Appropriazione indebita
(La mia microcasa editrice del cuore ha appena pubblicato un librino densodenso che merita d’essere letto. A detta dell’autore quanto scritto e detto da Ray Bradbury non ha nulla a che vedere con coloro che si definiscono “fascisti del terzo millennio”.
E poi aggiunge: “Secondo me è menzognero citare Ray Bradbury fra gli ottantotto numi tutelari di un’organizzazione i cui membri si sono autodefiniti “fascisti del terzo millennio”. Secondo me il fascismo lo fa chiunque parli male e faccia parlare male; e, parlando male e facendo parlare male, pensi male e faccia pensare male.”
L’editore ci regala un breve estratto del libro che qui volentieri pubblico, ringraziandolo. G.B.)
di Marco Sommariva
In un’intervista del 1964, A portrait of genius: Ray Bradbury, Bradbury racconta che “Durante il regime del terrore di McCarthy ho scritto un romanzo intitolato Fahrenheit 451, un attacco diretto contro il tipo di forza distruttiva del pensiero che rappresentava nel mondo. Eppure pochissime persone mi hanno accusato di aver ideato un romanzo contro McCarthy. Sono riuscito a far propaganda senza essere lapidato o preso a pugni. Più avanti, in Russia hanno diffuso una versione pirata del libro, che pare abbia riscosso un certo successo. Naturalmente, trattandosi di fantascienza, nessuno ha capito che mi riferivo a tutti i tipi di tirannie presenti nel mondo, di destra, sinistra o centro. Perciò sono stato una forza sovversiva […] tanto nell’URSS quanto, contemporaneamente, qui”.
Nell’intervista realizzata da Arnold R. Kunert nel 1972, Ray Bradbury: on Hitchcock and other magic of the screen, lo scrittore americano trova che “François Truffaut abbia fatto un buon lavoro con Fahrenheit” che è un “film bellissimo. Incalzante” e che “la cosa magnifica è che, ogni volta che brucia un libro, Montag ci intrappola nei nostri pregiudizi. Ciascuno ha sicuramente un libro che, se arso, lo porterebbe a dire: «Va bene. Brucialo pure». Ma poi, ripensandoci, esclamerebbe: «Un momento! Fermati!»”. All’intervistatore che gli fa notare che la scena in cui Truffaut mostra dei titoli specifici divorati dalle fiamme, aveva scatenato reazioni piuttosto forti da parte dei suoi studenti perché, anche se è soltanto funzionale al film, molti di loro si sono sentiti offesi dal fatto che quei libri siano stati bruciati davvero, lo scrittore risponde: “Ci credo! Ma era esattamente questo l’effetto che Truffaut sperava di ottenere! E quel che è peggio è che, nella nostra società, esistono individui i quali brucerebbero molto volentieri i libri, se ne avessero la possibilità”.
Dieci anni dopo, nell’intervista Shooting haiku in a barrel, facendo riferimento a Fahrenheit 451, alla domanda “Potresti farci un altro film?” Bradbury risponde “Non credo sia necessario: amo il film di Truffaut […]”.
Nell’intervista realizzata da Rob Couteau nel 1990 a Parigi, The romance of places, Bradbury fa notare che il suo libro Fahrenheit 451 parla “dei totalitarismi di tutto il mondo: siano essi di destra o di sinistra, ovunque si trovino, sono tutti dei bruciatori di libri. È per questo che Fahrenheit continuerà a essere letto in tutto il mondo. Perché esistono ancora regimi totalitari. E incendiari di libri. Verrà letto finché queste realtà, fossero anche solamente delle minacce, continueranno a esistere”.
Nell’intervista realizzata da Ken Kelley nel 1996, Playboy interview: Ray Bradbury, lo scrittore americano dichiara “sconfortante” il fatto d’aver previsto in Fahrenheit 451 l’avvento del politicamente corretto con quarantatré anni di anticipo e ricorda questo passaggio del suo romanzo: “A un certo punto, il capo dei pompieri descrive come le minoranze, una per una, tappino le bocche e le menti della gente, rievocando dei precedenti – bruciateli entrambi o, almeno, non menzionateli mai; ai neri non piaceva che il negro Jim stesse sulla zattera con Huck – bruciatelo, quantomeno nascondetelo; le femministe odiavano Jane Austen e la consideravano incredibilmente sconveniente, in un’epoca tremendamente all’antica – tagliatele la testa; i gruppi conservatori, difensori del valore della famiglia, detestavano Oscar Wilde – tornatene nell’armadio, Oscar; i comunisti odiavano la borghesia – fucilatela! E potrei andare avanti… Se allora scrivevo della tirannia della maggioranza, oggi parlerei di tirannia delle minoranze. Oggigiorno, in realtà, bisogna stare attenti a entrambe. Ambedue cercano, infatti, di controllarci. La prima, facendoci ripetere la stessa cosa all’infinito. Il secondo tipo di tirannia, invece, è ben descritto dalle lettere che ho ricevuto dalle ragazze di Vassar, le quali mi chiedevano d’inserire più femminismo nelle Cronache marziane, o da quei neri che volevano più personaggi di colore in Dandelion wine. […] Avrei voluto dire a entrambe le categorie: «Che siate maggioranza o minoranza, piantatela!». Che tutti quelli che vogliono dirmi cosa devo scrivere vadano al diavolo! La loro società si frammenta in sottosezioni di minoranze che, in effetti, bruciano i libri, proibendone la lettura”.
Nell’intervista realizzata da Sam Weller nel 2010, apparsa su The Paris Review, alla domanda se la fantascienza è un genere che offre allo scrittore un modo più facile per esplorare un concetto, Bradbury risponde: “Prenda Fahrenheit 451. Parla di libri che bruciano, un argomento molto serio. Per non correre il rischio di cadere nel paternalismo, ambienti la tua storia in un futuro non troppo lontano, inventi un pompiere che brucia libri invece di spegnere incendi – che è già una grande idea – e lo lanci all’avventurosa scoperta del fatto che forse i libri non devono essere arsi. Legge il suo primo libro. Se ne innamora. Lo immetti sulla strada che gli cambierà la vita. È una storia di grande suspense, che racchiude la verità che si vuole raccontare senza bisogno di fare prediche”.
Dato che Bradbury ha chiaramente espresso che il suo libro Fahrenheit 451 parla dei totalitarismi di tutto il mondo, vediamo se quello vissuto in Italia può essere ricondotto al suo romanzo.
Dal saggio La villeggiatura di Mussolini: “In Fahrenheit 451 i ribelli al divieto di possedere e leggere libri trasmettono gli uni agli altri i testi imparati a memoria, passeggiando in un bosco. I confinati comunisti a Ponza e nelle altre isole ogni dieci giorni si dividevano in gruppetti di tre o quattro e si mettevano a camminare su e giù per il corso principale: «Anche il più stupido dei poliziotti», ha scritto Pietro Secchia, «capiva che era il giorno del rapporto politico». La trasmissione del rapporto durava alcuni giorni e quindi la scena, per certi versi simile a quella del bel film di François Truffaut, si ripeteva con una certa regolarità. E proprio come in Fahrenheit 451 quel momento della comunicazione tra esseri umani perseguitati ma decisi a resistere, assumeva significati che coinvolgevano valori fondamentali e proiettavano un raggio di luce verso il futuro”.
Letto quanto sopra, parrebbe che il totalitarismo vissuto in Italia sia riconducibile alla distopia immaginata in Fahrenheit 451.
In Fahrenheit 451 Bradbury cita, fra gli altri, il Mahatma Gandhi, Jonathan Swift, ed Henry David Thoreau; li comprende tutti e tre fra gli autori di opere meritevoli d’essere ricordate, trasmesse ai posteri. Accennerò a questi tre autori nei prossimi capitoli.
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