Le Inghilterre di «Ragazza, donna, altro»

Foto di Federica Martellini

di Petra VoXo

A febbraio è nata la collana “Black Britain: Writing Back” della Penguin Books curata dalla scrittrice britannico-nigeriana Bernardine Evaristo. Lei è la prima donna di origine africana ad aver raggiunto con “Ragazza, donna, altro” il primo posto in classifica per narrativa nel Regno Unito, anche in seguito alla proteste del movimento Black Lives Matter della scorsa estate. Il suo libro ha vinto il Man Booker Prize nel 2019, ex aequo con “I testamenti” di Margaret Atwood.

Bernardine Evaristo insegna scrittura creativa alla Brunel University di Londra ed è autrice di diverse opere tra le quali “The Emperor’s Babe” (2001) ambientato a Londinium, la Londra romana. Per la nuova collana della Penguin Books l’autrice ha selezionato romanzi diversi di autori Black British pubblicati tempo fa e scomparsi per disinteresse di pubblico, marketing sbagliato, mancanza di consapevolezza collettiva. Il suo intento è correggere il bias che esiste nell’industria letteraria britannica. Un qualche tipo di attenzione, a suo dire, è infatti esistito per autori afroamericani ma meno per autori Black British.

“Ragazza, donna, altro”, edito in italiano da Sur, è la narrazione corale delle storie di dodici personaggi, soprattutto ragazze e donne differenti per classe, orientamento sessuale ed età. Incontriamo anche, nel capitolo Megan/Morgan, un personaggio che si identifica come non binary. La struttura del libro si articola in capitoli e sottocapitoli. Ogni sottocapitolo racconta un personaggio, ha per titolo il suo nome e un simbolo Adinkra, sistema di emblemi ghanesi che rappresenta concetti e aforismi.

Un veloce flusso di coscienza ripercorre i momenti cruciali dall’infanzia al presente della vita di ciascun personaggio, e leggendo si ha la percezione di essere nella mente di ciascuno. Le storie ci rivelano poi i legami tra i personaggi principali attraverso relazioni matrilineari – nonna, madre, figlia – e amicali.

L’opera è in versi, senza punti, stile considerato dai critici vicino ai versi liberi e ai poemi in prosa. L’autrice lo chiama fusion fiction e spiega che le ha permesso di muoversi fluidamente nel tempo e nello spazio, in maniera più libera della prosa tradizionale.

La qualità del tenere insieme più tempi e spazi è gestita in maniera speciale nella letteratura della diaspora africana. Le storie del libro sono prevalentemente ambientate a Londra dagli anni Ottanta a oggi ma si muovono fino ad arrivare alla fine del XIX secolo, alle Barbados e in Northumberland, area al confine tra Inghilterra e Scozia.

L’Impero britannico nella sua forma classica ha avuto fine gradualmente, dopo la Seconda guerra mondiale. É seguito il Commonwealth ma anche i paradisi fiscali che si trovano oggi in molte ex-colonie, perfino nelle isole Pitcairn dove si stabilirono gli ammutinati del Bounty. L’impero Britannico ha dominato metà mondo attraverso le violenze della colonizzazione modificando in maniera traumatica la vita di tante comunità, causandone la mobilità sia attraverso il traffico di esseri umani che tramite la generazione di condizioni che hanno portato alla necessità di emigrazione. Per mappare le dimensioni e i luoghi che le Inghilterre, nome coniato da uno dei personaggi per descriverne la qualità multietnica, contengono e dai quali sono contenute, sono necessarie voci in grado di restituire autentica complessità ai gruppi che hanno fortemente contribuito alla costruzione e identità di questi spazi.

Possiamo quindi leggere il libro anche come una mappattura di luoghi inglesi attraverso storie di personaggi legati ai fili di una Storia meno raccontata. La vita di Bummi parte dal Delta del Niger negli anni Sessanta, area fortemente sfruttata per il petrolio e dalla quale sua madre la porta via in cerca di un futuro migliore. Bummi tra diverse vicissitudini finisce per emigrare nel Regno Unito; qui inizia un’altra sua storia e la storia di sua figlia. Storie che a loro volta influenzano il contesto a loro circostante.

Tra le zone di Londra presenti nel libro troviamo Brixton e Peckham, entrambe a sud del Tamigi e certamente scelte dall’autrice perché storicamente povere e dalla forte presenza afro-caraibica.

Brixton era un quartiere medio-borghese in epoca vittoriana; dopo un periodo di impoverimento venne ravvivato dall’arrivo di migranti da molte regioni dell’impero, specialmente dalle Indie Occidentali. A detta di Bernardine Evaristo negli anni Ottanta si potevano qui acquistare, nel famoso mercato, le lumache giganti nigeriane. Nel 1981 il cinquantacinque per cento della gioventù Black British del quartiere era disoccupata (1) ed ebbe luogo una rivolta. Nel libro di Bernardine Evaristo, Yazz prende in giro sua madre Amma che non ammetterebbe facilmente di aver partecipato alla gentrificazione del quartiere frequentando i nuovi locali.

Insieme a Brixton, anche Peckham sta vivendo oggi una rilevante gentrificazione. Tra i personaggi del libro incontriamo Shirley, che insegna in una scuola superiore nel quartiere. Lei sperimenta gli effetti dell’era Thatcher sul sistema educativo, trasformato a impronta del libero mercato: da una scuola in cui i professori potevano, se volevano, aiutare i tanti studenti svantaggiati a una istituzione nella quale i perni sono il compito, la performance e la competizione.

Nel libro compare anche il centro di Londra con King’s Cross e il National Theatre. King’s Cross è la grande stazione dei treni, gentrificata potentemente a partire dal 2000. L’ho conosciuta nella sua forma attuale e ho faticato a immaginarla negli anni Ottanta come area che ospitasse uno squat, senza la connessione ferroviaria con l’Europa. Secondo la leggenda quest’area fu il luogo di battaglia tra la tribù degli Iceni, capitanati dalla regina Boudicca, e gli invasori romani.

Il personaggio di Amma approda al National Theatre, il teatro nazionale, dopo decenni di teatro indipendente, portando in scena con una compagnia di donne di origine africana una pièce sulle amazzoni del Dahomey, che combatterono contro i francesi nell’attuale Repubblica del Benin.

In “Ragazza, donna, altro” l’autrice ha utilizzato in maniera generativa e complessa il concetto di intersezionalità. Creato da Kimberlé Williams Crenshaw nel 1989 all’interno degli studi legali e del black feminism, questo concetto teorizza l’oppressione come insieme di molteplici sistemi sociali che interagiscono continuamente tra loro. La condizione di una persona è influenzata quindi da classe, genere, origine, “colore” della pelle e altri fattori che insieme costituiscono un aggregato specifico di barriere sociali.

Il termine proviene da una visione strutturale della società nella quale le diseguaglianze sono teorizzate come oggettive, concrete e istituzionali. Bernardine Evaristo conferisce sostanza umana alla teoria politica, raccontandone la componente esperienziale e soggettiva. Leggendo entriamo a far parte di più contesti comunitari, delle relazioni che li costituiscono e ne vediamo incomprensioni e impasse. L’autrice narra con rara maestria i gap e blind spot, i divari e i punti ciechi dei rapporti e la loro natura politica.

Ad esempio, LaTisha e Carole frequentano la scuola dove insegna Shirley, sono amiche inseparabili, fin quando Carole comincia a comportarsi distaccatamente, va a studiare matematica a Oxford e le due si perdono di vista. LaTisha, cassiera e poi manager in un supermercato, anni dopo questa separazione vorrebbe mostrare a Carole di meritare la sua amicizia, pensando che l’amica l’abbia snobbata in cerca di una vita più agiata. In realtà Carole non era riuscita a condividere con nessuno che, durante la festa a casa di LaTisha, aveva subito una violenza sessuale. La sua reazione allo shock e al trauma era stata di ritirarsi dai rapporti sociali, puntando tutte le energie sullo studio della matematica per “diventare qualcuno”.

In questo caso l’autrice mostra come LaTisha, data anche la diversità di classe sociale creatasi nel tempo tra le due e diventata una barriera, non legga nei comportamenti dell’amica un disagio dovuto a un trauma, ma interpreti questa separazione come l’esclusione dalla vita dell’amica, impegnata a lasciarsi alle spalle il contesto di provenienza.

Questa è solo una delle articolate trame poste dalla profonda consapevolezza della scrittrice, abile nel mostrare come le dimensioni politiche e affettive si combinino sempre tra loro. Bernardine Evaristo mostra le ragioni delle diverse parti, individuali certo, ma illuminando anche l’elefante nella stanza, ovvero le motivazioni storiche, sociali, politiche che costituiscono le radici di potenziali incomprensioni tra persone profondamente legate. La dimensione politica diventa così un’entità dinamica che mostra il proprio peso nella Storia ma anche in momenti intimi del rapporto con sé stessi e gli altri.

Seppur con prospettiva politica e bagaglio culturale differenti, questo lavoro attento nello scandagliare le divisioni tra donne e nelle comunità mi ha fatto venire in mente la saga de “L’amica geniale” di Elena Ferrante. Due autrici che hanno, al di fuori di previsioni, avuto un grande successo di pubblico.

Bernardine Evaristo in questo libro, di cui ho apprezzato l’onestà e il non adagiarsi su posizioni rigide e ideali, narra tanto le divisioni e perdite di reciprocità tra persone quanto il bisogno di venire a patti con la Storia e con la propria storia per ritrovare rapporti e significati. Il cambiamento personale e relazionale che sa coinvolgere anche una ricodificazione dell’elemento sociale e politico risulta allora trasformativo nel senso più positivo del termine.

(1) Come riportato anche nel libro “The London Dream: Migration and the Mythology of the City” (2020) di Chris McMillan. Un interessante film dell’epoca ambientato a Brixton è Babylon (1980) del regista italiano Franco Rosso; narra le vicissitudini di un gruppo di ragazzi della zona interessati alla musica reggae.

Petra VoXo è una scrittrice e lavora a Londra. Ha pubblicato Fantascienza da Bar (2020), una raccolta di racconti di fantascienza, omaggio al genere, che si muove tra ironia e nostalgia, mondi passati e futuri possibili. Al momento sta scrivendo il suo secondo libro.

Print Friendly, PDF & Email

1 commento

  1. Grazie, ho molto apprezzato questo approfondimento, come ho apprezzato il libro. Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a riannodare un po’ la matassa per rimettere insieme le sensazioni che mi ha lasciato la lettura. Ringrazio particolarmente per “l’elefante nella stanza” e per “il cambiamento personale e relazionale” che può trasformare anche il sociale e politico.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Gaza: Warfare

di Flavio Torba
Si scambiano dichiarazioni di guerra con gli occhi. Il viso di Pastore è un campo minato dall'acne. La vita all'aria aperta non deve fargli un granché bene. Si tormenta un bubbone, mentre sibila un flusso ininterrotto su chi ucciderà chi

Epigrafi a Nordest

di Anna Toscano
Sin da piccola sono stata abituata a frequentare i cimiteri, andare in visita da parenti defunti, accompagnarli nel loro ultimo viaggio, attraversare camposanti pieni delle stesse fototessere: anziani coi capelli grigi, occhiali, sfondo chiaro, abiti scuri. Mia madre e mia nonna, tuttavia, hanno iniziato a pensare alla loro morte anzitempo, ogni due anni eleggevano una foto come quella per la tomba e per l’epigrafe

Lo senti

di Stefano Ficagna
Cominciarono a sparire in primavera. Dissero che era colpa di un batterio, l'eredità genetica della guerra: certe persone diventavano trasparenti, poche per la verità ma abbastanza da poterlo notare coi tuoi occhi, perché succedeva ovunque. Fu una trasformazione graduale, tutt'altro che piacevole

Addio addio, dottore mio

di Paola Ivaldi
Nel considerare, per un attimo, il processo di inarrestabile sgretolamento della Sanità pubblica, quella fondata nel lontano 1978 sui nobili principi di universalità, gratuità ed equità, senza avere più né la forza né la voglia né tanto meno la capacità di additare gli innumerevoli responsabili di tale sfacelo, inizio a giocare di immaginazione

La lettera

di Silvano Panella
Mi trovavo all'esterno di un locale improvvisato, tavolini sbilenchi sotto una pergola che non aveva mai sostenuto viti – non sarebbe stato possibile, faceva troppo caldo, davanti a me il deserto africano, l'aridità giungeva fin dentro i bicchieri, polverosi e arsi.

La sostanza degli arti mancanti

di Elena Nieddu
Il Ponte crollò mentre stavano costruendo la mia casa. In quel tempo, quasi ogni giorno, l’architetto e io andavamo a scegliere cose nei capannoni della valle, parallelepipedi prefabbricati, piatti e larghi, cresciuti negli anni lungo il greto del torrente, abbracciati da strade che nessuno si sarebbe mai sognato di percorrere a piedi.
davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: