Il “Buch der Freunde” di Domenico Mennillo
di Ornella Tajani
È uscita per le edizioni morra/e-m arts la pubblicazione dal titolo Buch der Freunde di Domenico Mennillo, che raccoglie gli scritti relativi al lavoro ventennale di lunGrabbe, duo artistico formato dallo stesso Mennillo e da Rosaria Castiglione.
Pubblico in anteprima la prima parte del testo che Ferdinando Tricarico ha dedicato a “Andromaca. Opera neoplatonica in IV stanze ricreative”.
Il lavoro artistico di Domenico Mennillo, sviluppatosi nell’arco di un decennio col gruppo lunGrabbe, mostra le caratteristiche di una vera e propria architettura contemporanea, di un solido progetto culturale e non di una mera sequenza di eventi e scritture sperimentali. Architetture apparentemente fuori dal perimetro delle mura storiche della città di Napoli, ma che, a guardar bene nelle fondamenta dell’opera mennilliana, si collocano dentro e fuori la tradizione neoespressionistica partenopea. Tanti, anche intorno alla galleria di Peppe Morra, negli anni, hanno innovato la cultura locale contaminandola con le realtà internazionali più emancipate e, rifiutando coazioni autoreferenziali, (di una Napoli o euforicamente ombelicale, oppure lagnosamente in crisi d’identità), ne hanno disvelato un’anima più profonda ed universale. Ed è proprio nella dinamica intra ed extra moenia il fascino di lunGrabbe, la sua natura mutante, ampia, aperta: non solo per la costante multidisciplinarità espressiva (il teatro, l’arte, la poesia, la musica, il cinema), ma anche e soprattutto per le genìe filosofico-poetiche delle messe in scena, così rigorosamente discontinue, non lineari e plurime. In questi dieci anni, Mennillo, ha favorito l’incrociarsi di storie e mondi differenti, trovandone sintesi transitorie, verità parziali, in un laboratorio permanente qual è la vita stessa (l’artevita di matrice futurista?); da animatore-regista del gruppo lunGrabbe è stato capace di aggregare tanti soggetti per mescidazioni e di esprimere la sua forza artistica nella proposta collettiva (anche qui deludendo i sacri individualisti della napoletanitudine). A me è stato affidato il compito di leggere tra le righe del suo bel lavoro filmato, ispirato all’Andromaca nella versione di Racine, che fece una lettura della tragedia assai più materialistica e corale rispetto all’archetipo omerico. Si tratta di quattro video che, tra le tante suggestioni, ci spingono a riflettere sulle possibili caratteristiche di un’estetica del tragicomico: siamo al cospetto infatti di sequenze misterico-grottesche che annunciano l’imminenza di qualcosa che non accadrà mai, che propongono giochi puntualmente fallimentari in un crescendo d’impotenza espressiva. Ed ecco, a mio avviso, suggeriti alcuni interrogativi dell’Andromaca mennilliana sull’est/etica; la tradizione filosofico-estetica ci ha dato le categorie per smezzare alla grossa gli oggetti artistici razionali da quelli irrazionali: l’apollineo per classificare armonia, equilibrio e misura, il dionisiaco per assumere dentro di sé, il distonico, l’asimmetrico, l’abnorme. E se, invece, ci spingessimo nella terra di nessuno dove lunGrabbe sembra volerci condurre, in quel territorio sospeso tra l’apollineo ed il dionisiaco e ci chiedessimo quale espediente espressivo può tenere insieme conoscenza razionale e pulsione istintuale, quale rappresentabilità può avere una realtà percepita nella sua complessità critica? Le tecnostrutture new mass mediatiche, oggi, predeterminano il gusto, più che “l’oggetto poietico” creano il soggetto impoetico dimidiandone la percezione estetica nettamente: si sovraproducono, perciò, o merci culturali divertenti, d’intrattenimento, confortevoli, oppure si pensa di scuotere il fruitore massificato con l’eccesso irrazionale, la crudezza dell’istinto, l’angoscia dell’incontrollato […].
[Ferdinando Tricarico]