Le montagne e il resto di Antonia Pozzi
di Ornella Tajani
È uscito per Ponte alle Grazie un bel volume di poesie, lettere e foto di Antonia Pozzi, scelte e raccontate da Paolo Cognetti, dal titolo L’Antonia. Seguire l’autrice – che in vita non vedrà pubblicato neanche un suo componimento – negli anni che vanno dal 1929 al 1938 è attraversare, contemporaneamente, un pezzo di storia novecentesca, via via sempre più buio, e il passaggio di una giovane donna dall’adolescenza all’età adulta: «È terribile essere una donna, ed avere diciassette anni. Dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi», scrive al suo ex insegnante Antonio Maria Cervi, con il quale avrà una casta relazione. Pozzi si innamora in modo appassionato, dopo Cervi toccherà a Remo Cantoni e poi a Dino Formaggio: intanto viaggia per l’Europa, manda cronache dall’Inghilterra, si laurea con Antonio Banfi con una tesi su Flaubert, va a Berlino, scopre la realtà delle periferie milanesi, inizia a insegnare a scuola; intanto il padre ha preso la tessera del partito fascista ed è un uomo molto in vista di Pasturo, quel «brutto, dolce paese» dell’Antonia, dal quale scrive a Cervi: «Che cosa è un ritorno? Una cosa che, per qualche ora, scioglie i groppi duri che separano l’oggi dall’ieri e fonde il passato e il presente con sicurezza fresca, dove il male non ha luogo».
In mezzo a tutto questo, le escursioni in montagna, sempre più frequenti: la Grigna, le Dolomiti, il Cervino, queste presenze che «Occupano come immense donne/la sera», da cui Cognetti parte e attraverso le quali tesse una narrazione inframezzata dalle fotografie scattate da Pozzi, che si fanno via via più belle e importanti per lei; tant’è che arriverà a pregare la madre di mandarle un altro apparecchio fotografico, nel momento in cui quello che possiede in montagna si rompe, giacché lei senza macchina è «una donna morta».
La cura e la dedizione che Cognetti mette in questo racconto, che è stato innanzitutto una ricerca, sono il valore aggiunto di questo volume, e ci si emoziona insieme a lui mentre scorta chi legge nei luoghi immortalati da Pozzi nei suoi scatti.
Pubblico una delle poesie contenute nel volume, che punteggiano le molto più numerose lettere; in apertura una delle fotografie.
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Confidare
Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far rifiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.
8 dicembre 1934