Da “Esercizi d’addio” di Piera Oppezzo
[Di Piera Oppezzo, Luciano Martinengo avevo curato Una lucida disperazione, per Interlinea nel 2016. Il volume raccoglieva una parte importante dell’opera poetica edita dell’autrice, opera ormai difficilmente reperibile, ed era corredata da un’introduzione di Giancarlo Majorino. Quest’anno, sempre grazie alla sua curatela, è uscito per Interno poesia Esercizi d’addio. Poesie inedite 1952-1965, con prefazione di Giovanna Rosadini. Ne presentiamo alcuni testi. A. I.]
Torino
Non mi spiego ancora
Chi sia colui
Che va tranquillo al lavoro
E torna tranquillo
E passa tranquillamente
La domenica.
Poi senti che dice:
“Ma, è la vita
Bè, arrivederci”
Scendendo dalla vettura
Con quel profilo pacato
La camicia tanto bianca
Il quotidiano in tasca.
*
Ritorni
“Né giovani né vecchi”
I giorni ritornano.
È tornato quel giorno
In cui l’auto saettante
Si sfasciò sulla pista
Fra il cinguettio accanito degli uccelli.
Si sono rivisti i barconi dei pescatori
Le reti scure in scuri tramonti
Le cabine aperte e abbandonate
Gli ombrelloni fieri e battuti dal vento
E qualche ragazzetto, più forte di tutti,
Senza freddo o paura
Saltare sulle onde come in altra estate.
*
Vento
Il vento rivelò la perfezione
Delle luci e delle ombre
Fra segni particolari della realtà.
Rivelò che i rami degli alberi
Sono il miglior disegno
E i cartelloni pubblicitari
La più spasmodica attività.
Odor di polvere sul corso
Dove corrono le foglie
E odor di fritto guizzò dalla trattoria.
Di questi segni
Arricchì la sua giornata
E provo la spinta della contentezza.
*
Quando un tale morì
Quando un tale morì
Io non ero presente.
Non per questo
La cronaca sarebbe stata confusa
Ma perché i fatti
Si dimenticano presto
E assimilano ai fatti precedenti
Finché gli incidenti mortali
Diventano: questa morte.
Naturalmente non soffro
Non l’ho mai conosciuto.
Mi passa appena sulla pelle
Il piacere di sopravvivergli;
Una pretesa
Padronanza della vita
Perché stavolta non sono ancora io
A soccombere
In questo avvenimento naturale.
*
Presente o assente
Presente o assente
La nostra sofferenza
È qualcosa di intatto
Per sempre.
Mai consumata
Fino al suo esaurirsi
Non arriva nuova
Ma semplicemente torna
Come una stagione
Torna a compiere
I suoi atti naturali.
Nociva e violenta
Per una cosa tenera
Quale la nostra debolezza
La sofferenza ci assorbe.
*
Stremato dallo spazio
Stremato dallo spazio
Cancellato dal tempo
Irradiato da una luce fissa
Articolato da un solo pensiero
Applicato con idiozia folgorante;
Allucinato nella propria indifferenza
Assediato nel suo isolamento
Incontrollato nella propria rigidezza
Bloccato nel suo smanioso
Apparato di banalità concentrata.
*
La più stretta intimità
La più stretta intimità. Intimamente
il più possibile un rapporto estremo
col tempo, in disaccordo.
Lo spazio ridotto ad una carrellata vorticosa:
solo vortice e non luoghi.
Voci al galoppo, superfici senza attrito.
Solo ore che si sbloccano a piccoli scrolli.
Alcune filano lisce nel sonno:
migliori ma perdute: il meglio inutile.
*
La giornata lavorativa
Lo scomodo andamento del tempo
avallato sulle panchine andandoci a consegnare
uno strato di mezz’ora, tra l’una e le due,
seduti al contrario con la fronte appoggiata allo schienale
il mattino del tutto stroncato,
una combustione nello stomaco
segnala l’insediamento del pomeriggio
ecc., ecc., ecc., ecc., la sera.