Da “I misteri del romanzo” di Lakis Proguidis
[È uscito in questi giorni per Mimesis il saggio di Lakis Proguidis I misteri del romanzo. Da Kundera a Rabelais (Pierre-Guillaume de Roux, 2016), a cura e nella traduzione dal francese di Simona Carretta. Il saggio indaga Storia e Preistoria del romanzo a partire dalla nozione di “riso romanzesco”, un genere di riso che secondo l’autore sarebbe stato «praticato» per la prima volta da François Rabelais. Ne presentiamo le prime pagine.]
di Lakis Proguidis
Sotto le acacie
Ho avuto la mia prima esperienza romanzesca all’età di venticinque anni nel luglio del 1972. La scena mi è sempre presente. Anche ora, mentre sto scrivendo a Montréal, a metà autunno del 2005, me la ricordo molto bene. Camminavo lentamente sotto un filare di acacie. Qui, per essere la metà di autunno, le giornate sono piuttosto miti. Gli alberi esplodono in tutta la loro bellezza, come a far recedere il duro inverno che già colpisce il nord del paese. È là, sotto le acacie, che un pomeriggio di estate il romanzo mi ha afferrato.
Mi vedo a trentatré anni di distanza. In Grecia, nella mia città natale. Ero uscito per una passeggiata. Un mese prima ero ancora in prigione. Rinchiuso per quattro anni come oppositore al cosiddetto regime dei Colonnelli (1967-1974). Quattro anni di intense letture. Una fortuna che non tornerà mai più! Qualche mese prima di essere liberato avevo letto Lo scherzo di Milan Kundera. L’avevo letto tutto d’un fiato. Era la mia prima notte in bianco in compagnia di un’opera letteraria.
Era successo a causa della particolarità del luogo in cui leggevo – rinchiuso in una cella? Era stato lo scontro tra le mie inclinazioni comuniste di quel periodo e la verità dell’opera? Era dipeso, a miei occhi di allora come a quelli di oggi, dall’incomparabile riuscita artistica del romanzo? Il fatto è che da quella prima lettura Lo scherzo è rimasto impresso nella mia memoria in maniera indelebile.
- In Grecia, in Europa, dappertutto nel mondo, gli uomini parlavano di politica. Alcuni aderivano a questo o a quel partito. Altri partecipavano a movimenti studenteschi e sociali. Altri ancora erano dei semplici simpatizzanti. Non mancavano discussioni accese, risse tra campi avversi, tafferugli con la polizia. Così era la vita a quell’epoca. Io non sono stato un’eccezione.
All’indomani del mio ritorno a casa, mio padre, inchiodato a letto in seguito a una grave operazione, mi chiese di andare a far visita al suo amico S., che apparteneva al nostro stesso partito e con cui condivideva un ufficio contabile in una cooperativa di sarti. Durante la convalescenza di mio padre – laggiù la vita era ancora senza telefono – S. passava da noi ogni tre o quattro giorni. Si informava sulla sua salute e gli portava notizie della cooperativa. «Oggi vai a trovarlo – mi disse mio padre – gli farà molto piacere vederti». Mi recai perciò al loro ufficio. S. mi abbracciò. Mi accarezzò la testa. Così ero stato liberato, stavo bene. Ne era felice. Si mise subito a inondarmi di domande. Sull’America, il Vietnam, Salvador Allende ecc. Stava discutendo con qualcuno che era stato perseguitato a causa dei suoi stessi ideali politici. Dai grandi problemi del mondo siamo passati alla situazione del nostro paese e, poi, alla mia esperienza in carcere. Io rispondevo cortesemente alle domande e attendevo con pazienza la fine della visita. Mi sentivo, in realtà, abbastanza a disagio nel ruolo di chi doveva rispondere a tutto. A un certo punto S. tossicchiò, deglutì, mi guardò come folgorato da un dubbio improvviso e abbassò lo sguardo. La domanda scottante fu pronunciata: “E con il desiderio sessuale come hai fatto?”
Negli attimi che trascorsero tra la domanda e la risposta, Ludvík si impadronì del mio spirito. È lui che rispose al mio posto. Ludvík è l’eroe de Lo scherzo. Studente all’università di Praga nei primi anni del potere comunista, lui stesso comunista, fa una battuta sulla sacra linea del partito. Tradito dalla sua ragazza e pubblicamente accusato di condotta antirivoluzionaria dal suo compagno di studi Pavel Zenamek, paga la sua leggerezza con quindici anni di prigione. Rilasciato e libero di muoversi, trova l’occasione ideale, pensa lui, per vendicarsi di Pavel Zenamek: seduce sua moglie Helena, fanno l’amore, il marito è ingannato… Allora, attraverso la mia bocca, Ludvík rispose: ”Mi masturbavo”.
Vidi immediatamente dipingersi sul volto di S. la delusione. Dio sa quale sorta di eroica abnegazione si era immaginato da parte mia. Si astenne, tuttavia, dall’esprimere qualsiasi commento. Scambiammo ancora qualche frase di circostanza e me ne andai. Uscendo dal suo ufficio, ero soddisfatto: ero riuscito a somministrare una buona dose di disillusione a una persona che, credevo, ne avesse un gran bisogno.
I giorni seguenti S. non si fece più vedere. ”Che strano – disse mio padre dopo tre giorni – perché S. non viene? È andato bene il vostro incontro?”. ”Si, padre, molto bene, forse ha avuto qualche impedimento, verrà certamente…”. Dicevo qualunque cosa allo scopo di dissipare le sue preoccupazioni.
Mezzogiorno. Dopo pranzo uscii a fare una passeggiata. È quel pomeriggio che ho avuto la mia prima esperienza romanzesca.
Camminavo sotto le acacie. Ero triste. Irretito in una situazione che non avevo voluto. Ero arrabbiato per aver offeso S. e aver così privato mio padre delle sue visite. Che fare? Sono trascorsi trentatré anni e mi vedo ancora, con una nitidezza sorprendente, mentre cammino sotto le acacie immerso nei miei pensieri.
Improvvisamente mi fermo. Ludvík ritorna. O meglio, è lui che mi blocca sul posto. Si impadronisce di me come nell’ufficio di S. Solo che non è lo stesso Ludvík. Anche lui, come me, è triste.
La sua vendetta è fallita. Pavel Zemamek, diventato professore universitario, corteggia, come vuole lo spirito del tempo, le sue giovani studentesse e se ne infischia altamente di sapere con chi va a letto sua moglie. Siamo nella Cecoslovacchia degli anni Sessanta. Ludvík comprende che non si vendicherà mai dell’ingiustizia subita. Il quadro storico è cambiato. Gli avversari di ieri posso anche apparire sotto gli stessi nomi e con le medesime caratteristiche fisiche, ma non sono più gli stessi uomini. Ludvík si rende conto che la Storia ha accelerato il suo corso a tal punto che l’amarezza e la rabbia provate in passato non sono più comprese da nessuno. La Storia è un chiodo al quale si appendono i miei romanzi, diceva Dumas. Al tempo di Kundera il chiodo che fu la Storia sotto la penna di Dumas si muove a una velocità così vertiginosa che la breve vita umana non ha più niente a cui appendersi. Ludvík è scettico. Non pensa più alla sua vendetta, ma alla sua solitudine. A lungo preoccupato per una rivincita senza oggetto, ha perso perché ha trascurato o, a volte, offeso i suoi amici più cari. Li saprà ritrovare? Se la Storia non può più essere il teatro della vendetta personale, perché dovrebbe esserlo dell’amicizia? Forse è questo Ludvík che si è impossessato del mio spirito, questo Ludvík afflitto, inconsolabile.
Il riso. Improvvisamente mi metto a ridere. Senza rumori né smorfie, né altri segni esteriori. Eppure il ventre, il cuore, i muscoli dorsali, la colonna vertebrale e il cervello sussultano. Si tratta di un microsisma nascosto, silenzioso ma percepibile. Tutto è simultaneamente presente: la mia costernazione per aver deluso S., la compassione verso mio padre, i due Ludvík, il Ludvík vendicatore e il Ludvík malinconico, e uno strano riso, inspiegabile.
Quanto tempo durò quel riso? Non saprei dirlo. Fu come una scossa elettrica. Forse qualche attimo. Comunque fu in quel breve lasso di tempo che prese forma la concezione del presente saggio.
Concezione in cui si intrecciano quattro fili conduttori.
Il desiderio di nominare (Prima parte: ”La parola”).
Il vissuto, la quotidianità (Seconda parte: ”Schizzi”).
La speculazione teorica (Terza parte: ”Un vuoto estetico che perdura”).
E la Storia (Quarta parte: ”La farsa”).
L’ordine non è che apparente. I quattro fili conduttori sono costantemente intrecciati. La principale preoccupazione è stata, infatti, quella di non allontanarmi troppo dall’unicità di un’esperienza estetica.
Di Rabelais, a quel tempo, non avevo che un vago ricordo scolastico.