’è la vita eterna se non questo accettare l’istante che viene e l’istante che va? Che cosa è stato finora il tuo errare inquieto? Odisseo. Se lo sapessi avrei già smesso… Quello che cerco l’ ho nel cuore come te. Dialoghi con Leucò, Cesare Pavese
Per il libro in uscita di Nunzio Festa ho scritto questa nota che riporto qui sperando possa indurre qualche lettore a seguire le strade storte dei poeti appartati. effeffe
Quando ho letto questo nuovo lavoro di Nunzio, è al mito che ho pensato e se il passo faceva risuonare in me i dialoghi pavesiani, al posto degli dei pagani ho ritrovato gli echi di certe sagre del Sud, scomposte e pagane seppure ammantate di cristianesimo ufficiale. Dalla Festa alla Sagra, dalla poesia di denunzia a quella dell’Annunziata. La silloge una lettera d’amore al femminile, da uomo “marcio per l’otto marzo “, non alla maniera lirica dunque ma nel trambusto di quelle processioni che a Matera si fanno per la Madonna Bruna, nascondendo la santa donna per poi distruggere il carro e le suppellettili del voto nello Strazzo, per celebrare “in viso e alle gote dei santi sui pudori della madonna”, la salvezza delle genti. C’ è una grazia nuova in questi componimenti scritti con “l’inchiostro bianco che si scioglie in redenzione”. I numi tutelari, laici della poesia, Dino Campana, Rimbaud, i poeti russi, osservano l’amore bislacco, dichiarato e non dell’autore, alla terra madre, “un’isola piena d’isola”, come quelle abitate dalle maghe che incontra Ulisse nel suo viaggio. Mi sono sempre chiesto se un viaggio per essere tale dovesse per forza essere vero o bastava immaginarselo, un po’ come quando Pier Paolo Pasolini, mettendo in scena se stesso nel Decameron, nei panni con bandana di Giotto, si chiede: Perché realizzare un’opera quando è bello sognarla soltanto? . “Nei vicoli mentali” a trattenere dallo sconfinamento può essere solo la paura delle altre terre, altre isole, un terrore che possibile sconfiggere solo con il ritorno al punto di partenza, l’amore del grembo, la frase della poesia, un tema per fatto “ di clamori minimi, essenziali, dunque amati come un sontuoso ritornello” di quelli che come scrivevano Deleuze e Guattari, si canta a voce alta il bambino per dominare il buio della stanza.