Ritorno al fascismo

Sull’ultima pagina del Manifesto di oggi compare un bel pezzo, dal titolo “Una mano di calce”, di Marinella Salvi sull’unico campo di sterminio nazista in Italia, la risiera di San Sabba, a Trieste, nella quale, fino alla disfatta tedesca, molte centinaia di antifascisti, ebrei, comunisti e altri sono stati gasati e bruciati come nei più noti campi di Austria, Germania e Polonia. Ho visitato questo luogo vari anni fa e assicuro che l’aria che vi si respira e le cose e le attrezzature che ancora vi si vedono fanno rabbrividire come quelle che si vedono a Dachau o negli altri tristemente famosi campi di sterminio. Questo articolo della Salvi fa capire come gli scarni tentativi postbellici di “punire” i responsabili ben si inquadrino in quella che è stata, dal 45 in poi, la politica italiana di “epurazione”, così veniva detta, contro chi si era macchiato anche dei peggiori crimini fascisti e/o filonazisti. Politica e prassi a mio parere molto ben descritte nel libro recente di Francesco Filippi “Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto”, Bollati Boringhieri, recentemente venduto per una settimana con Repubblica. Nel 45 io avevo tre anni e da allora in poi ho vissuto in una famiglia sostanzialmente fascista, mio padre anzitutto, fascista fino alla morte, e mi ricordo il timore di allora di queste famigerate epurazioni, in realtà rivelatesi alla prova dei fatti quasi inesistenti, soprattutto dopo la imperdonabile amnistia decretata da Togliatti quando era ministro di grazia e giustizia nel primo governo De Gasperi.
Il tema della permanenza e dei pericoli della destra in Italia è stato anche trattato in un vecchio libro del mio indimenticato amico Franco Ferraresi, già ordinario di sociologia politica a Torino, purtroppo da tempo scomparso, “Minacce alla democrazia – la Destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra”, Feltrinelli 1995.
I tempi che stiamo attraversando certo, da questo punto di vista, non ci consolano e temo molto fortemente che le prossime elezioni ci consoleranno ancora meno, salvo che la sinistra che pur ancora rimane in questo paese non smetta di continuare a litigare e a dividersi, come del resto è stato troppo spesso suo costume, ma si decida a mettere insieme un grande partito che riesca a comporne organicamente le varie componenti.

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3 Commenti

  1. Caro Antonello,
    ti rispondo in uno stato di semilucidità dovuta in gran parte al gran lavoro ( a fatiche) in questa fine d’anno nelle mie scuole periferiche, lumpenproletariat e semi borghesi in cui insegno. Personalmente credo che ci sia un vecchio mondo ormai in via di estinzione, dinosauri, ideologie, destra, sinistra ( nel senso che avevano fino ad una ventina d’anni fa ) identità nel senso di civilisation occidentale e un nuovo mondo che, da vent’anni a questa parte, esiste senza una vera coscienza ( di classe? di identità? di ideologia?) ma che esiste ed è ben lungi dall’essere numericamente minoritario, sicuramente poco rappresentato nelle sue compagini politiche o culturali. Tra la “montée” delle destre e la disparizione della sinistra è su quest’ultima constatazione che mi fermo a ragionare talvolta senza in verità riuscire a trovare una sintesi degna di questo nome. Mi limiterò allora a dirti ciò che vedo da qui: una separazione ormai tutt’altro che consensuale tra classe intellettuale e realtà sociale; un paesaggio letterario non più in grado di raccontare “quel che è cambiato” nel nostro paese con un sottotesto in grado di dirci dove trovare una via d’uscita, ma una letteratura massimante compilativa, che prende atto di tale trasformazione e la descriva e punto ( a condizione che sia scritto bene almeno perché la classe intellettuale possa appoggiare allo stile la propria diserzione dalle stilettate del mondo reale. ) Quel che vedo è una generazione di menti, cuori alle porte, composta per lo più da italiani di seconda, terza generazione, settentrionali di seconda terza generazione, poveri per lo più ma con quella marcia in più, a mio avviso, che non è il grado di violenza fancazzista populista di quelle due parti italiche, lega e cinque stelle, o franciose dei gilets jaunes, che hanno impiantato nella pancia l’anima e i coglioni nella testa, ma qualcosa in cerca di una nuova lingua, un nuovo modo di dire per un nuovo mondo che è già qui ma non ancora visibile ai più. E a cui mi verrebbe di gridare, con tono leggermente nostalgico: cours vite camarade, le vieux monde est derrière toi. effeffe maggio 68

  2. “una separazione ormai tutt’altro che consensuale tra classe intellettuale e realtà sociale; un paesaggio letterario non più in grado di raccontare “quel che è cambiato” nel nostro paese con un sottotesto in grado di dirci dove trovare una via d’uscita” – concordo, effeffe

  3. Mon cher, je ne suis pas sur de vouloir courir vite, voglio fermarmi e pensare al mondo com’è e com’era e fare eventuali confronti. Diffido anche un po’ di chi anche velatamente sostiene che non c’è più la destra, non c’è più la sinistra (ricordi Gaber?) perché ogni giorno vedo provvedimenti e avvenimenti che mi viene spontaneo giudicare di qua o di là. Il forsennato atlantismo di Draghi e la sua fede incontaminata nella Nato e negli USA mi fanno orrore, ripeto, orrore, se penso a quale paese sono gli USA (ricordiamoci https://www.nazioneindiana.com/2013/08/13/lo-stato-terrorista/ e questo https://www.nazioneindiana.com/2013/10/26/lo-stato-terrorista-2/, Trump o Biden che sia. La sua formazione da banchiere internazionale, ora servitore dell’Italia, fa sì che che non rifugga dal violare la legge (legge 185 del 1990) e venda armi a profusione all’Egitto (il nostro maggior acquirente di armamenti), paese molto democratico che ci è molto amico, come si sa. E tutto questo io lo classifico senza tante palle, di destra, confermato dall’alleanza con la lega e con le strizzatine d’occhio alla Meloni, a capo di un partito che alimenta e nutre al suo interno tra i peggiori residui del fascismo nostrano.
    Di provvedimenti di sinistra non ne vedo molti (com’era appunto la legge 185 sopra citata) salvo forse qualche provvedimento di protezione dei cittadini nei riguardi della pandemia.

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antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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