Il Desiderio che combatte il Moralismo: Bad luck banging or loony porn di Radu Jude
di Daniele Ruini
This Heaven gives me migraine
(Gang of Four, Natural’s Not in It)
Vincitore dell’Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino, Bad luck banging or loony porn (titolo originale Babardeală cu bucluc sau porno balamuc) di Radu Jude è un’opera non solo stilisticamente ispirata ma che ha anche il merito di pungolare con sarcastica lucidità alcuni nervi scoperti delle odierne società globalizzate e iperconnesse. Pur essendo il prodotto della controversa storia della Romania nella seconda metà del Novecento, la Bucarest filmata dal regista romeno –una città involgarita da esibizioni muscolari di consumismo a scapito dei più deboli– rivela infatti dinamiche comuni a tutto il mondo occidentale.
Al centro del racconto, organizzato in tre capitoli più tre possibili finali, c’è Emi (Katia Pascariu), un’insegnante di lettere “colpevole” di essersi fatta immortalare dal cellulare del marito durante un gratificante e movimentato rapporto sessuale col coniuge; i problemi sorgono quando il video amatoriale (mostrato all’inizio del film) viene diffuso su internet e finisce nei cellulari degli studenti di Emi. Durante tutta la prima parte vediamo la protagonista attraversare con inquietudine crescente la città per andare a casa della preside della scuola, dalla quale apprenderà che i genitori degli allievi pretendono per la sera stessa un confronto pubblico per ridiscutere, alla luce di quanto accaduto, la sua credibilità di docente. E il regista, che si dichiara un discepolo di Rossellini, approfitta di questa lunga camminata dalla periferia al centro di Bucarest per esibire il peggio della foll(i)a urbana, tra continui litigi, suv parcheggiati sfacciatamente sui marciapiedi, pubblicità sessiste, lavori in corso e traffico micidiale. In particolare, come ha scritto Davide Turrini, la macchina da presa spesso «sembra come distrarsi, perdendo di vista Emi (che parla al telefono, che entra in farmacia, ecc.) tra i passanti, costruendo linee spigolose e inattese di visione verso i marchi del consumismo industriale e commerciale, verso scritte, pannelli, slogan pubblicitari che invadono letteralmente l’occhio e l’anima dello spettatore».
Il secondo capitolo è una carrellata satirica che mette insieme filmati tratti da archivi storici o pescati dal web, il tutto accompagnato da citazioni filosofiche e letterarie che creano spesso un contrasto caustico con le immagini. Si tratta della sezione più stravagante del film, apparentemente irrelata alla vicenda principale ma evidentemente funzionale a stabilire un filo rosso tra la Storia romena del XX secolo (dal collaborazionismo nazista alla dittatura dei Ceaușescu, dalla vicinanza al potere della Chiesa ortodossa nazionale all’uso dell’esercito per reprimere il dissenso) e i mali del presente (come inquinamento, maschilismo, violenza domestica ai danni dei minori)[1].
Ma è certamente nella terza ed ultima parte che i temi toccati dal film esplodono in un crescendo che contempla tre finali possibili. I nervi a fior di pelle e la «pornografia culturale»[2] mostrati, rispettivamente, nei primi due capitoli s’incontrano durante il “processo” che vede Emi come imputata e i genitori dei suoi alunni nel ruolo di giudici. Ed è qui che la protagonista, che sembrava fino a quel momento aver accettato la propria posizione di colpevolezza, ha la forza di reagire alle critiche nei suoi confronti; se infatti la maggior parte dei genitori prende le mosse dal filmino porno per calunniare la professoressa mettendo in discussione i suoi metodi didattici e i principi di libertà di pensiero che lei ha sempre cercato di insegnare ai suoi studenti, Emi oppone all’ipocrisia dei suoi accusatori un principio di responsabilità: se il video è finito nei cellulari degli studenti di chi è la colpa? I loro genitori non avrebbero dovuto impedirgli di accedere a siti destinati a persone adulte? E in base a che cosa si considera moralmente riprovevole il modo in cui la docente si è comportata nella sua vita privata? E ciò si accompagna alla rivendicazione degli intellettuali di cui la protagonista ha parlato ai suoi studenti, come Hannah Arendt o Isaak Babel: nomi che viene facile contrapporre a quello di Nichifor Crainic (1889-1972) a cui è intitolata la scuola (di cui la preside vanta a più riprese il prestigio)[3]. In effetti man mano che il “processo” va avanti, diversi tra i genitori fanno sfoggio di dichiarazioni non solo perbeniste ma anche nazionaliste, omofobe e antisemite; e il fatto che Jadu li rappresenti con toni grotteschi non diminuisce la virulenza delle loro prese di posizione[4].
In tutto questo la figura di Emi emerge per la forza morale con cui cerca di respingere chi la vorrebbe mettere in croce; e lo fa –ed è questo il nucleo di maggior interesse del film– contestando anche le convinzioni degli spettatori progressisti: quanti tra coloro che respingerebbero con orrore le affermazioni maschiliste o antisemite dei genitori della classe di Emi sarebbero davvero disposti a riconoscere alla docente (specie se fosse l’insegnante dei loro figli) il diritto a farsi riprendere dal marito durante un rapporto sessuale e a caricare il video su un sito per adulti? Perché qui c’è un’altra questione su cui il film lascia un velo di ambiguità: chi è che ha caricato il filmato su internet? Se inizialmente sembrerebbe essersi trattato di un errore (ed è questa la linea difensiva adottata dalla protagonista), in realtà ciò che emerge è che è stata probabilmente la stessa Emi a metterlo intenzionalmente online.
Si tratta di un aspetto che, come ha sottolineato Elisa Cuter su «Domani», pare essere stato frainteso da molti recensori italiani del film, i quali sembrano convinti –manifestando in questo modo «un residuo di pruderie»– che il filmino amatoriale sia finito su internet accidentalmente[5]. Ma è un punto dirimente: l’obiettivo polemico del regista romeno è evidentemente –anche– la sessuofobia che caratterizza le nostre società, ovvero il moralismo con cui ancora si tende a parlare di sesso. Ecco allora che il filmato amatoriale con cui si apre il film sembra voler incarnare una visione liberatoria del sesso, senza retorica e senza addomesticamento: tutto il contrario di chi esibisce il proprio corpo online mosso dalla preoccupazione della propria accettabilità e spendibilità sul mercato della competizione permanente. Si tratta di tematiche che la stessa Elisa Cuter ha affrontato nel suo interessantissimo saggio Ripartire dal desiderio (minimum fax, 2020) dove, oltre a mettere in discussione alcune posizioni del più recente femminismo, si rivendica il potere disturbante del Desiderio quale possibile antidoto ai dogmi subdoli del Capitale. Come ha scritto Felice Cimatti a commento di questo libro:
almeno dal tempo di Freud è noto che il controllo del sesso è il mezzo principale per controllare anche il resto della vita individuale e sociale. […] Sostenere che il sesso non ha a che fare con il diritto e con la relazione etica ma con la seduzione e il desiderio è ormai un’affermazione inaudita, se non semplicemente incomprensibile per il senso comune conformista del nostro tempo.
Alla prepotenza e all’ignoranza della nuova classe benestante Emi risponde con la rabbia di chi non si riconosce in un mondo che, nonostante la liberazione dei costumi, pretende ancora di dirci chi dobbiamo essere.
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[1] A questo proposito, si trova un’eco delle parole del regista («Sono passati trent’anni dalla dittatura: oggi siamo in democrazia e siamo noi ad averla costruita così. Quindi se le cose non vanno, è anche colpa nostra») nelle osservazioni di Luca Bistolfi, giornalista esperto di cose romene e traduttore dal romeno. Questa l’opinione sull’attualità che troviamo nel suo interessante racconto della Romania ad uso dei lettori italiani: «Ai romeni non importava niente del socialismo: importava, visto che erano soprattutto contadini e intellettuali, della loro terra […]. Erano, e in parte sono rimasti, un intreccio, una mistura di lassismo latino e orientale, di fatalismo e di legame con la tradizione. Questa volevano conservare e questa, nonostante tutti gli scempi compiuti dal regime ceaușista, proprio da quest’ultimo gli era garantita. Ceaușescu innestò su quella concezione dell’esistenza uno sprone: verso il socialismo. Oggi tutto è invece imperniato sull’egoismo e sulla ricerca dell’ultimo modello di automobile» (Crocevia d’Europa: viaggio nella Romania di ieri e di oggi, Lecco, Alpine Studio, 2018, pp. 160-161).
[2] Cristina Battocletti, L’Orso all’insegnante osé, «Domenica, IlSole24ore», 7 marzo 2021, p. XIII.
[3] Scrittore e professore di teologia, Crainic è stato ministro del conducător Ion Antonescu durante gli anni (1941-44) che videro la Romania alleata delle forze dell’Asse durante la Seconda guerra mondiale.
[4] Per quanto riguarda l’antisemitismo, già nel primo capitolo del film si trovano riferimenti alla Shoah: quando Emi entra in una libreria per comprare l’Antologia di Spoon River il libraio le consiglia il poeta americano Charles Reznikoff (1894-1976), autore di una raccolta intitolata Holocaust; e quando, nella scena successiva, la vediamo accomodarsi a un caffè alcuni avventori fanno un’allusione alle condizioni di magrezza dei prigionieri dei lager nazisti. Riferimenti ai massacri dell’esercito romeno ai danni di rom e ebrei sono presenti anche nella seconda parte del film.
[5] Elisa Cuter, Radu Jude spiega perché non teniamo testa alla tecnologia, «Domani», 29 aprile 2021.