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Le dinamiche del flame informativo

 

di Mario Bramè

 

Un paio d’anni fa feci un colloquio per la posizione di Product Manager presso un quotidiano online di prim’ordine. Ero giunto all’ultimo step delle selezioni ma, alla fine, scelsero l’altro candidato, che aveva “skill” più orientate al marketing.
Tra le varie attività di coordinamento, mi sarei dovuto accertare che i giornalisti scrivessero i loro articoli con un occhio di riguardo alle keywords più gettonate in rete, in modo che il testo potesse intercettare quante più ricerche possibili effettuate tramite i motori di ricerca. La monetizzazione dell’articolo, infatti, passa da lì, dal momento che solo l’effettiva visione dei banner pubblicitari presenti in pagina porta l’inserzionista a pagare il giornale. Io stesso ho lavorato in passato come SEO specialist e conosco abbastanza bene i tecnicismi dell’informazione in rete.
Di recente ho illustrato sulla mia bacheca social i meccanismi che sottostanno alla creazione di ciò che chiamerei, a tutti gli effetti, flame informativi, ovvero quegli improvvisi picchi di interesse su un argomento o un fatto di cronaca che sembrano, dall’oggi al domani, coinvolgere tutto e tutti. Ebbene, questi flame sono spesso basati su spunti molto fragili e pretestuosi. 

Il flusso è piuttosto semplice: il giornalista cerca, insieme, di seguire e continuare ad alimentare l’interesse improvviso su un determinato argomento, il più delle volte circoscritto nel tempo. E per “seguire” intendo principalmente “assecondare”, facendo in modo che l’articolo soddisfi la curiosità dei lettori, manifestata attraverso le frasi cercate sui motori di ricerca.
Fin qui, nulla di diverso dal meccanismo della domanda e dell’offerta. La stortura sta però in due aspetti: il primo è che i termini cercati su Google sono direttamente influenzati dagli stessi articoli pubblicati sui giornali e condivisi sui social, ed è piuttosto intuitivo comprendere che questa influenza sarà maggiore in caso di utilizzo di toni allarmistici, sopra le righe. È necessario, cioè, mantenere ben viva la fiamma, il flame, dalla quale ci si alimenta: un vero proprio circolo vizioso che droga lo scenario della notizia.
La seconda stortura sta nel fatto che tutto questo è misurabile con precisione e, pertanto, pianificabile tramite i più comuni strumenti di web marketing. È questo il grande elemento di novità che sottosta alla nuova dimensione informativa che stiamo vivendo: la presenza di una tecnica esatta che la sostiene adeguatamente.
Come accennavo, ho spiegato di recente questo meccanismo sulla mia bacheca social. Il post ha evidentemente toccato delle corde molto sensibili: è stato condiviso circa tremila volte, per una platea complessiva potenziale di quasi un milione di persone. È stato utilizzato come testo in classe per lezioni di educazione civica. La gente, in breve, ha reagito come se gli fosse stato svelato un segreto che, all’improvviso, faceva diventare chiara la logica sottostante le innumerevoli notizie allarmate, le drammatizzazioni, gli attacchi travestiti da approfondimento cui è stata esposta negli ultimi anni. Tuttavia, non c’è nulla di segreto in tutto ciò. Il processo descritto avviene alla luce del sole e gli strumenti informatici utilizzati sono a disposizione di chiunque, sebbene, alcuni, a pagamento. La prova? Nessun giornalista ha contraddetto il contenuto di quel post.

Come se ne esce? Fare riferimento al senso di responsabilità di chi scrive gli articoli di cronaca affinché non generi allarmismi deleteri potrebbe non essere sufficiente, sebbene quantomeno doveroso. Ovviamente resta fondamentale stimolare la capacità critica dei lettori in modo da poter spegnere i flame alimentati dall’angoscia e dagli allarmismi ingiustificati, pur mantenendo vivo l’interesse per gli argomenti popolari del momento.
E per il futuro? Ebbene, due ulteriori implicazioni potenzialmente e ulteriormente disastrose ci aspettano dietro l’angolo, e sono dovute al connubio della struttura tecnica cui ho accennato con due aspetti fondamentali della vita sociale della nostra società. In parte le abbiamo già assaggiate, per così dire. Ma la situazione peggiorare radicalmente.
La prima implicazione riguarda, com’è ampiamente prevedibile, la politica.
Negli ultimi vent’anni, è ormai risaputo e analizzato dagli istituti di ricerca, non si vincono più le elezioni convincendo nuovi elettori, né rubando votanti all’avversario. Lo scenario è cambiato con l’arrivo dell’astensionismo di sinistra, un tempo fenomeno pressoché inesistente. Oggi sia la destra che la sinistra devono fronteggiare questo tipo di problema interno e i cosiddetti “indecisi” non sono quegli elettori in dubbio se votare di qua o di là: sono piuttosto gli indecisi se andare del tutto a votare o meno, ma sempre all’interno del proprio orientamento di massima.
Come si convince un proprio potenziale elettore ad alzarsi dal divano e ad andare a votare? Facile: radicalizzando lo scontro, con una rispettiva chiamata alle armi. Una questione di guerra o, più realisticamente, di tifo. I giornali, tendenzialmente schierati, sfrutteranno sempre di più il meccanismo del flame e dell’allarmismo per polarizzare lo scontro e, quindi, indirizzare il voto. Dall’allarme “invasione immigrati” all’allarme “ritorno del fascismo”, nello sfruttarlo troveranno supporto tecnico adeguato nel circolo vizioso che abbiamo illustrato.
Il secondo impatto è sulla scienza, in senso largo.
Già dall’opera di T. S. Kuhn e da tutto il dibattito epistemologico del Novecento sappiamo che la decisione dello scienziato è costitutiva della dinamica dell’esperimento e quindi della natura stessa della scienza. E dove c’è di mezzo la decisione dello scienziato è ovvio che le componenti socio-culturali possano avere un impatto essenziale. Pensiamo alla tempesta informativa di questi mesi: possiamo dirci sicuri, per esempio, che l’intera gestione scientifica, statistica della pandemia, non sarebbe stata diversa senza i numerosi flame cui abbiamo assistito? La pandemia ha fatto emergere un aspetto importante che ha messo in crisi quella specie di positivismo di ritorno che da molti viene spesso contrapposto all’ignoranza o allo scetticismo nei confronti della scienza. La pandemia ha ampiamente dimostrato che i dati non parlano da soli, nemmeno quelli scientifici. La base solida e razionale è necessaria, certamente, ma le conclusioni cui si giunge possono subire drammaticamente le influenze dei flame informativi del momento. 
Non solo. Un episodio chiarirà come anche la scienza possa provare, proprio come la politica, a sfruttare lo stesso meccanismo del flame informativo a proprio favore.
Il 23 marzo del 1989 Stanley Pons e Martin Fleischmann, due ricercatori di Salt Lake City, convocarono una conferenza stampa in fretta e furia per annunciare una scoperta sensazionale: la fusione fredda di due isotopi dell’idrogeno. Per farla breve, si trattava della realizzazione del sogno dell’umanità di avere a disposizione energia pressoché infinita e pulita. Il fatto è che scavalcarono tutte le consuete procedure tipiche della comunità scientifica, fatte di confronti, esperimenti, contro esperimenti, pubblicazioni dei risultati sulle riviste, dibattito interno, presentazione dei risultati. Per guadagnare credito, attenzione e, quindi, finanziamenti, tentarono un vero e proprio corto circuito saltando indebitamente allo step finale: il successo mediatico. La notizia fu riportata dai giornali e le tv. Ma si fermò dopo poco proprio perché l’effetto volano non ci fu. Il volume informativo non fu sufficiente a garantire la nascita e l’alimentazione del flame.
Era il 1989, trentadue anni fa. Innescare un circolo vizioso era possibile ma solo, diciamo, in una dimensione analogica e, quindi, ridotta.
L’HAL9000 dell’informazione web non era ancora nato.

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1 commento

  1. L’ordine dei giornalisti fa spesso appello alla deontologia professionale ma a manovrare tutto, purtroppo, è l’interesse della proprietà editoriale. Se non si troveranno nuove soluzioni, avere una stampa libera da condizionamenti, on-line o su carta, sarà sempre più difficile.

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