Nervino
di Mariasole Ariot
Si apre nella stanza – la parvenza della luce che ha per occhio – una buca sul terreno della casa – le mani dolci come cialde – il delicato attendere una chiamata – la temperatura elevata al grado – più alto della durata dei quando – e dove sono se non ancora – qui – dove sento il rancore che ci porti – la maschera di un dio rimescolato con le alture – e quando vivo dentro – quanta vita dentro – questo affacciarsi alle finestre ad osservare – una ginestra rotta – il cumulo di torba sul campo delle feste – una tempesta di menzogne masticate – si apre come vento e come spera – un resto che recrude nelle parti – la troppe molte parti rannicchiate – un gesto di vendetta che ci spinge – a dirci le parole la lingua delle spore – si muove un vento che mi spinge, il gelo diradarsi delle acque – un ruscello che non parla dice muovi – il troppo movimento si fa piano – appena i primi passi nella casa – lo specchio che confonde il mio non dire – non dire quanto hai visto e quanto l’occhio – respinge il troppo accumulato sottoterra – la terra che mi premi nella gola
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Si apre il tuo sudario a primavera – il vero ricomposto nel silenzio, quanto – ci siamo dati e riproposti – ma ancora cede il tempo al temporale – ancora mi scomponi per procura – la tana in cui cacciamo i nostri corpi – sepolti di sabbia che ho ingoiato – la guaina che copre quando i morti – non tremano se non per riposare e – dico guarda il vento – che tuona nelle ossa – l’assalto per ridirsi un po’ penosi – la noia di quest’epoca ammalata che richiama – mondare le giunture e le animelle – ho visto un albero non verde, la chioma – già ammalata la mia chioma – dirada sulla strada della testa – un guscio e non c’è spazio per chiamare – urlare il già sentito il troppo detto, la piana – di un ricordo che si accorda – e ho visto e detto troppo – se apre il tuo sudario nell’autunno – la stagione a ricompensa per l’estate – la foglia e la testuggine del mondo – dimentico la voce la tua casa – dimena fame a fame per un corpo – che sembra maledetto e non c’è verso – se verso è già restare
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Si apre il mio ricorso – soccorrere un malato dai suoi nervi – nervino il nero la nostra ricompensa – essere i sapienti della notte – sapere che non sanno – chinarsi nel sentito – dire di macerie di rotture del candore – se i santi si scolorano nel nostro articolare – un vento l’eventuale discordare – l’umore i nostri amori dimezzati – se in mezzo c’è un dolore che fa spazio – al canto di topaia e di ranocchie – la rana che si gela solo fuori, che genera un polmone immacolato – ritorna quando sgela di sudore – riaccorda le sue parti come zampe di tensione – e nasce nasce ancora se non – dorme, se non – strilla – se non – passa la stellata nella testa – si muore solo un giorno e non c’è giorno che non cadi – si muore per un gioco e per un caso – il sacco in cui mi poni nella cinta – se fa male ammaliare il proprio porto – ho detto già l’opposto che mi cuci – la bocca quando grido – il lento diradarsi della pena – la piana è tutto quello che mi osservi
*fotografia Mariasole Ariot
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Che bello!