Adriano Spatola o “La smania del corpo”
di Bianca Battilocchi
«Scarta il pacco, veloce … Spatolaaaaaaaaa!»
2020 – L’anno della contaminazione globale da Covid19 ha visto apparire un volume atteso da molti e che ha a che fare da vicino con il contagio, anche se un contagio di natura diversa da quello che stiamo vivendo oggi nostro malgrado.
Opera, a cura di Giovanni Fontana, artista e sodale del qui protagonista Adriano Spatola, è l’ultima creazione proposta dalla fucina esoeditoriale [dia•foria, realtà culturale underground intenta (da 10 anni) a premere sul canone letterario – per abitudine piuttosto a digiuno di ricerca sperimentale – illividendolo, in risposta, di chiazze che erano state cancellate nel panorama letterario italiano. Tra loro vi è senz’altro AS il quale, pur avendo intessuto numerosissime reti con artisti di ogni tipo, critici ed editori, italiani e non solo, non ha purtroppo raggiunto ancora la meritata fama, rimanendo per decenni dopo la sua scomparsa (1988) ghiotto bottino per collezionisti, corpo disperso in digitale o in copie limitate e dispendiose, talvolta lampeggiante su ebay in forma di ectoplasma.
Fortunatamente, oltre alla generosa condivisione dell’archivio di Maurizio Spatola e della Fondazione Bonotto, a giocare con le tessere lasciate da AS, qualcuno ci si è messo, dedicando anni al lavoro di ricostruzione e commento delle diverse attività del nostro, che dalla scrittura poetica lineare, visiva e sonora, intermediale e performativa, si sono estese anche alla creazione di manifesti, riviste, festival, incontri sulle nuove possibilità nel campo letterario e artistico. Un’eredità enorme e preziosissima di ricerca sperimentale che ci auguriamo possa ora agevolare l’accesso al formidabile laboratorio spatoliano tramite l’operazione editoriale viareggina.
Per una maggiore aderenza informativa, il volume in questione antologizza per la prima volta tutte le raccolte poetiche lineari, concrete e visuali di AS e offre inoltre un CD con 15 tracce, testimoni delle sperimentazioni sonoro-performative dell’autore; un vero tesoro per le generazioni che non hanno potuto partecipare alle sue ormai leggendarie azioni di «Poesia totale», ovvero di una poesia incessantemente confrontata e sovrapposta alle novità delle arti e dei media, per dilatarne il potenziale e sondarne gli esiti. I testi recuperati dalla vicenda spatoliana sono introdotti da un corposo saggio di Giovanni Fontana, intitolato Guarda come il testo si serve del corpo e assai utile a presentare le varie fasi di produzione artistica del compagno di strada. Nel complesso, Opera si presenta come oggetto accattivante per l’originalità del formato – più vicino a quello di un catalogo d’arte – e per la creatività grafica, che mira a una sintonia con la contaminazione sperimentata dal poeta e cerca di evitare un’esperienza «normalizzata» e univoca di fruizione, naturalmente per quanto possibile all’interno di un libro.
“Il gioco è l’unica speranza della poesia”
Parole d’ordine, quando ci si avvicina al Gigante del Mulino di Bazzano, possono essere tante, poesia totale, metapoesia, sperimentazione, esoeditoria, ecc., ma qui ci si soffermerà su quelle di «gioco» e «gesto».
Il territorio emiliano, dove per lo più si muoveva il poeta, divenne teatro di investigazioni e acrobazie nel tessuto della lingua, esplorazioni, come si diceva, su più versanti e attraverso strumenti differenti, tutte originatesi dalla spinta propulsiva delle avanguardie storiche la cui lezione venne dilatata, passando attraverso composizioni di gusto surrealista e formulazioni grafiche sempre più provocatorie, tramite anche i nuovi «attrezzi» a disposizione nel mondo della comunicazione. Si parla di attrezzi in quanto l’approccio di ricerca poetica sposato dall’autore mostra un’abilità e volontà «artigianale», lontano dalla verticalità aulica e sfuggente della poesia precedente così come dalla piatta orizzontalità offerta dal mercato dell’arte.
Lo studio stimolato anche dalle lezioni bolognesi di Luciano Anceschi e quindi la riflessione sul cosa fare della poesia odierna, viene affrontato da Spatola con una radicale critica a questa e alle sue risorse, interrogando da vicino la meccanica poetica come un accordatore a tu per tu con lo strumento. Sull’argomento, molti suoi lettori hanno usato l’espressione «corpo a corpo» per descrivere la relazione (o agone) intessuta tra questo e la Poesia (“il testo è un oggetto vivente”), messa da lui continuamente sotto accusa e analizzata in ogni sua singola parte. AS dichiarò di aver palpato, bevuto e mangiato di quella – forse come Corpo e Sangue di … – per sfidare l’intelligenza a “giocare a rifare il mondo”. Scorgerei in questo gioco ascendenze con l’antica arte alchemica, una tensione quindi a scomporre il tessuto poetico per creare un’“opera cosmica biologica” – quella dell’Uomo totale – in una “ascesa operosa nell’ambito della fusione”.
[Capsula]
Il seme del verso alligna e matura nel caos
è incognita o gergo o semplice atteggiamento
di ascesa operosa nell’ambito della fusione
di lava e lebbra contratte nell’omonimia
che ritorce ed asciuga il lessico della materia
il miele la mina subacquea le infiltrazioni.
(Adriano Spatola, “Un po’ di rigore”, Diversi accorgimenti, 1975. Ora in Opera, p. 284)
In quest’affaccendarsi a ri-creare, l’alchimista di Bazzano trita e dissolve segmenti poetici nel bianco stranito della pagina, gioca a rinnovare radicalmente l’arte e quindi il mondo che essa rappresenta, aprendola a infiltrazioni dalla musica, alle arti visive e al teatro, sovrapponendo più piani e manifestando quella «continuità» tra differenti forme culturali di cui parlava Dick Higgins nella sua teoria dell’«intermedialità». La cancellazione del concetto di «categoria» esposta da quest’ultimo, e quindi l’apertura alla fluidità disciplinare, avvicinava ancora una volta Spatola all’amatissimo Emilio Villa, un altro poeta sperimentale ignorato dalla grande editoria ma estremamente prolifico su più livelli (poesia, traduzioni, scritti sull’arte, collaborazioni con artisti) nel proporre un’idea di arte come occasione di ricostruzione continua della realtà (“libertà dal mondo”) attraverso una pronuncia sempre nuova della lingua, una riscrittura permanente. Sul rapporto tra poesia ed extraletterarietà ripropongo un estratto da Verso la poesia totale, volume imprescindibile per chi si occupa di poesia sperimentale:
“Possiamo infatti affermare che «modelli» di poesia totale sono riscontrabili nelle culture preistoriche e, oggi, presso i popoli cosiddetti «primitivi»: esiste in effetti una tradizione extraletteraria, che interessa anche l’antropologia culturale, contrapposta alla tradizione specificamente letteraria, anche se ormai potremmo parlare di integrazione piuttosto che di contrapposizione, visti soprattutto i recenti sviluppi delle ricerche antropologiche… Oltre agli ideogrammi e ai geroglifici, appartengono al repertorio extraletterario gli alfabeti runici, i graffiti murali contemporanei, la grafia infantile, le formule alchemiche, i fumetti, e così via.”
(Adriano, Spatola, Verso la poesia totale, p. 43.)
Il rapporto tra AS e la sua Musa si mantiene vitale (e sicuramente mai tedioso) proprio in virtù di un continuo dissenso con la realtà e un dialogo aperto con l’extraletterario, mezzo prescelto in nome di una Poesia Totale. L’officina poetica propone così vari «oggetti» poetici che si rifiutano di essere letti e compresi nel modo tradizionale e invece invitano l’interlocutore a un rapporto diverso, fatto di incomprensioni e gioco. Tra gli «esercizi» esplicitamente in forma di ludus, come è il caso di Poesia da montare (1965), la linearità dei contenuti e della forma viene frammentata per essere dissipata e riorganizzata liberamente all’interno delle pagine, chiedendo al lettore di “comporre e scomporre, nelle varie possibilità espressive, un numero x di schede” (Opera, 139). L’autore avverte in chiosa che non si tratta di divertissement, quanto piuttosto dell’“offerta di un modello ambiguo di comportamento, una mimesi volontariamente esplicita del processo di ricerca in vitro” dello scrittore che oscilla “tra la purezza dell’assoluto nulla e il gioco fine a se stesso”. Poesia come “plastilina da modellare […] allucinazione del mai finito […] l’hobby del fatevi tutto da voi” (Opera, 139). Si impone così un rifiuto netto per l’abuso di potere imposto da quelle scritture che intendono proporsi forzieri di conoscenza. Sempre in Verso la poesia totale (p. 31) Spatola affermò: “la poesia totale sembra offrire oggi al lettore non un prodotto definitivo, da accettare o subire nella sua chiusa perfezione, ma gli strumenti della creazione poetica, nella loro strutturale rimaneggiabilità”.
Il procedere inesausto per combinazioni inedite (variazioni e varianti) si rinnovella costantemente nella vita artistica di Spatola per mezzo di una predisposizione alla materialità segnica, alla manipol-Azione dei testi. Un elemento che infatti continua ad affascinare nei racconti difficilmente non mitizzabili delle gesta spatoliane è la sua seduttiva teatralità, fatta di rituali serio-giocosi che in ultima analisi lo definivano nei ruoli interscambiabili di sciamano e clown. Già, perché la poesia-magia di AS si giocava soprattutto sui gesti e sui segni, ad esempio quelli guidati dalla sua poesia sonora, dove la parola incantatoria (di “Seduction” e “seducteur”) creava uno spazio nuovo totalizzante e alternativo a quello fisico, “suono che corrisponde alla trama della distanza” (p. 281). Come riscontrabile nelle sue performances registrate, abbonda l’uso dell’onomatopea e la modulazione della voce come canali per uscire dal discorso quotidiano, a farsi rumore, eco, a sovrapporsi alle altre immagine del sé attraverso riverberi, microfoni e tamburi. Altri segni praticati, questa volta sulla pagina, sono gli Zeroglifici, una serie di poesie concrete composte tra gli anni Sessanta e Ottanta, ispirate dalla passione per i geroglifici egizi e in dialogo, probabilmente, con i “trous hyerogliphes” di Emilio Villa. Le incisioni dall’antico Egitto vengono trasportate dal Spatola collagista nell’oggetto libro amplificandone la portata enigmatica qui esposta in un tessuto linguistico che si apre e si chiude a fisarmonica oscurando volutamente i significati, tutto a favore della frammentazione e destrutturazione semantica. I caratteri a stampa vengono così combinati con infiniti assemblaggi di gusto principalmente segnico-figurale e manifestanti un’inesauribile “smania del corpo” di farsi gesto.
Z di Zeroglifico, 1981, Opera, p. 327.
Concludendo questa parziale ricognizione, vorrei ricordare che il poeta operava (o anche, gesticolava) spesso e fertilmente in collaborazione, ed è proprio grazie a questo suo assemblage continuo e coinvolgente che molti progetti di indubbio valore prendono il via. Si vedano ad esempio la creazione di riviste come «Tam Tam» o «Baobab» (prima audiorivista italiana), la mitica rassegna di poesia sperimentale Parole sui muri (1966) dove si omaggiò il cerchio «magico» di Piero Manzoni all’interno del quale ciascuno poteva tramutarsi in “opera d’arte permanente”, o il progetto Maison poètique, votato a una collaborazione fra le arti nella ricerca di un’Opera Totale comune. In quest’ultima realtà di lavoro collettivo e “gioco poietico”, è sintomatica, sottolinea Fontana, l’ispirazione seminale al kiva, ovvero alla struttura ipogea dei pueblos americani costruita per la comunità in uno spazio circolare con apertura verso l’alto da cui entrare con una scala e da cui far uscire il fumo del fuoco, posizionato al centro della costruzione. Le finalità sacrali designate a questo, l’alto valore simbolico, catturano Spatola e lo spingono a sfruttarne l’alone magico per i propri esperimenti con l’intenzione di fare del pensiero e quindi dell’arte un’azione collettiva.
Il far fluire più fonti all’interno dello stesso fiume (vd. anche Fluxus) costituisce il cuore del gesto spatoliano, ovvero è metafora assoluta della Poesia Totale che lo stesso si adoperò in tutti i modi di vivere. Ogni emanazione di Spatola è dislocazione di un pensiero univoco ma multiforme, che cerca nell’alterità il quid ulteriore della possibilità, del divenire.
Questo furore travolgente, questo trasportare materialmente la poesia e l’arte nella vita di tutti i giorni è forse una necessità da evidenziare e rivendicare nel nostro così limitato e limitante presente. Che questa pubblicazione, dunque, fuoriuscita al mondo in un anno così simbolico, sia un invito a sfidare le contingenze, attraversarle con immaginazione e gioco, per creare nuovi rituali e ritrovare un senso di creazione collettiva, “deformare la nozione di poesia fino a farle raggiungere e distruggere i confini mentali con la vita” (p. 39).
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Volume di 508 pagg., cm 19×19
saggio introduttivo e curatela di Giovanni Fontana
appendice fotografica (con molti scatti inediti)
cd audio con quindici tracce
euro 38.00