Francesco Brancati: “che cosa resta nascosto nel sangue”
di Francesco Brancati
I nomi (da L’assedio della gioia)
1. Hanno tutti un nome, gli individui
che conosce e che incontra ogni giorno;
le persone che non conosce
con cui condivide le strade, gli occhi,
i minimi contatti tra il suo corpo
e i corpi degli altri dentro i tunnel,
le strette di mano assicurate
dai perimetri delle abitazioni
e poi fuori, nei luoghi predisposti
alla socialità, allo sport, agli acquisti.
È ragionevole accordare
per breve tratto un’invasione
della propria area di esistenza
agli sconosciuti nelle piazze,
tra le vie del centro oppure, come
adesso, dopo aver preso posto
sul regionale. Secondo un’altra
configurazione del tempo sono
questi gli attimi che preparano
l’intuizione buia del massacro,
il passaporto ovvio della specie.
2. Per forse qualche istante pensa sia
possibile lasciare che il mondo
(tutto quel che vede, che lo riguarda
e che comprende) esista così come
esistono le cascate, gli insetti
nella terra, i sorrisi intimoriti
dietro le fontane, mentre lo sguardo
risale le molecole sul viso
e cerca un riparo dietro le spalle
nude e forti di tutte le ragazze.
Vede le figure precipitare
in un movimento troppo piccolo
perché possa fissarle in una zona
esatta di quella che, sulla base
di un elenco impreciso di libri
e discorsi, chiama la sua coscienza.
Dalla serie confusa di immagini
si sforza di ricavare una visuale,
un quadro di insieme che autorizzi
il passaggio dalla deduzione
di una qualsiasi differenza
a un’incolpevole e sicura
rivendicazione di individualità.
Eppure non riesce a ricomporre,
a trasformare un’intelligenza
dei sensi in emozione o materia
e, come la memoria o altre sciocchezze,
il frammento si perde e dilegua,
il suo impegno ritorna leggibile,
ritrovare lo zaino, raccogliere
tutto, portarsi di fretta all’uscita
preparato di nuovo a discendere.
3. L’ospedale è vicino ai quartieri
periferici della città, si può
raggiungere facilmente tramite
le apposite linee urbane
(il novantasei passa tutti i giorni,
il novantatré soltanto durante
i festivi). A guardarlo dal basso
sembra anche lui un individuo,
un gigante funzionale e assiepato
lì dove niente di altrimenti
importante poteva essere stato.
La disposizione degli interni,
le mura bianche dipinte da poco
sono un compromesso dimenticato,
un’innocenza smarrita nel ventre,
che cosa hai perso nelle arterie,
che cosa resta nascosto nel sangue.
Il nuovo reparto di chirurgia
generale e del pancreas si trova
al terzo piano, per accedervi
occorre prendere gli ascensori B.
Quando sale osserva due uomini
parlare mentre indossano un camice
e realizza di colpo che la pioggia
e la storia sono un altro ordine
di grandezza, che non lo riguarda.