QUANDO LA POESIA SI TINGE DI GIALLO

di Bruno Morchio

Già il titolo di questo romanzo (Antonella Grandicelli, Il respiro dell’alba, Fratelli Frilli Editori, 2021) suggerisce al lettore in quale insidioso territorio si sta inoltrando. L’assunto di Manchette, ispirato alla prosa di Dashiell Hammett, che la scrittura del noir (o polar, da distinguere dal tranquillizzante e consolatorio policier) debba essere basica, di grado zero, nel tempo è andato a farsi benedire. Peraltro, a smentirlo ci aveva già pensato un certo Raymond Chandler, che con Hammett è stato il fondatore dell’hard-boyled americano.
Così in Europa, dopo la scrittura “oggettiva” di Simenon, abbiamo conosciuto la prosa altamente letteraria di Vázquez Montalbán e quella lirica di Jean-Claude Izzo.
Succede, quando i poeti si mettono a scrivere gialli.
È il caso di questo romanzo, che da Montalbán prende in prestito anche l’ossatura narrativa: una persona che il protagonista ha conosciuto nel passato viene uccisa e l’indagine ne ricostruisce il percorso e la fisionomia, così come si è evoluta nel tempo, grazie alle testimonianze di coloro che la hanno frequentata e conosciuta.
Lucia Senarego, figlia di una famiglia dell’alta borghesia genovese, viene trovata morta annegata nelle acque di Vernazzola. I due acciaccati protagonisti, il commissario Vassallo e il poeta (eccolo lì!) Luigi Martines, che con Lucia aveva trascorso indimenticabili vacanze estive in quel di Casella ai tempi dell’infanzia e dell’adolescenza, sono convinti che la donna sia stata uccisa, ma il Potere che emana dai Senarego fa di tutto perché questa ipotesi sia esclusa a priori, al punto che la ricerca della verità (per tacere della giustizia) diventa operazione illegale perfino per un tutore ufficiale della legge.
Della trama non direi altro, se non che è ben articolata in un intreccio che incolla il lettore alla pagina, con tutti gli artifici del caso, a cominciare dal cliffhanger, che lo lascia “appeso” ogni volta che si cambia prospettiva passando da una voce narrante all’altra (Vassallo/Martines); da rilevare come i personaggi emergano a tutto tondo e soprattutto il crescendo di empatia generata dal tragico destino della vittima, a cui, come deve essere, la letteratura restituisce dignità di personaggio misterioso e poliedrico e, in ultima analisi, mitico.
Insomma, un romanzo che non ci lascia mancare niente, compresa la conclusione, che ci rimanda di nuovo alla lezione di alcuni grandi, fra cui Dürrenmatt e ancora Montalbán, riguardo alla problematicità della verità a cui approdano le indagini di polizia.
Ma quello che  qui ci preme sottolineare, come suggerisce il titolo, è la qualità della scrittura. Procediamo a brettio, con un florilegio di citazioni casuali che meglio di qualunque considerazione danno l’idea di che cosa stiamo parlando: “Il vetro mi rimandò i suoi lineamenti tesi negli occhi socchiusi, le labbra tirate, il corpo inquieto come l’aria prima della pioggia” (p. 33); “Nonostante suor Ludovica tentasse di apparire indifferente, il suo fastidio… emergeva come l’odore di stantio quando si apre un armadio chiuso da mesi” (p.137); “Fuori la sera aveva un colore bastardo, smarrito”  (p. 163); “Sui gradini del portone, ingialliti come i denti di una vecchia” (p. 164); “La madre, un osso liscio, senza imperfezioni, bianco e cereo” (p. 167); “Al passaggio di un tiro secco di tramontana il silenzio si arruffava” (p. 169); “Il cielo era sereno e intenso, l’aria frizzante, quasi primaverile, se non fosse stato per quella patina di rassegnazione dorata che la luce d’ottobre posa sulle foglie degli alberi” (p. 182); “Lucia che aveva luce negli occhi, che aveva gambe e sogni lesti, che strappava l’erba per sentirne il profumo di vita” (p. 206); “Mi avviai, nel pomeriggio che aveva già con sé i colori della notte” (p. 208); “Ancora una volta Vittoria usava Lucia per tenere saldo lo steccato bianco che circondava la sua reputazione” (p. 222); “Le mie parole avevano il gusto amaro della ruggine” (p. 278); “Un sorriso gli tagliò la faccia” (p. 300).
È chiaro adesso? Altro che scrittura “oggettiva”!
Qualcuno si chiederà se questo  genere di prosa sia “adatto” al genere; personalmente rovescio la domanda e mi chiedo che cosa possa ravvivare un genere così ubiquitariamente praticato (oggi chi viene trombato alle elezioni, va in pensione, litiga con il capoufficio, è mollato dalla moglie o dalla fidanzata, che cosa può fare di meglio che scrivere un giallo?) non abbia un disperato bisogno di letteratura, cioè di trarre il meglio in fatto di trame, situazioni drammatiche e scrittura, dalla grande letteratura (dai classici greci fino ai maestri del Novecento, noiristi e no).
L’autrice, che è una lettrice vorace e pratica per studi e per lavoro diverse lingue straniere, è per certo sulla buona strada. Consigli: lavorare sui dialoghi e sull’editing. Ma questo, si sa, è un processo che per ciascuno di noi non finisce mai.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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