«Nessun fulmine è caduto sulle nostre teste audaci». Due lettere di Louisa May Alcott

(Pubblichiamo un estratto da Alcott, Le nostre teste audaci. Lettere dalla creatrice delle sorelle March, a cura di Elena Vozzi, L’Orma Editore 2021. Le lettere sono precedute dalle introduzioni della curatrice che, nell’introduzione generale al volume, spiega come la vita (1832-1888) dell’autrice di Piccole donne sia sempre stata poco conosciuta.

“Fu, d’altronde – osserva Vozzi -, la stessa Alcott a contribuire a mettere in ombra la propria biografia distruggendo buona parte dei suoi scritti privati, o perlomeno quelli che non voleva fossero divulgati. Tuttavia, ciò che resta del suo nutrito epistolario ci restituisce un profilo inconsueto e inaspettato, sia tenendo conto della cultura dell’epoca sia pensando all’immagine edulcorata della scrittrice ‘per fanciulle’ che Alcott stessa, una volta raggiunta la notorietà, contribuì a consolidare.

Quello che emerge dalle lettere – prosegue Vozzi -, di cui qui si presenta un’eterogenea selezione, è infatti il profilo di una donna forte e indipendente, che seppe mettere in discussione le rigide regole sociali dell’Ottocento americano e partecipò con passione alle più importanti battaglie civili del suo tempo, dalla lotta alla schiavitù alle campagne per il suffragio universale”).

***

Alla fine del 1869, durante le poche settimane della forsennata stesura di Piccole donne crescono, Alcott è sottoposta a pressanti richieste da parte di editore e lettrici, che le scrivono per sapere con chi si sarebbero sposate le amate sorelle March. Pur poco convinta («come se il matrimonio fosse l’unico fine e scopo della vita di una donna!»), alla fine si risolve a combinare un matrimonio anche per l’indipendente eroina Jo. Nella seguente lettera indirizzata a Elizabeth Powell – educatrice e attivista, all’epoca insegnante di ginnastica in un college femminile – una rassegnata e ironica Louisa si prende gioco di sé e della propria creatura letteraria.

A Elizabeth Powell Concord, 20 marzo [1869]

Cara signorina Powell,

il fatto che le mie sciocche Piccole donne siano state ammesse nel suo college mi onora profondamente, e spero proprio che si comportino bene in un ambiente così erudito, considerato che le poverine non hanno goduto di molti privilegi e sono piuttosto ritrose, come la loro mamma. La prego di impiegarle come meglio crede per la cura del mal di testa o di qualunque altro malanno possano alleviare, non riuscendo a immaginare impiego più nobile per il mio libretto. Il seguito uscirà ad aprile, e come tutti i seguiti probabilmente deluderà o disgusterà buona parte del suo pubblico, perché gli editori non vogliono saperne di lasciare a chi scrive la libertà di decidere in autonomia il finale di una storia, al contrario insistono perché venga infarcito di matrimoni un tanto al chilo, e io ancora non so bene come darmi pace. Jo sarebbe dovuta rimanere una zitella devota alla letteratura, ma sono stata sommersa da talmente tante lettere di giovani lettrici che mi pregavano entusiaste di farle sposare Laurie, o comunque di farla maritare, che non ho avuto il coraggio di rifiutarmi. Alla fine, non senza una punta di perversione, le ho combinato un matrimonio assai bizzarro. Mi aspetto di essere coperta di insulti, ma devo ammettere che la prospettiva mi diverte abbastanza. […]

Ringraziandola ancora per la calorosa accoglienza riservata alle mie figlie,
la sua devota L.M. Alcott

***

Nel 1879, quando viene approvata una legge che estende alle donne il diritto di voto nelle elezioni dei comitati scolastici del Massachusetts, Alcott è la prima tra le sue concittadine a iscriversi alle liste elettorali. La divertita cronaca di quelle prime votazioni è l’oggetto della seguente lettera aperta indirizzata a un settimanale suffragista di cui Alcott fu a lungo collaboratrice.

Al «Woman’s Journal» [Concord, 30 marzo 1880]

Mentre da altre città giungono le cronache delle prime esperienze delle donne ai seggi, eccovi quella di Concord, meritevole di attenzione essendosi distinta per una seduta del consiglio cittadino insolitamente ben gestita e profittevole. Ventotto donne erano intenzionate a votare, ma a causa di alcune mancanze nel disbrigo delle pratiche burocratiche diversi nomi non sono potuti entrare a far parte delle liste. Tre o quattro di loro sono state trattenute a casa dai doveri famigliari e non si sono sottratte alle incombenze domestiche per correre ai seggi, come del resto avevamo previsto. Venti donne, tuttavia, erano lì, alcune da sole, la maggior parte in compagnia di mariti, padri o fratelli; tutte di buonumore e nient’affatto intimidite dalla memorabile impresa che stavano per compiere.

Mi dicono che i nostri consigli cittadini sono sempre molto disciplinati e pacati, e quello del 29 marzo di certo non ha fatto eccezione; sorprendentemente somigliava molto a una lezione accademica, solo assai più noioso di quanto lo siano d’abitudine le conferenze, salvo nelle rare occasioni in cui i gentiluomini presenti si sono trovati in disaccordo e hanno ravvivato la situazione con sporadiche manifestazioni d’impetuosità o villania, che hanno suscitato il divertimento ma non lo sconcerto dell’uditorio femminile, iniziandolo al contempo agli usi e alle cortesie del dibattito parlamentare. Le votazioni per il comitato scolastico non sono cominciate prima delle tre, e poiché il consiglio è iniziato all’una abbiamo avuto tutto il tempo di imparare gli offici di questo mistico rituale. […]

Nessun fulmine è caduto sulle nostre teste audaci, nessun terremoto ha scosso la città, ma appena eravamo tornate a sedere una piacevole sorpresa ha creato un diffuso scoppio di risate e applausi quando, dopo che avevano votato le donne e prima che avesse votato un singolo uomo, il giudice Hoar si è alzato e ha proposto di chiudere i seggi. La mozione è stata approvata senza che le risa in sala si fossero spente; la decisione ci è parsa perfettamente equa, considerato che noi non avevamo voce in capitolo in nessun’altra questione all’ordine del giorno. […]

Ma ormai abbiamo rotto il ghiaccio, e prevedo che l’anno prossimo i nostri ranghi saranno più nutriti, perché quel che conta è il primo passo, e quando anche le più timide o indifferenti – accorse numerose a guardarci – vedranno che siamo sopravvissute all’impresa, potranno azzardarsi a esprimere pubblicamente le loro opinioni, tanto quelle maturate da tempo quanto quelle che avranno imparato di recente a rispettare e sostenere.

L.M.A.

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davide orecchio
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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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