Su Venti di Giorgio Canali&Rossofuoco
di Francesca Matteoni
Mi preparo per una camminata invernale nel quartiere, il modo migliore per ascoltare Venti, ultimo disco di Giorgio Canali, le cui tracce sono state scritte durante i mesi del lockdown e registrate con i Rossofuoco in smartworking. Venti (La Tempesta Dischi) nasce dalla situazione eccezionale, disgraziata e demenziale in cui ci siamo ritrovati grazie a noi stessi, ma non è certo un disco sulla pandemia. La società con la sua malattia emerge ovunque in un’opera onesta, densissima di accuse, autoaccuse, fulmini, dove chi canta si riconosce come una scomoda distopia in un mondo fintamente utopico e ottusamente autoassolutorio. Ma niente di questo è riducibile a slogan, mentre nel quotidiano anche l’agire controcorrente diventa apparenza, schieramento qualsiasi in nome di un fittizio bene comune.
E l’ultimo alito di disobbedienza civile
Sepolto con le museruole in un unico grande funerale
(“Nell’Aria”)
Le canzoni di Venti sono le “Cartoline nere” di tutti i viaggi nella notte più buia, finalmente inviate, attraverso il mare e nello spazio, verso chiunque sappia raccoglierle, perché Meglio i mostri dello spazio che queste facce tutte uguali. È un disco rock che scaglia pietre e non risparmia nessuno; un disco che omaggia la canzone d’autore degli anni Settanta (vari i riferimenti nei testi), senza ripiegamenti nostalgici; che pesca nella musica ascoltata e assimilata, per rifonderla in un proiettile a ogni traccia e spararlo fuori. Un proiettile come quello usato per i lupi mannari (“Proiettili d’argento”), che ci trapassi, colpendo al centro il presente, dove ogni guizzo artistico disorganico e autentico, viene ridotto a roba buona per i perdigiorno dei sogni andati. Il proiettile va a segno, per tutti gli inutili che al sol dell’obbedire che splende sulla terra (“Inutile e Irrilevante”) preferiscono il buio, irriducibili come i gatti neri
Che si portano sfortuna
E attraversano la strada distratti dalla luna
(“Requiem per i gatti neri”)
“Eravamo noi”, canzone di apertura, ci mette a confronto con le identità trascorse, senza prenderne congedo. Siamo ancora noi, anche se tutto è andato nel peggiore dei modi possibili. “Morire perché”, primo singolo del disco, mescola lo spagnolo all’italiano, andando verso un crescendo strumentale finale,come una liberazione per chi non vuole affatto morire, ma essere nel pieno di sé, riconoscendo l’impulso vitale che ci tiene qui, contro ogni ragione.
Morire com’è? Morire come muore il giorno
Meravigliosamente in un tramonto rosso inferno
E tutt’intorno luci che si accendono
Gatti che scopano, fari che abbagliano
La rabbia del disco è la forza di chi si innamora, anche se nel disincanto, anche se l’amore vince tutto e tu perdi sempre (“Acomepidì”, l’allusione è limpida); e nel cielo in rovina sopra di noi chiede: abbracciami ancora, come quando questa pioggia non c’era (“Meteo in Cinque Quarti”). O ancora C’è qualcuno che crede alle favole come me?/ e non a come le racconta quel figlio di cane del re (“Vodka per lo spirito santo”). Rabbia-cerimonia funebre per la nostre specie, in dialogo con “Fiume Sand Creek” di De André in “Wounded Knee”:
Ti porto a vedere danzare le ombre
Dall’ultima volta hanno imparato a ballare senza fare rumore
Se non ci arrestano prima
E per il nostro bene
Benzodiazepina
Rabbia-anatema in “Canzone sdrucciola”
Chissà perché gli idioti sono spesso in preda a crisi mistiche
Chissà perché ci sono tanti fasci fra gli ex tossici
Se non ci arrivi da solo, fottiti
O moto incalzante, provocatorio e feroce, che denuda chi si rivolta senza perché in “Vieni avanti fischiando”, fotografia in negativo de “La locomotiva” gucciniana.
Vengono avanti fischiando
Secondo me dovresti aver paura
Esplosioni di rabbia cieca
Come la tua fortuna
E niente può fermare questa furia distruttrice
Trattenuta dentro per troppo tempo
Ha la forza della dinamite
La stessa forza della dinamite
Ecco, è il momento del ritorno. Lascio partire l’ultima traccia, la toccante “Rotolacampo” dalle armoniche dylaniane, che scorre nelle amarezze, tra gli schiaffi in faccia del genere umano, dell’amore, dell’addio e perfino della pietà.
Dici che faccio del male senza nemmeno sapere perché
È che quando tocco il fondo, invece di risalire
Ho un doppiofondo segreto tutto per me
E si fa leggera come un cumulo di foglie e sterpaglia nel vento.
È il vento che porta le nuvole e propaga il fuoco
E qualche volta lascia danni dietro di sé
E io, come un rotolacampo, viaggio con il vento
Con tutte le canzoni ascoltate a ripetizione quando ci credevamo immortali, con l’ansia di ribellarci e la facilità con cui poi ci siamo piegati, con il rancore che sale quando ci svegliamo e non vorremmo più tradire noi stessi o almeno l’idea che di noi stessi ci era così cara. Con la malinconia, la tenerezza, la frustrazione, l’ironia per non impazzire del tutto. Il disco è finito, riprendo a camminare verso un luogo o qualcuno che mi accolga. Vivi e basta, ripete la musica, e diventa tutto.
Quando cambia la luna, c’è un treno per Yuma
Penso di esserci già salita, di volerci salire ancora. Chiunque sia Yuma e dovunque sia.
I Rossofuoco sono Marco Greco, Stewie Dal Col, Luca Martelli. Ospite: Andrea Ruggiero al violino. Copertina di Martina Moretti.