Come un teatro illimitato. ØNAR e Lilith
di Leonardo Recanatini Satriano
Se è lontano il tempo delle stimmati e dei metronomi, se ogni tempio è rovinato in mare, se nessun terreno può più permettersi il lusso di una radice, allora tramontano tutte le favole dell’interezza, e la frammentarietà si rivela lo spartito più adatto a far cantare le cose del mondo. Il frammento è fessura, politeismo latente: dove c’è frammento c’è sabotaggio di una monolatria. Il frammento è la cifra totemica di ciò che appare e scompare in un lampo; ma esiste qualcosa che non rassomigli alla pulsazione notturna di una lucciola sopra uno stagno? E soprattutto, il frammento non ha bordi né contorni: esso sfuma sempre verso altro, declina in altro, come la montagna declina in valle e la valle in gola o in pianura. Ciò che soltanto conta è lo spazio bianco tra i frammenti: lì respira il Simurgh, il dio che siamo chiamati a proseguire, e lì è necessario penetrare e seppellirsi, come dei semi.
Non sorprende, dunque, che il romanzo Lilith. Un mosaico di Davide Nota (Luca Sossella Editore, 2019) si presti particolarmente a innesti e gemmazioni. La scrittura frammentaria che lo attraversa ne muta continuamente la forma e la materia, le parole e le frasi che lo compongono sono per loro natura modulazioni indefinite, e aprono alla possibilità di trasposizioni e rimaneggiamenti. In questo senso, PPSS_Mosaico_020 rappresenta l’ultima sperimentazione nata dall’incontro tra il Lilith di Nota e Collettivo ØNAR (con Alice Piergiacomi), preceduta da un elaborato sonoro, uno spettacolo-concerto e un film a episodi. Questa volta la collaborazione prende la forma di un evento teatrale telematico, una cerimonia digitale a più voci attorno ai temi del labirinto, della maschera, della distanza e della visione; ciascun membro del pubblico, isolato nella propria stanza, viene invitato a far parte di una platea impalpabile, di un invisibile popolo di viandanti in cammino nei sottoboschi dell’Attuale, per costruire assieme un momento di erranza collettiva alla luce cangiante dei monitor.
PPSS_Mosaico_020 ha una struttura bicefala. Nei mesi che precedono la performance, a partire da febbraio, gli iscritti riceveranno via e-mail sette Lettere in bottiglia, sette messaggi acronici che introdurranno in maniera cadenzata i nervi principali della drammaturgia, accompagnati da elaborazioni grafiche e boutades metafisiche. I sette messaggi saranno accompagnati dall’invito a compiere una piccola missione all’interno della propria quotidianità, come trovare e scegliere una pietra, o riesumare una vecchia fotografia. I risultati di questi giochi, tra iniziazione e situazionismo, riappariranno trasfigurati all’interno dello spettacolo vero e proprio, previsto per la primavera. L’evento consisterà in una videochiamata attraverso la quale gli spettatori assisteranno a una desktop performance lo-fi dal sapore lisergico, in cui il sacro e il profano, il mistico e il metropolitano cessano di contrapporsi per scoprirsi sovrapposti, nella cornice incendiata di un mélange adultère de tout. Recitazione dal vivo, finestre video, opere grafiche, dialoghi in chat, web surfing e stringhe di codice concorrono alla creazione di una «pornologia superiore»[1] sotto il segno della Sibilla.
Nella traslazione dal palcoscenico allo schermo, l’esperienza teatrale non può permettersi di replicare sé stessa in maniera abitudinale, trascinandosi dietro i soliti stilemi: essa deve necessariamente cambiare pelle, alienarsi nei cristalli liquidi, per esplorare le infinite combinazioni proprie del paesaggio virtuale. Perché «il processo è carico di conseguenze nascoste: anche se la mente è ancora rudimentale, congiungendosi con lo schermo a formare un nuovissimo Centauro essa si abitua a vedersi come un teatro illimitato. Tanto basta, all’inizio»[2].
Per partecipare e ricevere le Lettere in bottiglia: https://lilithmosaico.org/mosaico020.
PPSS_Mosaico_020 è un progetto realizzato nell’ambito di Marche Palcoscenico Aperto. I mestieri dello spettacolo non si fermano, promosso da Regione Marche / Assessorato alla Cultura e AMAT.
[1] Espressione con cui Gilles Deleuze definisce l’opera di Pierre Klossowski, in quanto unità particolare «della teologia e della pornografia» (G. Deleuze, Il fantasma e la letteratura, in Logica del senso, Feltrinelli, Milano 1975, p. 248).
[2] R. Calasso, La Letteratura e gli Dei, Adelphi, Milano 2001, p. 29.