Overbooking: A tempo perso suonavo ogni giorno
di
Franco Bergoglio
Campagnaaaaa…quant’è bella campagna! Il brano Campagna a distanza di decenni fa ancora l’effetto di uno shock emotivo-energetico su chi non l’ha mai ascoltato. L’ho verificato prima del lockdown, in occasione di un tour dell’instancabile folletto James Senese alle prese con l’ennesima incarnazione del suo gruppo, i Napoli Centrale: un treno musicale con destinazione ignota (ma si sa da quale stazione è partito). Dietro la batteria del nucleo originario dei Napoli Centrale e insieme artefice dei testi di molti brani, tra i quali proprio Campagna, stava Franco Del Prete. Questo libro rapsodico, che si muove per flash (come stacchi di batteria?), racconta la sua vita, al centro della prima ondata di quel sound napoletano che poi avrebbe fatto faville. Anche Franco Del Prete stava in quell’onda lunga che lo avrebbe portato a suonare e registrare con tanti da Peppino Di Capri a Enzo Gragnaniello. Si parte dall’infanzia a Frattamaggiore: provincia campana profonda, condizioni difficili e personaggi caratteristici. Le parti più belle del libro sono quelle che raccontano la filosofia dietro la vita del musicista. Lo immaginiamo tra un tiro e l’altro di sigaretta raccontarsi allo scrittore Mario Schiavone: “Lavorare: perdere il tempo, accumulare soldi. Suonare: afferrare il tempo, cercare un ritmo. Raccogliere sogni”.
Tante le comparse che fanno capolino: Tony Esposito con la sua worldmusic, l’esplosivo Tullio De Piscopo, un Alan Sorrenti prima maniera, Mario Musella ed Elio D’Anna, alfieri del pop anni Sessanta con gli Showmen, e ancora gli Osanna, Pino Daniele, Enzo Avitabile, Rino Zurzolo, Joe Amoruso. Un’esplosione di talenti creativi dell’hinterland napoletano che con ondate successive arriva fino ai Centri Sociali anni Novanta con 99 Posse, Bisca, Almamegretta e le cui schegge tardive brillano ancora oggi (i Nu Guinea). E, rimanendo alla metafora bellica: il primo botto lo fece proprio Campagna dei Napoli Centrale.
Un mix inedito di musica e parole che danno voce “alle grida di dolore provenienti dai braccianti delle campagne e dal sottoproletariato urbano”. I Napoli Centrale come i Weather Report italiani: spesso l’accostamento è quello, ma così si resta in superficie. Il background è diverso: negli italiani l’impasto fame/rabbia produce un cazzotto sonoro che trascende gli stili: “E James Senese che cantando gridava “Campagnaaaaaa” non era altro che un pupo fatto ad arte da quella mano invisibile e agitato dal vento della vita che reggeva le braccia in grado di dare anima a ogni componente della band”.
Il calendario è quello degli anni Settanta, però qui c’è uno scarto tra l’immaginario rock mondiale e la provincia dell’impero. Franco Del Prete sintetizza questa sfasatura: “I nostri anni Settanta, in cui non eravamo i Pink Floyd con il loro enorme maiale di gomma che svettava sulle teste della gente. I nostri maiali erano veri, di sangue e carne e ossa e pelle bianca e pelosa. Teste di maiali di campagna comprate per quattro soldi dai capifamiglia contadini, con cui potevano sfamare i loro figli. Mentre noi, per alimentare i nostri piccoli immensi sogni, desideravamo lo spazio sulla scena napoletana per una musica tutta da rifare. Il nostro treno partiva proprio da Napoli Centrale”. Un treno musicale che ha imbarcato viaggiatori diversi, ciascuno con il proprio bagaglio: la spiritualità di Senese, la parabola tragica di Larry Nocella, indimenticato eroe del jazz che “Mangiava alcol, beveva alcol, vomitava alcol”.
Del Prete riflette sull’esistenza in pagine intense dove la penna dell’autore, Mario Schiavone, si mimetizza, lasciando emergere la voce del protagonista, nuda, in alcuni passaggi toccanti, come questo: “Poteva essere una vita a perdere, la mia. Avrei dovuto fare ben altro. Avevo tutte le carte in regola, fin dalla nascita, per essere un perdente. Il mio sogno era andare via, lasciare la mia terra, partire in ogni modo. A 16 anni si andava in marina, così mi ritrovai a fare i miei tre giorni di marina militare a Taranto. Odiai subito quel mondo e me ne tornai a casa”. Altro tempo, altra Italia, altra vita, altra musica.
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E bravissimo Mario!
Ti ho conosciuto quasi bambino :tante ferite e un solo grande sogno :la scrittura. Ti ritrovo maturo, centrato, senza sbavature. Finalmente “a fuoco”. Bravo Mario.